Autore: Leda Masi
Partiamo (io e Piero) il 30 giugno (ndr: 2002) da Malpensa a un’ora antelucana, alla volta di Francoforte, dove ci imbarchiamo per Singapore. Il volo è mostruosamente lungo, ma il servizio è ineccepibile, quindi non pesa più di tanto. Quel che pesa di più è lo stop all’aeroporto di Singapore, qualcosa come sei ore senza poter fumare (c’è una saletta per fumatori, ma in realtà è una camera a gas senza aria condizionata, senza sedili, senza aspiratori) e senza poter uscire (fuori piove e per respirare ci vuole l’erogatore, tasso di umidità 200%)
Finalmente ci imbarchiamo per Manado, dove arriviamo stremati e veniamo “deportati” immediatamente in albergo dove dormiremo un po’ in attesa del volo successivo.
Dopo la doccia d’obbligo usciamo per una breve visita alla città di Manado; decidiamo di andare a piedi per gustarci l’atmosfera e sgranchire un po’ le gambe. Pessima idea! Lo smog qui raggiunge livelli da anossia, le auto sono ovunque e rumorosissime, le strade veramente malmesse. Rimaniamo un po’lì a pensare se prendere un taxi per arrivare da qualche parte, ma ormai mi ha preso il nervosismo e così si torna in albergo, anche perché sono così stanca da essere prossima alle lacrime, voglio un bagno in piscina e un massaggio!…cose che riesco ad avere e quindi mi rappacifico col mondo.
Il mattino dopo sveglia prevista per le 5.30, in modo da prendere l’aereo delle 6.30; apro gli occhi, guardo l’orologio…SONO LE SEI E TRENTA!!!! Ma che fanno quelli della reception???
Scendo imbufalita, solo per scoprire (vergogna) che ho l’orologio avanti di più di un’ora…ho saltato così tanti fusi orari che non sono neanche sicura della data, figuriamoci dell’ora. Vabbè, ormai svegli e pronti ci avviamo all’aeroporto. Qui, dopo una serie di formalità infinite e una quantità enorme di rupie sganciate ai vari funzionari (non domandatemi a che titolo, qui l’inglese è assolutamente un’opinione, non ho capito una parola…ho pagato e basta…), saliamo finalmente sull’ultimo aereo, che ci porterà fino a Luwuk. Beh, aereo è una parola grossa, portello chiuso con dei cavi elettrici, bagagli trattenuti da una rete e amenità simili!
Comunque, in qualche modo volava e ci ha depositato illesi (non volendo considerare quel tentativo di omicidio che è la colazione a bordo…) a Luwuk, dove siamo stati accolti dagli addetti del Resort di Walea. Da Luwuk si va in auto fino al porto di Pagimana, due ore di macchina su e giù per la giungla, fra buche, capre e mucche in mezzo alla strada, un paio di soste in deliziosi mercatini lungo la via per acquistare un casco di banane, altre verdure assortite, giusto il tempo di un paio di foto ai chiodi di garofano stesi al sole a seccare, due parole con i venditori, e poi si riparte. La guida qui, come l’inglese, è approssimativa, gli indonesiani guidano col clacson, suonano prima e dopo ogni curva, ma solo per segnalare la loro gioia di vivere, non certo per la sicurezza dei passeggeri. E infatti non rallentano MAI!
Foto sopra: il porto di Pagimana
Finalmente ci imbarchiamo alla volta di Walea: due ore di navigazione su un mare cristallino, piatto come una tavola, per fortuna, bevendo tè e mangiucchiando biscotti. Non ce la faccio più! È il due luglio, sono 48 ore che viaggio. Speriamo ne valga la pena!
Ne vale la pena, eccome!!!
Foto sopra: dalla barca Walea si presenta così…
L’isola di Walea, nell’arcipelago delle Togian, si rivela un gioiellino verde in mezzo a un mare di una tonalità turchese mai vista e assolutamente incontaminato, praticamente disabitata, poco più grande dell’Elba, riserva marina con divieto di pesca e ancoraggio. Il Walea Resort, unica struttura turistica presente sull’isola, conta 11 bungalows affacciati su una spiaggia candida e una zona comune deliziosamente arredata in stile locale e aperta sul mare, un molo che si spinge oltre la zona di bassa marea, e basta.
