Autore Articolo: Eva Bacchetta
Autore Foto: Lorenzo Del Veneziano
V.A.S. – Vedetta antisommergibile
Non esiste esperienza tale che dia I brividi come attraversare a nuoto un relitto sommerso.
Ad una visione superficiale, gli scafi di navi affondate possono sembrare un insignificante mucchio di ferro arrugginito,ma se si guarda a fondo , attentamente, in ogni parte di lamiera, in tutto ciò che resta, si può leggere parte della sua storia. A seconda di quanto siano note le vicende storiche a chi li sta esplorando, possono trasmettere forti emozioni e rappresentare qualcosa di molto affascinante e di notevole valore.
Si può avvertire e a volte visualizzare la presenza dei fantasmi di coloro che vissero a bordo e morirono senza che alcuno ne registrasse la fine.
In quel mondo ovattato, che è il fondo del mare, le correnti , la visibilità a volte scarsa, il silenzio rotto soltanto dal sibilo dell’erogatore, contribuiscono ad aumentare questa sensazione di irrealtà soprannaturale.
Così è successo a noi, quando in una fredda giornata d’autunno, siamo scesi sul relitto di quello che successivamente si è rivelato essere un cacciasommergibili, affondato nelle acque antistanti il golfo di Genova……
“ Colpisce tutta la Liguria la morte che viene dal cielo, i bombardamenti a tappeto devastano i centri abitati”
Così titolava una pagina del Secolo XIX dell’anno 1944, quando i bombardamenti alleati inflissero gravi danni e provocarono ingenti perdite umane al capoluogo Ligure e alle zone limitrofe.
Era un giorno imprecisato del settembre del 1944, quando il comandante del VAS di costruzione italiana, caduto in mano tedesca dopo l’armistizio del 11 settembre del ’43, colpito dai grappoli di bombe sganciate dagli anglo-americani, diede ordine di abbandonare le nave , prima di inabissarsi con la sua nave su un fondale sabbioso e lì restare silenzioso per più di sessant’anni.
All’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania, il 10 giugno del 1940, la Marina Italiana aveva in servizio quarantasei MAS di tipo moderno, affiancate da circa quindici unità di tipo superato.
Nel novembre del 1940 lo Stato Maggiore della Marina ordinò al comitato dei Progetti navali l’elaborazione di uno studio per la realizzazione di un tipo di cacciasommergibili con stazza di circa 100 t. e velocità di 18/20 miglia, di costruzione semplice ed economica, da riprodursi in larga serie.
Tale decisine derivava dal fatto che le unità italiane si erano rivelate inadeguate ad operare in condizioni di mare sfavorevole.
Nel gennaio del1941, dopo consultazioni con la Marina Tedesca, lo Stato Maggiore ordinò la progettazione di due diversi tipi di cacciasommergibili.
L’uno di stazza 600 t. , da impiegarsi in mare aperto, prevalentemente di giorno contro sommergibili in immersione, l’altro con stazza di circa 100t. per l’impiego prevalentemente notturno contro sommergibili in emersione nelle acque costiere.
Nacquero così le “ motovedette antisommergibile” ( VAS ).
Nella primavera dello stesso anno i Cantieri Baglietto di Varazze progettarono un cacciasommergibili di circa 68 t. di evidente ispirazione dei motosiluranti “ Orjen “ catturati in Yugoslavia, costruiti su progetto tedesco.
Tra il 1941 e il 1943 furono costruite in Italia poco più di un centinaio di unità antisommergibili con enormi sforzi e sacrifici da parte della nazione.
I cantieri commissionati, alla costruzione di tali unità, oltre i Cantieri Baglietto, erano i Cantieri Ansaldo di Genova , che apportarono alcune lievi modifiche al progetto Baglietto, Cantieri Picchiotti ( Limite d’Arno ), Navalmeccanica ( Castellammare di Stabia ) , Cantieri Soriente ( Salerno ) e Cantieri Celli ( Venezia ).
