Se amate davvero il mare, lasciate il più possibile le creme solari sugli scaffali dei supermercati, e dedicatevi casomai a una tintarella morigerata e un po’ snob: le Dame nel Medioevo – per esempio – si esponevano ai raggi di luna nell’intento di incarnare il più abbagliante e signorile candore!
Più seriamente: ci si può attivare nella ricerca di prodotti alternativi – magari di erboristeria – meno aggressivi e “amici dell’ambiente”.
Non è una mania da “Mediterrean Extremist” o da “Hard Oceanist” ( tanto per giocare con immaginari nomi di movimenti ambientalisti), ma la razionale conclusione di uno studio realizzato dal Dipartimento di Scienze e della Vita dell’Università Politecnica della Marche, che mette nero su bianco proprio questo: all’ambiente marino certe creme solari fanno tutt’altro che bene.
È questo il messaggio di un viaggio di istruzione sullo stato di salute dei reef corallini in Madagascar coordinato dal professor Carlo Cerrano, a cui hanno partecipato 14 studenti: Martino Ilacqua, Enrico Manfredini, Simone Fazio, Alberto Colletti, Elisa Laiolo, Vittoria Ghiglione, Lucia Ventura, Selene Di Genio, Cecilia Varotti, Matilde Baruffaldi, Marilyn Carletti, Agnese Riccardi, Antonietta D’agnessa, Giorgia Luzi.
Professor Cerrano, non si tratta solo di ricerca ma anche di uno sforzo di sensibilizzazione su questo tema
«Le creme solari possono rilasciare sostanze particolarmente dannose per la salute degli organismi marini e il gruppo di ricerca del professor Danovaro del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente ha brevettato dei prodotti cosmetici totalmente atossici per i reef. Questo viaggio è stato anche un’opportunità per stimolare gli studenti a essere di esempio nei comportamenti virtuosi e attenti alla salute del mare».
Che cosa vi proponete e che risultati avete ottenuto?
«Dal punto di vista della sensibilizzazione al problema lo spin-off Eco-reach ha fornito ai partecipanti della spedizione le creme solari e materiale informativo da diffondere al resort – l’Eden Village Royal Beach Hotel di Nosy Be, Madagascar – che ha ospitato la spedizione; la buona notizia è che il direttore della struttura, Antonio Pittalis, ha deciso di mettere a disposizione dei turisti materiale illustrativo per accrescere la loro consapevolezza sugli effetti di questi prodotti sull’ambiente marino».
Perché è stato scelto proprio il Madagascar per effettuare questo studio?
«Tutti i reef del pianeta sono in rapido declino, ma in alcune aree tale processo non sembra concretizzarsi con la stessa intensità e frequenza. In Indonesia i fenomeni di bleaching sono stati documentati più raramente rispetto ad Australia, Caraibi, Maldive o alcune isole del Pacifico. Anche i reef africani sembrano meno colpiti ed i reef del Madagascar rientrano in questo raggruppamento. Le cause non sono chiare ma il livello di sviluppo potrebbe essere una concausa».
Che tipo di indagine avete svolto?
«Il protocollo Reef Check è utilizzato in tutto il mondo per fare valutazioni rapide sullo stato di salute dei reef, prendendo in considerazione una serie di specie indicatrici (sia pesci che invertebrati) e presenza di coralli sbiancati o con patologie. Applicando questa metodologia in zone protette e non protette i dati preliminari hanno evidenziato che localmente è presente un impatto della pesca, ma solo relativo alla pesca artigianale, con scarso impatto sull’integrità del reef. La biodiversità dei reef del Madagascar è in declino secondo gli operatori che lavorano su quei reef da anni ma, rispetto ad altri reef del pianeta, le loro condizioni sono più che buone ed è quindi urgente documentare la struttura di questi reef per garantirne un adeguato grado di protezione».
Quindi la situazione in Madagascar non è drammatica?
«Il Madagascar è caratterizzato da un’elevatissima biodiversità e da attività turistiche in rapido aumento, che non hanno però ancora irrimediabilmente alterato l’ambiente marino. Gli studenti hanno così avuto la possibilità di studiare questi ecosistemi in condizioni quasi ottimali. Due immersioni al giorno, sei siti esplorati, controllo dei dati raccolti, identificazione dei principali generi di coralli in immersione e presentazione di un progetto di ricerca scaturito dall’osservazione dei reef analizzati. Un’attività concentrata in sei giornate intense, dove gli studenti hanno potuto applicare il protocollo internazionale di monitoraggio “Reef Check” e osservare l’impressionate biodiversità di questi habitat in pericolo, da loro conosciuti fino a questo momento solo tramite lo studio teorico».