Foto sopra: il resort visto dal molo
Appena arrivati, mentre il personale porta i bagagli ai bungalow, la nostra divemaster ci informa delle regole da seguire durante le immersioni e delle regole del resort (poche), fa il controllo dei brevetti, espletiamo tutte le formalità di rito, ci offre una breve illustrazione dell’ambiente e delle immersioni che faremo in settimana.
Dimenticavo: in tutto siamo cinque ospiti…una pacchia!
Dopo un aperitivo di benvenuto ci fanno accomodare per il pranzo; si mangia tutti assieme, come un gruppo di amici, e si mangia bene ed abbondante. Subito dopo pranzo, mentre sto già pensando di andare a smaltire stanchezza e cibarie su una sdraio, mi viene ingiunto di vestirmi per la check-dive. Orrore! Se vado in acqua ora affogo!
Invece mi faccio forza, mi trascino sul molo, mi vesto e mi butto in acqua: la stanchezza passa di colpo! Mai visto nulla del genere così vicino a riva…i colori sono straordinari e la varietà delle forme di vita incredibile. La luce, anche se ormai sono le quattro del pomeriggio, è fantastica, l’acqua è così limpida che sembra ancora mezzogiorno, anche a trenta metri c’è ancora un’ottima visibilità nonostante l’ora e sono veramente pentita di non aver portato la macchina fotografica…Svariati pescetti di barriera ci osservano incuriositi mentre effettuiamo le regolazioni, manca un chilo, troppi chili… risolti i problemi di assetto scendiamo un po’ per fare un giretto e incontriamo un piccolo squaletto curioso che vive lì, deve darci il benvenuto a modo suo…
Bè, per tutta la settimana facciamo due o tre immersioni al giorno, una più bella dell’altra, la vita sottomarina qui è sorprendente, grandi coralli a frusta, crinoidi e coralli molli fanno da quinte allo spettacolo offerto dai pesci di barriera, coloratissimi. Ci sono spugne a coppa gigantesche, gorgonie a ventaglio spettacolari per colore e dimensione, anemoni con i loro pagliacci, coralli acropora grandissimi e in perfetto stato,stelle marine di ogni colore, Sarcophiton enormi, Dendronephtie, ascidie di vario genere, nudibranchi, crostacei…
Le guide sono molto attente e preparate, le immersioni molto varie, ma sempre bellissime. A proposito: la temperatura più bassa che ho trovato in acqua era di 26.5°C! se non è un paradiso questo…
Le immersioni si svolgono sulla barriera che circonda l’isola e, a volte, quando le correnti lo consentono, anche all’esterno, utilizzando delle bellissime pass che possono offrire incontri davvero emozionanti. La profondità è quasi sempre abbastanza impegnativa, mai meno di trenta, trentacinque metri, con puntate fino ai quarantacinque per vedere alcune gorgonie veramente gigantesche.
Anche l’house reef merita più di una visitina: all’interno della barriera, davanti al resort si trovano senza difficoltà squaletti, trigoni, balestra, pesci ago, cavallucci…e poi coralli duri di ogni forma e colore su cui tridacne stupende trovano un substrato ottimo per moltiplicarsi. Passeggiando sulla spiaggia si incontrano quei buffi pesciolini che respirano aria (Periopthalmus) posati sui tronchi.
Foto sopra: due immagini prese davanti al bungalow
La sera, dopo la doccia, è d’obbligo la passeggiata sul molo per godere degli straordinari tramonti che colorano il mare di porpora.