Le attività delle motosiluranti italiane furono notevoli durante il conflitto; esse operarono esclusivamente nel Mediterraneo.
Le perdite subite furono sensibili ,specialmente a partire dal 1943, per effetto della sempre crescente pressione aerea avversaria nel Mediterraneo.
Negli avvenimenti che seguirono immediatamente l’armistizio andarono perdute parecchie unità. La quasi totalità di quelle ai lavori nei porti settentrionali furono sabotate o catturate dai tedeschi, le rimanenti raggiunsero i porti del sud controllati dagli Alleati.
La vedetta antisommergibile da noi esplorata fu varata, presumibilmente nel 1941, da uno dei Cantieri Liguri. Aveva una stazza di circa 90t., lunghezza 34 metri, larghezza 5 metri e poteva raggiungere la velocità di circa 20 nodi e 26 uomini d’equipaggio.
Era dotata di un forte numero di bombe torpedini da getto, apparati idrofonici e due lanciasiluri da 450mm. Inoltre aveva sulla parte prodiera una mitragliatrice Breda da 6,5 mm.
Scendere su un relitto in cui si possono toccare con mano le vicende belliche è il motivo che mi spinge ogni volta a tornare laggiù per poter vedere con i miei occhi ciò che è successo in tempi ormai lontani, anche nelle menti di chi tali vicende le ha vissute personalmente o conosco per sentito dire o perché letto sui libri di scuola.
Il fascino di uno scafo affondato è il potere osservare quello che il suo grande custode, il mare, vuole mostrare. Poter ascoltare i sussurri che ogni piccolo oggetto apparentemente privo di significato pronuncia nel silenzio di un mondo che sembra essersi fermato al momento dell’affondamento.
Il relitto giace in perfetto assetto di navigazione e nelle giornate di buona visibilità lo si vede apparire dal blu nell’interezza del suo scafo in una immagine suggestiva.
Le prime immersioni ci hanno rivelato nulla o poco dello scafo che stavamo esplorando ed il suo lungo oblio negli abissi poco ci aiutava ad identificare qualcosa della sua storia.
Abbiamo passato tutto l’inverno ad esplorare questo scafo di così grande mistero, con numerosi tuffi, a volte infruttuosi a causa delle avverse condizione meteomarine.
In una delle tante immersioni, un oggetto a forma di campana, ha attirato la nostra attenzione.
Era la parte di un pezzo unico con l’argano di prua e il lavoro di recupero è stato piuttosto faticoso. In una lunga immersione Camillo, Lorenzo Del Veneziano e Lorenzo Dattola, hanno riportato alla luce un oggetto costruito dall’uomo sessant ‘anni prima o forse più.
Speravamo che sulla campana ci fosse un nome o una sigla che potesse dare alla nave la sua giusta identità e potesse fornirci notizie certe sulla sua sventurata sorte.
Le nostre speranze andarono deluse quando, dopo la pulizia dalle molte ostriche e microrganismi che sulla campana avevano trovato la loro fissa dimora, il bronzo splendeva senza nessuna incisione sulla sua superficie.
Si decide allora di organizzare una spedizione finalizzata ad un’ attenta documentazione foto-video, ad una ricerca accurata negli archivi storici per potere restringere il cerchio a poche unità.
Cominciano perciò le ricerche sui libri e i numerosi colloqui con chi poteva conoscere i disegni di progettazione di questo tipo di unità navale.
Sicuramente si trattava di una piccola nave da guerra, lo scafo affilato e stretto, lo faceva rientrare nelle motosiluranti. Di quale classe?
Durante l’inverno le visibilità, a volte eccezionali, ci hanno mostrato dei particolari utili alla sua identificazione.
Sono ben visibili , infatti, la mitragliatrice, adagiata sulla coperta della nave, i resti di una bomba di profondità e gli scivoli che servivano per lo sgancio.
