Autore: Claudio Di Manao
Erano le 8 e 45, e tutti si presentarono al counter. Tutti, tranne il russo, erano incredibilmente in orario. Avevano già passato tutti il check in piscina, ed ognuno di loro aveva già pagato il biglietto.
“Per cortesia, i passaporti… le vostre attrezzature sono già a bordo” mi consegnarono passaporti di 12 nazionalità diverse.
“Scusate, onorevole signor guida” l’uomo d’affari giapponese si inchinò tre volte prima di venire al sodo, “Avete provveduto a far mettere a bordo le mie pastiglie per il mal di mare?” domandò arrossendo. Era il proprietario della Sony. “ Sì, tutte le pastiglie che volete, abbiamo anche dei sacchetti e delle fiale per iniezioni.” S’inchinò di nuovo
“ Allora è lei la guida!” esclamò il principe saudita.
“ Sì, perché, le dispiace?” Valentina, la guida che s’aspettava lui, aveva preso l’influenza all’ultimo momento, e l’avevo rimpiazzata io. Lui storse un po’ il naso, ma si avviò col resto del gruppo verso il molo 3. Li scortava Fiona la nostra hostess lituana, in minigonna e tacchi alti. Chiamai il comandante per radio.
“Voyager 1, Voyager 1… mi ricevi?”
“Forte e chiaro.” Rispose Mark, il comandante.
“Fiona te li sta portando a bordo. Manca solo il Russo.”
“Va bene, ho appena finito di fare benzina, possono salire.”
“Hai controllato se ci sono la spare, i ferri ed il pronto soccorso?”
“Ho fatto controllare tutto da Abdul, è tutto a posto…”
“Chi? Abdul? Fammi il favore, ricontrolla tu…”
“Guarda che ho da fare, non sto mica giocando a ‘spider’ quassù in plancia…”
“Tanto dobbiamo aspettare il russo, no?”
“Ma neanche per sogno! Si parte come sei a bordo tu, anzi: tu fammi il favore, sbrigati!”
Tra comandanti e guide non è mai corso buon sangue. Sapevo già che questa discussione mi sarebbe costata ormeggio non necessario.
“Mark… questa gente paga cifre mostruose… e se qualcosa va storto perché manca la ‘spare’ ci fanno causa … abbiamo gli occhi del mondo puntati, ricordatelo.”
“Sei un razzista, non ti fidi di Abdul perché è egiziano! Allora stammi a sentire: voi italiani…”
Misi giù la radio e m’avviai. Ce l’avevano tutti con me perché avevo rimpiazzato Valentina, una ex modella, almeno così diceva lei. Ma non si è ma mai capito se fosse apparsa su Vogue o su Playboy. Inoltre su di lei giravano dei pettegolezzi, avallati soprattutto da un fatto: mentre noi avevamo comprato tutti la macchina e le attrezzature nuove, lei s’era comprata un bimotore a 7 posti. Con uno stipendio di guida. Arrotondava, certo. Si chiedevano tutti se questo avvenisse quando la chiamavi per radio e non rispondeva.
Arrivai al nastro che portava in cabina. Potevo vedere in lontananza il pubblico che assisteva. Un uomo corse verso di me in pantaloncini, inciampò nell’asciugamano e subito la Security gli fu addosso: sembrava fuori di sé. Pensai subito ad un folle, un attentatore.
“Ma cazzo voi dite… voi matti furiosi!” urlava lui divincolandosi, “Io Dimitri Marikovic, io proprietario di Vodka Marikova, amico di Putin!!!”
“Mark?”
“Che c’è ancora?”
“Ho trovato il russo…”
“Fallo salire, allora, sbrigati!”
“Ma è già ubriaco!”
“Lo sai che con i russi è così, non c’è niente da fare! Tanto non gli succede niente, gli leghiamo un sacchetto per il vomito sulla faccia e partiamo. Ti ripeto: sbrigati.”
Recuperato il Russo dalle grinfie della Security mi avviai in cabina.
Da lassù la base spaziale di Cape Canaveral sembrava soltanto uno strano aeroporto, se non fosse stato per il Voyager1, con il muso puntato verso il cielo.
