Immersione subacquea con rebreather…come pesce tra i pesci
Noi subacquei amiamo fare immersione. Amiamo alla follia immergerci, tanto da soprassedere sui tanti aspetti lievemente spiacevoli della subacquea. Trasportare pesanti attrezzature, perdere tempo a ricaricare bombole e bibombola, respirare gas freddo e secco, percepire quel brividino di freddo continuo, durante l’immersione, e poi…il tempo di fondo non è mai abbastanza, e la deco è sempre più lunga di quanto vorremmo. E non parliamo poi delle bolle, che spaventano i pesci, facendoli scappare, o rovinano la foto perfetta, in cui il nostro buddy illumina il soggetto giusto mentre noi stiamo per scattare la foto del secolo, ma proprio in quel momento espira e le bolle rovinano l’immagine e demoliscono il nostro futuro da reporter del National Geographic.
E non parliamo poi dei tuffi in trimix! Quanto è grande il nostro amore per le immersioni fonde, lo dimostra lo spirito zen con cui paghiamo la ricarica di un 10 + 10 in trimix. E tutto questo, per ogni singola immersione: carica, paga, trasporta, monta, smonta, ricarica e rimonta. Un loop al limite del sadomasochismo.
Finché un giorno ne abbiamo abbastanza e siamo finalmente pronti a dire addio a tutto ciò! Non alle immersioni, ben inteso, ma al circuito aperto, entrando finalmente nel mondo dei rebreathers!
Cosa sono e come funzionano i rebreathers
I rebreathers sono autorespiratori SCUBA che riciclano il gas espirato dal subacqueo durante l’immersione. Se il gas viene riciclato totalmente, parliamo di autorespiratori a Circuito Chiuso. Se il gas viene riciclato solo parzialmente, parliamo di autorespiratori a Circuito Semichiuso.
Il gas riciclato viene “trattato” dal rebreather, che elimina l’anidride carbonica, reintegra l’ossigeno consumato dal metabolismo del subacqueo, umidifica e riscalda il gas e permette di mantenere la PpO², ovvero la pressione parziale dell’ossigeno nel gas respirato, al valore ottimale stabilito dal subacqueo. Tutto ciò garantisce miglior comfort respiratorio e termico, tempi di fondo maggiori con minori obblighi decompressivi (perché si respira sempre la best mix ad ogni profondità) e una semplificazione logistica (minori volumi di attrezzatura, meno gas necessario, meno costi di ricarica). Un miglioramento incredibile nella godibilità di ogni immersione!
Mini storia dei rebreathers
I rebreathers hanno avuto origine in Europa a metà dell’Ottocento. Nati inizialmente come dispositivi per il soccorso dei dispersi in ambiente minerario, sono poi stati acquisiti, intorno agli anni ’20 del secolo scorso, dagli ambienti militari. Qui sono stati messi a punto rudimentali rebreathers fondamentalmente destinati al salvataggio dei sommergibilisti, che li avevano a disposizione per abbandonare il battello in caso di affondamento.
Solo all’alba della Seconda Guerra Mondiale, la Regia Marina italiana ha avuto l’intuizione di utilizzare questi apparati a scopo offensivo, sviluppando l’ARO, un autorespiratore a ossigeno utilizzato dai nostri uomini gamma in alcune epiche operazioni di attacco alle forze nemiche.
Dopo la Guerra, con la nascita della subacquea sportiva e ricreativa, sono nati gli autorespiratori a circuito aperto, che hanno avuto una enorme diffusione fino ai giorni nostri, mentre i rebreathers sono rimasti confinati all’ambito della subacquea militare e commerciale.
L’evoluzione dei rebreathers nel mondo sportivo
È stato negli anni ’70 che i subacquei sportivi hanno iniziato a “rispolverare” i rebreathers. I grandi progressi della subacquea tecnica hanno portato a pianificare ambiziose esplorazioni subacquee. Si sentiva l’esigenza di immersioni più profonde, più lunghe e con meno decompressione.