Con materiale video e molte foto ci facciamo ricevere in marzo dai Cantieri Baglietto di Varazze , nella persona del dirigente Gianpiero Benvenuti, il quale rimane a nostra disposizione per l’intera giornata.
Con Benvenuti sfogliamo molti volumi d’archivio, dove troviamo foto e molte notizie storiche delle unità che ci interessano. Dalle foto e dalla visione del video, Benvenuti riconosce molti oggetti che sono notevolmente somiglianti a quelli usati dal Cantiere durante la guerra nella costruzione dei VAS. Una prova ulteriore che si tratti di un’ unità veloce da guerra italiana è fornita dal materiale del quadro elettrico: ardesia. Benvenuti ci spiega che solo i Cantieri Baglietto e di seguito i Cantieri Ansaldo usavano l’ardesia per il pannello elettrico.
Il cerchio si restringe, da un numero indefinito di motosiluranti siamo passati ad una decina di unità appartenenti senza alcun dubbio o alla classe 200 o alla classe 300.
Naturalmente la corrosione su tutto lo scafo portata da sessant’anni di vita sottomarina non permettono un’ identificazione certa della sua sigla. Dobbiamo trovare un indizio, un qualsiasi segno identificatore!
Nelle settimane antecedenti i giorni della spedizione, fissata per la fine di giugno, Rizia, esperta subacquea Trimix, appassionata, come noi di “ misteriose “ navi affondate,dedica gran parte delle sue giornate all’archivio storico della marina a Roma, nella speranza di trovare qualche notizia in più su questa nave che sembra essere stata abbandonata nel suo oblio.
Le sigle per ora si riducono a 236, 302, 306, 307.
Arrivano i giorni della spedizione , 24/25 giugno 2002, che grazie all’aiuto di alcune fra le più importanti aziende della subacquea è risultato essere un successo in termini di qualità , modalità e tipologie di immersione.
Il programma prevedeva quattro immersioni in miscela normossica con tempi di fondo di 20 minuti e decompressione in ossigeno puro e/o nitrox.
Tutti i partecipanti alla spedizione, undici persone, avevano compiti precisi durante le immersioni finalizzate a fornire una documentazione foto- video sufficientemente esauriente e a fornirci ancora qualche notizia.
Durante i numerosi tuffi, il misterioso relitto che aveva deciso di mostrarsi all’uomo dopo essersi perso nella polvere dei secoli, come un’affascinante donna che è restia a mostrare il suo volto, a voluto farci vedere ancora un’po’ di sé.
Le condizioni meteomarine di quei giorni sono state eccezionali e questo ci ha permesso di effettuare le immersioni in assoluto relax e spirito di cooperazione.
La seconda immersione è stata forse la più bella per le emozioni che ha suscitato in tutti noi.
Dalla visione di parte del video di Luca Giordani notiamo disteso sul ponte di comando, lato di sinistra e quasi totalmente coperta da altri detriti,lato di sinistra un oggetto la cui forma attira immediatamente il nostro interesse. Sembra un casco da palombaro. Possibile?
Incuriositi ed emozionati programmiamo la discesa del pomeriggio. I primi a scendere sono Davide, Fabrizio e Massimo, con il compito di osservare lo strano oggetto……. L’attesa è di circa 45 minuti , durante i quali non si sono sprecate le supposizioni e le congetture, ma soprattutto l’entusiasmo e l’agitazione nel poter osservare qualcosa che era stato di utilità a uomini come noi , durante le lotte per la sopravvivenza contro un avversario probabilmente mai visto.
Finalmente i tre sub riemergono, Davide per l’emozione non riesce quasi a parlare, sta solo ridendo e ci comunica che è una bussola, completamente integra e solo mancante del vetro!!!
Io e Lorenzo ci prepariamo per l’immersione per poter immortalare con uno scatto fotografico quell’oggetto che nei giorni terribili della guerra ha guidato l’equipaggio della motovedetta sui mari del Mediterraneo in cerca di sommergibili nemici da affondare.