“Camerieri messicani, non capire minchia… fatto tardi pagare conto di colazione…” si giustificò il russo mettendosi a posto la maglietta. La Security lo aveva strapazzato per bene.
“Metti russi ed italiani insieme ed ecco che…” Mark tacque, e si girò dall’altra parte non appena entrammo in cabina. Non lo salutai. Allacciai il sacchetto antivomito al signor Vodka Marikova e lo agganciai alla poltroncina con gli appositi cinghiaggi. Mark accese i motori ed io iniziai il briefing: quello in cui gli spieghi niente scarpe a bordo, non si può entrare bagnati se no le goccioline vanno ad incasinare i circuiti… il cesso…
”…e se non volete vedere i vostri residui fecali fluttuare per la cabina… ricordatevi di azionare la pompa sottovuoto…” questa battuta li faceva sempre ridere, la usavo per rompere il ghiaccio.
“…l’accelerazione sarà di 4 g, ma tra 15 minuti saremo senza peso. L’appuntamento con la stazione orbitale Space Lab è previsto tra due ore. Lungo la strada effettueremo una passeggiata spaziale dove potremmo osservare dall’alto La Sardegna, non ci sono nuvole, quindi sarà possibile ammirare le Bocche di Bonifacio e Lavezzi. Vi ricordo che per le regole del Parco Spaziale non si può gettare niente nello spazio e non si può prelevare niente dallo spazio. Pranzeremo allo Space Lab e dopo usciremo di nuovo con una lancia per una visita al relitto del Soyuz 4, per ora è tutto, grazie per aver scelto VIP SAFARI dipartimento SPAZIO, spegnete tutti i cellulari ed indossate le cuffiette col microfono per comunicare con l’equipaggio. Grazie per l’attenzione. Buon viaggio”
La potenza dei motori ci schiacciò ai sedili. Sentivo i rumorini dei videogames che ogni poltroncina aveva in dotazione. Poi il n° 10 suonò il campanello. Mi collegai con l’intercam. Era lo spagnolo, il proprietario della Bic.
“Ho dimenticato l’asciugamano, accidenti… potremmo tornare indietro a prenderlo?”
Gli spiegai che non era proprio possibile, ma che potevo prestargli il mio.
“Ma io non voglio il SUO asciugamano, voglio il MIO asciugamano, me lo ha regalato Juan Carlos proprio perché lo portassi con me nello spazio… sono il primo spagnolo, e…”
“Mi spiace signore, NON POSSIAMO tornare indietro…”
“…Su quell’asciugamano c’è l’emblema della famiglia reale, va fotografato!… temo che se non tornate indietro vi costerà un incidente diplomatico…e…” Chiusi la comunicazione, squillava il numero 7. Era il principe saudita.
“Mi avevate promesso un posto finestrino orientato sulla Mecca, ma da qui vedo solo una freccia sul monitor e tanto blu notte…” Passai con piacere la comunicazione a Mark ed ascoltai.
“Spiacenti, ma per il vento in quota abbiamo dovuto cambiare l’orientamento del Voyager. La Mecca è dall’altra parte” rispose il comandante.
“Allora cambiatemi di posto…io…” Si accese la spia del n°5, il tedesco. “Il giapponese vicino a me sta vomitando… e vorrei che facciate qualcosa…”
“Le metta il sacchetto intorno al viso… non ci si può alzare, adesso”
“Chi Io?” …e certo! che rispondeva così…
Raggiunta l’orbita inizia il briefing per la passeggiata spaziale. Qualcuno protestava perché eravamo ancora tutti agganciati. Alzai il volume del mio microfono:
“Signori, ho bisogno della vostra attenzione! Se vi sgancio adesso galleggiate per la cabina, non si scherza nello spazio. Per favore ascoltatemi…” i borbottii si calmarono subito.
“Adesso indosseremo le tute. Mi raccomando, fate il controllo del compagno. Controllate bene il rebreather, i cinghiaggi, le cinture dei razzi e la valvola dell’aria. NON controllate solo dal manometro, ma ACCERTATEVI che la valvola sia COMPLETAMENTE APERTA. Controllate bene le zip e le chiusure stagne, se no una volta nel vuoto esplodete… state col compagno e scambiatevi i segnali. A 250 bar si torna indietro. Non voglio vedere NESSUNO che se ne va per conto suo. Chiaro?”
