Autore: Livio Mario Cortese
Il golfo di Catania ricorda, a volte, la lama falcata di una machaira magnogreca. Tratti ellenici traspaiono ancora da alcuni visi e sguardi che fanno sussultare, come se in pochi secondi si dovesse balzare dal proprio tempo ad uno ancestrale. Anche le acque, complici in questo gioco, amano talvolta restituire frammenti di Magna Grecia, sebbene non sempre questi ricordi siano accolti col dovuto riguardo.
Il 3 Marzo 2012 eravamo in due sul fondale antistante il lido “Esagono” di Acicastello.
E’ una distesa di sabbia chiara ai piedi della franata lavica, intervallata da scogli e piccoli costoni. La visibilità era scadente e forse stavamo chiedendoci il senso di passeggiare a -40 m proprio quella mattina. Stiamo per staccarci dal fondo, quando il mio compagno (colpo d’occhio allenato da anni di pesca subacquea) mi indica un punto alla base d’una di queste rocce isolate. Ci avviciniamo: tra la sospensione appare un’anfora sepolta fino al collo. Ritornare s’impone, ma con accanto l’emozione che dovrà accompagnare tutto il lavoro dei mesi seguenti.
Decidiamo di procedere lungo la via più intricata, ma formalmente corretta: tramite l’associazione “Brezza di Mare” -cui apparteniamo- il ritrovamento viene denunciato alla Sovrintendenza del Mare.
Riceviamo in appoggio il dott. Philippe Tisseyre e l’archeologa Teresa Saitta: nel corso delle immersioni si occuperanno d’inquadrare storicamente quello che sempre più si configura come un sito archeologico.
Foto di Massimo Ardizzoni
Foto di Massimo Ardizzoni
In una ricognizione successiva viene rinvenuto un ceppo d’ancora di provenienza cartaginese, incastrato dentro una profonda spaccatura sulla parete a -25 m. E’ il primo dei recuperi, e mette seriamente alla prova la pazienza e le competenze di tanti subacquei che, fino ad allora, hanno conosciuto soltanto passeggiate turistiche. Il risultato è positivo e formativo un po’ per tutti. Già ad Aprile si sono identificate altre due anfore entro la batimetrica dei -40 m. La prima seria operazione di recupero è preceduta da rilevamenti operati da più squadre, coordinate da Riccardo Leonardi e Giancarlo Tatoli; si scava con la sorbona attorno alle anfore, mentre il raggio della ricerca viene ampliato fino alla profondità massima di -46 m . Qui, dopo un breve salto, la pendenza s’arresta su un pianoro sabbioso. Riemergiamo talvolta con altre testimonianze frammentarie, che ai più non dicono molto: tra queste, attirano l’attenzione un filtro in terracotta di fattura araba (X-XI secolo d.C.), una pentola in coccio di epoca tardo romana e diversi anelli da disincaglio (questi datati tra V e IV sec. a.C.). Quanto alle tre anfore, l’idea è che possano provenire da un relitto. La loro posizione s’inscrive idealmente entro un triangolo, sui cui vertici lavoreremo per estrarle dalla sabbia.
Foto di Associazione “Brezza di Mare”
Foto di Associazione “Brezza di Mare”
Foto di Associazione “Brezza di Mare”
Il 5 Maggio 2012 emerge la prima anfora.
Ultimata la sorbonatura, il reperto viene imbragato a un pallone da sollevamento e condotto in superficie, caricato su un gommone e finalmente deposto a terra. Procediamo poi a svuotarlo dal fango, cercandovi piccole tracce utili ad una datazione. Rinveniamo vari tipi di conchiglie e concrezioni progressivamente più antiche; alla fine lo stile risulterà essere corinzio, risalente al VI sec. a.C.
La prima anfora è affidata, insieme al ceppo d’ancora, al Museo del Mare di Ognina; nelle settimane successive verranno poi recuperate le altre, queste parzialmente frammentate e oggi in corso di ricostruzione. Un altro passo è rappresentato dal recupero di un dolium, ridotto in una ventina di grossi frammenti sparsi lungo la franata; quest’azione viene portata a termine nel Gennaio 2013, impiegando palloni da sollevamento dai 30 ai 500 kg.
Durante i primi mesi del 2013 la struttura è stata ricomposta e, al principio dell’estate, ridisposta sul fondale secondo la collocazione originale. Oggi si lavora ad un percorso archeologico analogo a quello già realizzato nel contiguo sito di Capomolini, dov’è visibile una serie d’ancore delineante 2500 anni di navigazione nello Ionio.
Foto di Livio M. Cortese
Foto di Livio M. Cortese
Il progetto di un cantiere archeologico, dove possano operare professionisti e addestrarsi subacquei sportivi, è stato approvato ed attende un’ufficiale messa in atto; intanto il sito è quasi quotidianamente percorso dai subacquei dell’associazione “Brezza di Mare” per ampliare i rilevamenti, documentarli fotograficamente e proseguire la ricerca.
Un aspetto diverso della questione riguarda i suoi protagonisti. Nel corso di due anni, circa quaranta persone si sono accostate a quest’operazione. Abbiamo visto alcuni ruoli consolidarsi nelle figure dei coordinatori, divisi tra l’aspetto rappresentativo e quello operativo. Altri non hanno ricoperto funzioni fisse, svolgendone invece diverse e, di volta in volta, essenziali: documentazione video e fotografica, sicurezza nel corso delle immersioni (aspetto che può sembrare marginale, finché non si debba far fronte a reali imprevisti), trasporto di attrezzature e reperti. Il dato più notevole è stato la trasformazione da subacquei -abituati ad un approccio all’immersione generalmente ludico- a membri di una squadra che non ha avuto simboli o contrassegni risonanti, ma ha saputo comportarsi secondo le necessità. Molti sono riusciti a spogliarsi da tutti gli orpelli che rendono “sport” l’immersione, per giungere ad un’autentica disciplina. Disciplina di sé: nell’equipaggiarsi e nel muoversi, concentrati ed essenziali. Ciascuno, secondo la propria possibilità, ha intravisto nell’azione pratica il riflesso di un atto
più intimo e personale: una crescita.
Il complesso dei lavori ha poi ricevuto il nome di “Theocles” e quindi il ricordo del primo greco giunto sulle coste siciliane, un ventennio prima della fondazione di Roma.
Orgogliosi di un passato che ancora si trasmette -in silenzio, con forza- attraverso ogni nostro giorno presente, intendiamo proseguire questa strada con cura e rispetto.
Foto di Aurora Romeo
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