Arrivati ad una decina di metri dal ponte di coperta , guardiamo incuriositi nel punto indicatoci da Massimo e Davide. Eccola! Pulita dai detriti, la sua forma è inconfondibile è proprio una bussola!
Dalle notizie storiche in nostro possesso sappiamo che questo tipo di vedette avevano due postazioni di comando, una a cielo aperto e una sotto coperta in un ponte costruito in legno. Questo è il motivo per cui non abbiamo identificato il ponte di comando.
Nelle successive immersioni abbiamo identificato il faro di segnalazione notturna, il caricatore a banana della mitragliatrice Breda e il telegrafo di macchina. Tutti questi oggetti si trovano con chissà quant’altri, sul ponte della nave in una visione confusa e drammaticamente disordinata che testimonia i terribili momenti dell’affondamento, delle urla di dolore di chi si trovava a bordo ed era consapevole che non c’era più speranza. Tutta la nave è testimone tangibile dei violenti bombardamenti subiti da Genova e degli ingenti danni che questi hanno provocato.
Le due giornate di immersioni si sono concluse con ancora una piccola porta da aprire : l’ingresso negli alloggi e nella cabina del comandante dove si potrà forse trovare quello che svelerà il mistero di questo relitto di così grande fascino.
L’IMMERSIONE VISTA DA LORENZO DEL VENEZIANO
Aria o miscela?
Sicuramente la profondità massima limitata ai 51 metri permette l’uso dell’aria compressa in un margine di adeguata sicurezza. Questo non vuol dire che l’immersione debba essere presa con leggerezza o che possa essere svolta da tutti i subacquei. Il tipo di immersione è rivolta a subacquei esperti di immersione profonda e sui relitti.
Vista la profondità comunque già impegnativa il tempo di fondo seppur breve porterà ad accumulare decompressione.
A vantaggio di sicurezza io consiglierei, anche se l’immersione si svolge in aria compressa, un equipaggiamento tecnico. Minimo bombola con doppio attacco, meglio un bibombola con una decompressiva di ossigeno o di nitrox. Vivamente consigliati un pallone di segnalazione ed un reel.
Alla profondità di 50 metri ,gli effetti negativi della narcosi d’azoto potrebbero già farsi sentire e l’ideale per debellarli totalmente può essere l’uso di una miscela normossica, formata dal 21% di ossigeno puro ed il 20% di elio ,che portano il livello narcotico ad una profondità di circa 34 metri. Con tale lucidità mentale l’immersione ,anche in condizioni di visibilità ridotta,viene svolta in assoluta sicurezza e tranquillità.
Il relitto giace in assetto di navigazione e la discesa diretta nel blu, viste le sue dimensioni ridotte, nelle giornate di buona visibilità ce lo fa apparire nella sua interezza già intorno ai 30 metri. Arrivati sul ponte si inizia il giro di perlustrazione verso la parte di poppa sfondata e infossata nella sabbia. Sono ancora visibili i resti disordinati delle protezioni del cannoncino di poppa e della bomba di profondità ormai allagata, minacciosamente appoggiata sul lato di dritta, come se dovesse essere pronta allo sgancio. Vicino sono ben distinguibili i resti dei supporti per il battello di salvataggio, dove a gelosi custodi si vedono solitamente due fieri scorfani.
Ci avviciniamo ora all’ingresso della sala macchine molto stretto ed angusto, dove facendo capolino e puntando una potente torcia all’interno possiamo distinguere distintamente i grossi motori in linea d’asse e due piccoli compressori che dovevano servire presumibilmente per l’avviamento. Sulla volta gli osteriggi intatti lasciano filtrare suggestivi fasci di luce, offrendo al subacqueo una visione quasi irreale.