“Ho una domanda…” era Monsieur Peugeot, “Perché ci servono i passaporti? Per la legge degli Stati Uniti puoi uscire dal Paese senza…”
“Non si sa mai dove potremmo atterrare, signore, ecco perché.”
Ci preparammo. Ma al momento di agganciare i caschi notai che me ne mancava uno. Li ricontai. Mancava l’italiano, l’unico del gruppo: il proprietario di tutti i giornali e tutte le reti tv. Lo trovai con la tuta spaziale ancora calata in vita che frugava a testa in giù nella dinette.
“Signor Berlusconi, stiamo aspettando lei…”
“Un attimo e sono da voi…” disse gettandomi un sorriso smagliante. Tutto suo padre.
“Guardi che abbiamo un appuntamento con lo SpaceLab”
“Sì, sì un attimo solo… anzi, mi aiuti: non riesco a far funzionare la macchinetta del caffè…”
“Ma le pare il momento? Sono tutti pronti e stanno già sudando con le tute addosso, sia gentile…si sbrighi.” Il tedesco mi lanciava occhiate di gelido fuoco.
Mentre aspettavo l’italiano, l’occhio mi cadde sul russo. Notai che ritirava la mano, nascondeva qualcosa dietro di se. Mi avvicinai: un fucile spaziale.
“Ma lei dev’essere matto!” gli dissi. “Cosa ci deve fare con un fucile magnetico? Su, me lo dia…” Il russo arrossì e fece una faccia da Labrador.
“I meteoriti… a me piace cacciare…”
“Lo sa benissimo, in un Parco Spaziale è vietata la caccia ai meteoriti, su me lo dia.” Presi il fucile e cominciai a frugarlo. Uscirono fuori una retina da meteoriti, ed un coltello.”
“Tutta questa roba è vietata. Conosce le regole o no?”
“Ehi!…” era Mark che mi chiamava, “Siamo quasi arrivati! Mettili tutti in piattaforma.”
“Aspetta ce n’è uno che sta finendo di prepararsi…”
“Lo sai che sui drift devi essere pronto prima di arrivare sul punto… Chi è che fa tardi?”
“L’italiano.”
“Vedi? …e poi te la prendi con gli egiziani… ti ricordo che le astronavi non possono frenare, se no cadono…”
“Piantala, Mark! E tu: sei pronto?”
“Prontissimo….”
“Ti sei fatto controllare?”
“Si, sì certo, certo…”
“Fammi vedere…”
“Ehi… tesoro, io tra un minuto apro il portello!” era di nuovo Mark
“Aspetta! Questo qui ha la zip chiusa a metà!”
“Ma quanti riguardi… Basta, ci siamo, decomprimo ed apro il portello, meno 5, 4, 3…”
“ Aspetta, per Dio! ha la zip incastrata!”
“…meno 2, 1…wooosh! Decompressione! Ciao, ciao…” Chiusi la zip, aprii la valvola dell’aria, ed il portello si spalancò sulla Sardegna.
“Siamo a testa in giù?” domandò il coreano.
“E che volevi guardare, lo spazio nero? Ragazzi, state due a due, seguitemi, via!” Uscimmo dalla stiva.
“Tesoro… guarda che ne hai uno ancora in piattaforma…” Mark.
“Lo so, lo vedo! gli sto facendo segno di saltare!” ‘bastardo!’, sussurrai. Ma nel microfono mi sentì.
“Non chiamarmi bastardo, ricordati del Golfo di Taranto…”
“E tu pensa sempre a Gibilterra… adesso vai a farti un tè con Abdul e non protestare che te l’ha fatto troppo dolce e che non ti ci ha messo un velo di latte!”
“Uh, guarda, la Corsica!” esclamò il francese.
“Signor Al Capone… le faccio notare che il giapponese è ancora in piattaforma.” Mark, of course.
“Stavo proprio per dirti di chiudere il portello e di tenertelo tu! Ma poi non me lo sganciare di nuovo a metà tragitto senza dirmelo!” Il Golfo del Leone brillava azzurrissimo sotto i nostri occhi.