L’ultimo giorno (obbedienti non ci immergiamo per rispettare il tempo di non volo) siamo andati a fare una gitarella via terra: dopo aver attraversato un tratto di giungla (utan rimba) e alcune coltivazioni di palma da cocco, si arriva a un minuscolo villaggio di pescatori: poche palafitte in paglia su una lingua di sabbia bianchissima circondata da un mare turchese protetto dalla barriera. Gli abitanti, poche famiglie di pescatori, ci accolgono con simpatia, un po’ forse ridono di noi, così estasiati di fronte a ciò che per loro è l’unica realtà esistente, ma si prestano a scambiare qualche parola, le poche che loro conoscono di inglese e le pochissime che noi abbiamo imparato di bahasa, e a farci fotografare il loro villaggio, le barche, le case. Giunti alla sommità del promontorio si contempla il mare davanti ad un altare su cui gli abitanti del villaggio offrono libagioni ai loro dei per vedere esauditi i propri desideri (il luogo infatti si chiama Punta dei desideri).
Foto sopra: Il villaggio dei pescatori, l’altare dei desideri e la barriera davanti alla punta
Dopo pranzo, (come sempre ottimo, anche se al sacco), un po’ di snorkeling (doveroso e ricco di sorprese, soprattutto per me, beccata da un gigantesco barracuda a curiosare nel suo territorio…non era per nulla contento, lui, e nemmeno io, notoriamente fifona!) e un giretto in prahu (una piroga a doppio bilanciere), si torna mestamente al resort per cena; la settimana, purtroppo, è finita.
Foto sopra: questo è Sonny, la nostra guida indonesiana, con un guscio di nautilus, gusci che si trovano abbondanti sulla spiaggia.
Due parole sul resort: il servizio è praticamente perfetto, i proprietari simpatici e disponibili, l’ambiente rilassante e informale. La cucina molto curata, seguita personalmente e con grande attenzione dalla moglie di Luca (mi vorrà perdonare, ma non ricordo il suo nome), offre piatti italiani e indonesiani. (ocio al peperoncino, picchia!). I bungalow sono accoglienti, puliti (oserei dire maniacalmente puliti), non c’è aria condizionata, ma solo il ventilatore a pale, ma va bene lo stesso, l’areazione è assicurata da un’apertura alla base del tetto, protetta da zanzariera, non c’è acqua calda ma in realtà non serve. Una particolarità: in Indonesia, all’interno delle abitazioni, è buona norma entrare scalzi, spesso c’è davanti alla porta una vaschetta per lavare i piedi dalla sabbia, in ogni caso è bene lasciare le scarpe fuori; durante le vacanze qui, dimenticatevi del pesante obbligo delle scarpe.
Un’altra cosa da sapere è che, per limitare al minimo l’impatto anbientale i proprietari del Resort hanno deciso di non illuminare le zone esterne ai bungalow e alla zona comune; è quindi opportuno ricordarsi di portare una torcia per la sera, perché il tragitto dalla sala comune alla camera è veramente buio, e si corre il rischio di calpestare i bellissimi granchi di terra che scorazzano liberi in giro. Altro motivo per cui non viene illuminata la zona che dà sulla spiaggia è la presenza di tartarughe che depongono sulla spiaggia antistante i bungalow: la luce disturberebbe le povere bestie, che cambierebbero zona.
Bene, la mattina dopo, verso le quattro, si parte alla volta di Manado. Anche il trasferimento in barca in notturna merita: nonostante il sonno (non avevo dormito neanche un minuto perché a cena avevo fatto indigestione di aragosta e gamberoni…), lo spettacolo offerto dal plancton smosso dalla barca, con una bioluminescenza spettrale e affascinante, mi tiene incollata per tutto il viaggio alla murata, finchè l’alba non colora tutto di rosa, altro spettacolo che vale la pena di vedere… peccato che all’arrivo le macchine non ci fossero, sono arrivate “con comodo” un’oretta più tardi…la puntualità non è la dote principale degli indigeni!
La vacanza però, per fortuna, non è terminata, ci aspetta ancora una bellissima settimana a Manado, al Mapia Resort, con la guida attenta e competente di Massimo, ma questa è un’altra storia…
Qui giunti, chiedo venia per le foto, era la mia primissima esperienza di fotografia subacquea!
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