Le conclusioni di questi sei giorni di studio?
La collaborazione con il “Manta Diving” di Nosy Be ha permesso ai ragazzi che hanno svolto lo studio di acquisire dettagliate informazioni sulle attività umane presenti nell’area di studio, utili per una corretta interpretazione dei dati raccolti. I reef visitati, in parte protetti e in parte no, hanno evidenziato in generale un buono stato di salute, ma le conseguenze delle attività di pesca sono evidenti e, vista la rapida espansione del turismo, potrebbero drammaticamente aumentare. Sui coralli non sono state evidenziate patologie importanti, tuttavia sono state individuate numerose specie indicatrici di stress del sistema, facendo capire l’estrema fragilità degli equilibri del reef».
Industria turistica ed etica ambientale
Il problema del turismo di massa nei cosiddetti “paradisi naturali” si traduce in effetti anche in rilevanti problemi ambientali ed etici. Etici perché si tratta di capire se in queste zone del mondo, spesso svantaggiate ed economicamente arretrate (dove probabilmente l’ambiente si è conservato proprio grazie alla scarsa antropizzazione), i vantaggi economici derivanti dall’industria turistica vanno a beneficio delle comunità locali o delle multinazionali del settore. Ed etico-ambientali perché collegato al primo problema c’è fatalmente l’impatto ecologico: in primo luogo per l’afflusso di grandi masse di persone, e poi perché se il vantaggio economico non innesca uno sviluppo locale, ma si traduce solo in un prelievo di risorse economiche da parte di soggetti che non hanno interesse per il territorio su cui operano, difficilmente ci sarà un adeguato sviluppo di infrastrutture e servizi. A partire da efficienti impianti di trattamento e smaltimento rifiuti, senza i quali si innesca inevitabilmente un processo di inquinamento.
Gli atolli-discarica alla Maldive
Il risultato è che – come ormai si sta cominciando a comprendere – l’altra faccia della Maldive, (tanto per fare un esempio) sono gli atolli-discarica, vere e proprie “terre dei fuochi” dove vengono bruciati senza alcun filtro rifiuti indifferenziati dentro a enormi buchi nella sabbia, con produzione e diffusione di inquinanti anche molto tossici, come la diossina, che vengono poi assorbiti da terra, acqua, pesci, abitanti e… turisti!
I comportamenti quotidiani virtuosi
Ma se i “massimi sistemi” sfuggono al controllo dei singoli, ci sono quotidiani comportamenti responsabili che possono contribuire ad andare nella direzione giusta tra cui – appunto – un uso morigerato delle creme solari e in generale dei saponi e detersivi, ricordando che tutto, alla fine, finisce in mare!
Tutti del resto ricordiamo il monito di Sylvia Earle, biologa marina, autrice, esploratrice americana: “No water no life. No blue, no green”, piuttosto che il suo lapidario “No ocean, no us”, che tradotto in “italiano” suona più o meno così: «Cari sciocchi ometti, ricordatevi che se fate ammalare l’oceano sparite anche voi!».
E tornando allo studio svolto in Madagscar e alla relativa opera di sensibilizzazione su un corretto utilizzo di questi prodotti, che – anche se non si tratta del più rilevante problema di inquinamento – costituisce indubbiamente un esempio da seguire e da rilanciare.
Il grande ruolo della subacquea per la difesa dell’ambiente
“Non si può pretendere di fermare il progresso – conclude Cerrano – ma non possiamo continuare a ignorare i gravi disequilibri che le nostre attività stanno provocando nell’ambiente. La sfida per i biologi marini è aumentare rapidamente le conoscenze su questi sistemi complessi al fine di poter indirizzare il progresso sociale ed economico verso approcci sostenibili e oggi le conoscenze su come intraprenderli sono fortunatamente disponibili. La subacquea può giocare un ruolo importante in questa partita, rappresentando un mezzo di sensibilizzazione e formazione dalle potenzialità ancora ampiamente sottovalutate».
Fotosub di Cristina Gioia Di Camillo
Buongiorno a tutti, mi chiamo Sabrina sono instruttore Subacqueo e voglio avviare una onlus per sensibilizzare le nuove generazioni Sui problemi da inquinamento dei mari, promuovendo la subacquea per tutti nelle scuole! Vorrei poter contattare il Prof.Serrano, potete aiutarmi? Mille grazie Sabrina Ramburgo
Buongiorno Sabrina, può contatare il professor Carlo Cerrano all’indirizzo email c.cerrano@staff.univpm.it. Cordialità, Massimiliano Francia.