“Eh, no! eri tu che stavi chiacchierando con la brasiliana sul canale privato… e non mi hai sentito.”
Mi girai e li contai. Erano tutti dietro di me, sentivo le loro esclamazioni in cuffia. Poi uno si staccò.
“Accidenti, ce n’è uno che se ne va pei fatti suoi! Ehi Dimitri! Torna subito qui!”
Il russo s’era girato, in un batter d’occhio aveva orientato i razzi ed ora schizzava a velocità folle verso la Toscana. Lo sentivo cantare e sghignazzare nell’interfono. Lo inseguii.
“Prendilo prima che impatti l’atmosfera! Se l’impatta sono guai!”
“Lo sto facendo, Mark! Tu segui gli altri: Ehi voi! Ascoltami bene e non fate cazzate. Seguite lo Shuttle! Anzi, attaccatevi alle sue ali! ” Sentivo il russo cantare al colmo della felicità mentre sprofondava, ed azionando i piccoli razzi di propulsione si esibiva in piroette e capriole.
“Porca puttana, Mark, seguimi o mi perdo anch’io!”
“Neanche per sogno, non posso rischiare la nave, io NON m’avvicino all’atmosfera!”
“Allora mandami Abdul col tender!”
“Non può…” stavolta lo sentii io ridacchiare
“COME NUON PUO’??!!!’
“Sta pregando…”
Afferrai il russo proprio mentre le prime molecole dell’atmosfera urtavano le tute spaziali rallentandoci, lo tirai su coi razzi al massimo, lo guardai in faccia mentre salivamo. Era rubizzo e canticchiava, notai che ogni tanto ciucciava la cannuccia di una bottiglia che si era inguattato nella tuta spaziale, poi strabuzzò gli occhi e… SPRANF
“Oh, Dio…Mark…”
“Che c’è?”
“Ha vomitato.”
“Portalo a bordo. E’ russo, non gli succede niente… avrà mangiato italiano…”
“Dove cazzo sei? non ti vedo…”
“Sono l’unica nave oggi, cervello a spaghetti. Oggi non ti puoi sbagliare…”
“Da qui sei solo un puntino di merda nell’universo nero! Dove Cristo sei?”
“Acqua, acqua… ih, ih… tra poco sei sulla rotta dell’ Italsat!”
“Piantala! Non è mosca cieca, pelle diafana! Riesci a vedermi? ”
“Certo, NOI inglesi abbiamo inventato il RADAR, ricordi?”
“Ma siete a stipendio dallo zio Sam, la vostra ex colonia… Giorgio Terzo, ricordi?”
“Non sei nella posizione di fare battute. Io ti vedo ma tu no, che situazione carina!”
“Dove sono gli altri?”
“Ho tirato fuori il trapezio e gli ho detto di attaccarsi là, sono tutti a testa in giù buoni, buoni che guardano la Francia…”
“E’ l’Italia quella, somaro!”
“NO… tu sei sull’Italia, io sulla Francia… fuochino!” Qualcosa mi passò vicino a velocità folle.
“Che cazzo era? Mark! Che fai, non mi avverti?”
“Era l’Italsat, te l’avevo detto! Vedi che sei distratto? T’ha fatto la barba, ah ah!”
Il Russo bestemmiava che non era riuscito a fotografare il satellite, e cercava di pulire il vomito appiccicato sul visore dall’esterno del casco. Si stava agitando. Gli chiusi l’aria.
Riuscii a tornare, col russo sottobraccio. “Signori, si rientra nello Shuttle…” annunciai.
“Ma come così presto?” borbottò il tedesco. Si aggiunsero altro borbottii al suo.
“Signori: se c’è un problema si torna e questo signore qui è un problema!”
“Fateli meglio questi check in piscina, allora, noi paghiamo!” Commentò il belga. L’italiano voleva farsi un caffè, e protestava perché era l’ora di TG5 e non funzionava il ancora collegamento.
“Fai il briefing e mettiti la tuta, siamo quasi arrivati allo space lab. C’è da fare l’ormeggio.”
“Ancora! No, Mark, adesso basta! Non faccio altro che fare ormeggi, con te!”
“Sé rotta la boa automatica, Sai John, il comandante del Voyager 2? gli è andato addosso e…”
“Ci vado, ci vado! mi sto rimettendo la tuta.”