Girando lo sguardo verso poppa ci appaiono dal buio della sala macchine il quadro elettrico con i bianchi fusibili ben distinti e le maniglie dei potenziometri fermi e pronti ad essere avviati. Su ogni lato possiamo distinguere nettamente le numerose lampade con ancora le lampadine all’interno. Il buco della sala macchine è un ‘ottima dimora per corvine e grossi gronghi che lì hanno fatto il loro fisso insediamento, testimoni omertosi dei segreti nascosti nei luoghi più angusti dello scafo. Finita la perlustrazione della sala macchine, proseguiamo verso la parte prodiera dove la prua sottile ci appare in tutta la sua fierezza, protesa verso la superficie, a monito di una sconfitta non ancora avvenuta. Nella parte di prua vi sono due linee di osteriggi ancora tutti con gli oblò e i vetri integri.
Nella zona dove vi era il ponte di comando scopriamo la bussola con un piccolo granchio al suo interno, il faro di segnalazione, il telegrafo di macchina, la seconda bussola, in condizioni migliori della principale e le due luci di via, che illuminate dalle torce fanno apparire un forte colore rosso fuoco provocato dai vari microrganismi insediatisi sulla loro superficie.
Diametralmente opposta troviamo adagiata sul ponte la mitragliatrice Breda, con accanto il suo piedistallo ed il caricatore a banana gelosamente nascosto ed incrostato con gli altri oggetti.
Sul punto estremo della prua vediamo il grosso argano che serviva per il recupero dell’ancora e uno sfiato a mare si affaccia un piccolo grongo, timidamente incuriosito da chi non invitato disturba la quiete della sua dimora. A questo punto possiamo uscire dalla nave e godercene la visione frontale dal basso verso l’alto.
Ai lati della prua sono visibili l’occhio di cubia e gli oblò delle cabine con i vetri intonsi, un vano che resta ancora un totale mistero. Possiamo raggiungere la cima di risalita e avere così la visione della nave che lentamente si allontana ai nostri occhi per nascondersi nell’intenso blu del mare.
SCHEDA TECNICA
SCAFO MISTO CON CARENA NORMALE
DISLOCAMENTO CIRCA 90T
DIMENSIONI
LUNGHEZZA 34,1 MT
LARGHEZZA 5 MT
IMMERSIONE 2,1 MT
APPARATO MOTORE 1 MOTORE A SCOPPIO ISOTTA FRASCHINI
2 MOTORI A SCOPPIO CARRARO
3 ELICHE
POTENZA COMPLESSIVA 1100 HP
VELOCITA’ MASSIMA 19 NODI
COMBUSTIBILE 8T
ARMAMENTO 2 LANCIASILURI AD IMPULSO LATERALE DA 450MM
1 / 2 MITRAGLIERE BREDA DA 20/65MM
2 FUCILI MITRAGLIATORI BREDA DA 6,5 MM
1 TORPEDINE DA RIMORCHIO DA 75 KG
2 TRAMOGGE PER 30 B.T.G. DA 104 KG
EQIPAGGIO 26 UOMINI
I PARTECIPANTI ALLA SPEDIDIZIONE
Bacchetta Eva
Bozzo Gianluca
Croce Massimo
Dattola Lorenzo
Del Veneziano Lorenzo
Demoro Fabrizio
Giordani Luca
Ortolani Rizia
Tutino Andrea
Piga Maurizio
Vecchi Davide
SUPPORTO LOGISTICO E ASSISTENZA
Traverso Stefania
Di maglio Pietro
SPONSOR
Si ringrazia:
DIVE SYSTEM fornitura jacket e mute
FA&M fornitura torce
DIVE TECHNICAL CENTER fornitura bombole
DISTILLERIE DURBINO
Un particolare ringraziamento a:
Rizia Ortolani per la ricerca e la disponibilà
Luca Giordani per le riprese video
Gianluca Bozzo per l’aiuto e l’interessamento
Centro Sub Tigullio Via Corsi 1- 23 16154 Genova P.I. 01194390991 tel. 010/3074294 cel. 347/5345668
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