“Fai il briefing…”
“Signori, un minuto della vostra attenzione: siamo arrivati alla stazione spaziale, dove poi pranzeremo e ci guarderemo il video della nostra passeggiata per il debriefing… Poi saliremo sulla scialuppa per una notturna sul relitto del Soyuz. Servitevi pure tè e caffè dalla macchinetta… A tra poco, io vado a fare l’ormeggio…”
“Come, fai tu l’ormeggio?” domandò il francese con un cenno di disprezzo beffardo. “Pensavo aveste boe automatiche…”
“Il Parco Spaziale non ha fatto in tempo a riparare la boa automatica e devo andarci io.”
“Con tutti i soldi che ci chiedono ogni volta che veniamo quassù! 100.000 dollari solo di biglietto del Parco e non riparano le boe! E’ inaudito!” protestò il tedesco.
Ci misi pochissimo, ad ormeggiare, ormai con Mark era una routine. Non hai il tempo di indagare se è la boa automatica è rotta davvero, quando hai i clienti a bordo, devi farlo e basta. In 15 minuti l’ormeggio era fatto. Sudavo ed ero quasi senz’aria. Tornai al portellone, attivai il rampino magnetico mi ci agganciai ed attesi ed ansimante l’apertura. Ovviamente Mark non era contento.
“La settimana scorsa Gerald ci ha messo meno di te… sei proprio lento.”
“Tu e Gerald dovreste concentrarvi sul fatto che nel 2010 in Inghilterra, non conoscete ancora i bidet.” La porta si aprì. Iniziai a comprimere la camera. Pressione normobarica. Si aprì il portello interno e tolsi il casco.
“Domanda se qualcuno vuol fare l’avanzato sul relitto…”
“Dammi il tempo di togliermi la tuta, cazzo!”
“… e ricordagli che il mese prossimo apriamo Marte e che per Marte ci vuole il Rescue.”
“Ti sbagli, è richiesto solo l’avanzato.”
“Sono i nuovi Standard NASA, tesoro. Non dirmi che non leggi gli aggiornamenti! ”
Trasbordammo con un certo ritardo nello Space Lab. L’house-keeping, tutto personale dello Sri Lanka, era sempre in ritardo con le pulizie. C’era in giro un forte odore di curry.
“Mmmm… spezzatino al latte di cocco e curry rosso!” commentò Mark appena ficcò la testa nello Space Lab.
“Scommetto che glie lo hai ordinato tu…” dissi.
“Non glie lo ho ORDINATO, gli ho chiesto via radio di lasciarmene un po.”
“Ecco, bravo, bevici su dell’ottimo sidro frizzante, o un vino dolce…”
“Ti spiace? Niente spaghetti, oggi!” Pensai che era il momento giusto per dargli un cazzotto e farlo volare indietro nello Shuttle…Ma un urlo interruppe l’idillio.
“E’ Sua Altezza Faruk Feisal Amdullah III, signore…” disse mogio, mogio quello dello Sri Lanka.
“Perché urla così?”
“Aveva ordinato un tappetino da preghiera, di seta di Samarcanda, ma nella sua borsa… non c’è”
“Chi ha fatto le borse?” urlai verso la dinette.
“Le ha fatte Abdul…” rispose Mark annoiato.
“Scommetti che ce l’ha lui il tappetino?”
“Di cosa parli? lasciami mangiare in pace!” protestò infastidito.
“Sei tu il comandante…” gli ricordai.
“Mmm!… squisito, questo curry! Superb, absolutely superb!” stava parlando con l’house-keeping il coglione.
“Mark! Tu hai detto, poco fa, che Abdul stava pregando…e…” ero davvero furioso.
“Tu ce l’hai proprio con gli egiziani. E’ un loro diritto, è nel loro contratto, full stop.”
“Sai se aveva un tappetino di seta di Samarcanda, coglionazzo?” Sentii che il collegamento con Cape Canaveral era pronto. Il principe Saudita avanzava verso di me con aria molto contrariata.
“Mark. La radio!”
“ E’ per te. A quest’ora, lo sai, vogliono la situazione e vogliono sapere quanti ne hai per il corso avanzato, signor tomato-sauce.”
“Sono allibito per questa mancanza…” disse il principe.
“Siamo davvero spiacenti per il suo tappetino sua altezza, ma i furti a bordo sono di competenza del comandante…”
“Ah! Un furto! E chi è il comandante?”
“E’ quello là che sta bevendo vino e mangiando spezzatino di maiale al curry, altezza. Parli con lui.” La radio insisteva ed io, scusandomi, mi divincolai dal principe.
“Voyager1 Voyager 1 Cape Canaveral… Ehi! Volete rispondere alla radio?
“Voyager1, Cape Canaveral…”
“Ma che cazzo state facendo lassù che non rispondete mai? Anche adesso che non c’è la Valentina fate così?”
“Combattici tu, allora, con Sua Altezza Abdullah III! Gli hanno fregato il tappetino della preghiera…”
“Deve essere a bordo, cerca bene nelle altre borse, devo dirtelo io?”
“Non è finita: il russo m’è scappato… l’ho ripescato quasi nell’atmosfera! e Mark insiste con gli ormeggi a mano…”
“Tutti qui i tuoi problemi? Mi devi dire se hanno fatto tutti la passeggiata spaziale, quanta gente ha pranzato e quanti ne hai per l’avanzato. Ah! ricordagli che…”
“…si lo so, tra un mese aprono Marte, lo so…”
“Allora fallo, che aspetti?”
Misi giù. Ma quando mi voltai davanti a me c’era la faccia truce dell’unico americano a bordo.
“Il russo sta fumando, s’è acceso un sigaro! E’ follia!”
“C’è la saletta apposita, signore, mi spiace ma è… ”
“No, non sta fumando nella saletta, ma è a spasso con un asciugamano indosso, ed un sigaro in bocca, per tutta la nave.”
Porca troia. “Mark! Lo smoke detector! E’ in avaria!”
“Sarà il solito che ci ha messo una gomma da masticare… non t’agitare…” rispose lui flemmatico.
“Voglio i miei soldi indietro… queste sono violazioni gravi…” disse con freddezza l’americano.
“Signore, ne parliamo dopo, forse siamo in emergenza.”
Arrivai al pannello di controllo, Mark era già lì, con un’aria strana: mi sorrideva. L’allarme antincendio suonò all’improvviso, per tutta la nave.
“Accidenti, c’è fumo dappertutto!”
“E’ il russo”, dissi, “sta ancora fumando… vado a prenderlo!” Trovai Dimitri nella sala che un tempo era adibita a laboratorio, che galleggiava sdraiato a mezz’aria con l’asciugamano arrotolato sul pancione, mentre, inutilmente, cercava di produrre dei cerchi di fumo.”
“Lei ci sta mettendo tutti in pericolo, signor Marikov!”
Il russo canticchiava allegramente, gli tolsi il sigaro e lo spensi su d’un oblò. Si fece una grassa risata, si spinse con un dito e cominciò a roteare.
“Guardi che così vomita di nuovo!” Niente, rideva a crepapelle.
Andai da Mark. Si faceva un te’ davanti al pannello dei comandi.
“Lo hai riattivato tu?”
“Era disattivato, che strano…”
“Lo hanno disattivato per cucinare il TUO CURRY di merda! sai benissimo che non si può cucinare quassù…”
“Non lo ho CUCINATO IO, il curry. Non cominciare ad accusarmi di…”
“Che fine ha fatto il mio tappetino? Sto perdendo la pazienza, signori!”
Erano tutti intorno a noi, il coreano diceva che il russo gli era rotolato addosso, il francese voleva vedere il video della passeggiata spaziale… “Sissignore, ho sentito tutto! Avete chiamato terra per un tappetino, ed io che sono senza asciugamano, allora?”
“DOVE E’ IL MIO TAPPETINO!”
“Signori! Ma dove credete di essere? Siamo nello spazio! Ci sono delle regole, delle priorità! Ma vi rendete conto o no, di dove siamo?” Indicai la falce luminosa della terra al tramonto.
In quel momento entrò il russo, rotolando come una meteora, e si schiantò sulle borse delle attrezzature.
Un’altra giornata nello spazio. Un’altra giornata di merda.
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