Specie in ambito speleosubacqueo, il desiderio di esplorare e mappare grandi sistemi speleologici sommersi (pensiamo al progetto di esplorazione di Wakulla Springs negli USA o alle imprese di Olivier Isler nelle grotte europee), ha portato allo sviluppo di nuovi prototipi di rebreather, sempre più performanti e sicuri, che potessero permettere immersioni lunghe e complesse.
Sviluppo negli anni ’90
Negli anni ’90, infine, hanno iniziato ad apparire su mercato i primi rebreathers di serie, destinati non solo al mercato militare e commerciale, ma anche a quello ricreativo e scientifico.
Oggi in commercio si trovano numerosi modelli, la maggior parte dei quali a Circuito Chiuso con controllo Elettronico.
Formazione e sicurezza
Ad accomunare tutti questi dispositivi, un’unica importante caratteristica: il loro utilizzo richiede una formazione specifica da parte di un istruttore certificato. La formazione è specifica per ciascun determinato modello di rebreather, poiché è perfettamente centrata sulle indicazioni della casa produttrice stessa.
Il subacqueo che vuole approcciarsi al Circuito Chiuso dovrà dunque frequentare un corso “macchina specifico”, ottenendo un brevetto che lo abiliterà ad effettuare immersioni solo ed esclusivamente con un determinato modello di autorespiratore.
Questo, al fine di garantire una conoscenza completa ed esaustiva della macchina, della tecnica di immersione, della preparazione e manutenzione del reb e, di conseguenza, la massima sicurezza.
OK, ma…com’è fatto un rebreather?
Struttura del rebreather
Per quanto ogni rebreather in commercio abbia differenti soluzioni tecniche, hanno tutti una struttura di base costituita dai seguenti elementi:
Il circuito respiratorio
Il circuito respiratorio (formato da boccaglio, corrugati, sacchi polmone, filtro, vie aeree e polmoni del subacqueo), di seguito definito, secondo la terminologia anglosassone, breathing loop. In esso avviene la circolazione del gas, che procede in un’unica direzione, grazie alla presenza di valvole di non ritorno. Il gas espirato da subacqueo procede nel loop in direzione prestabilita, così che possa essere inspirato di nuovo solo dopo essere passato prima nel filtro (dove viene rimossa la CO²) e poi nel sacco di inspirazione (dove viene addizionato nuovo ossigeno, quando necessario).
Il sistema pneumatico
Il sistema pneumatico, costituito dall’insieme di bombola/bombole di gas, riduttori di pressione, manometri, fruste e raccordi, che fornisce gas al circuito respiratorio.
Il filtro
Il filtro, che elimina la CO² dal gas espirato dal subacqueo, prima che questo venga reso nuovamente disponibile per l’inspirazione, condizione necessaria per evitare l’ipercapnia (con intossicazione da Anidride Carbonica potenzialmente letale).
Il Bail Out
Il Bail Out. Qualunque sia il rebreather che usiamo, ad esso è sempre affiancato un sistema di respirazione di emergenza, da usarsi nel caso di avaria del rebreather stesso.
Il subacqueo deve cercare di prevenire, per quanto possibile, tali avarie. Il consiglio è innanzitutto quello di acquistare una buona macchina. Dotarsi di un rebreather prodotto su larga scala, da aziende di rilievo internazionale, dotato di certificazione CE, nuovo o pari al nuovo (se acquistato usato), è un buon punto di partenza.
Seguire scrupolosamente le istruzioni di uso e manutenzione, acquistare ricambi originali e i materiali di consumo suggeriti dalla casa produttrice, è un altro elemento imprescindibile.
Ciò nonostante, può comunque verificarsi un malfunzionamento del reb tale da impedirci di proseguire la respirazione nel loop. Proprio per questo è OBBLIGATORIO portare con sé. un adeguato sistema di respirazione di emergenza detto BAIL OUT. Esso può essere rappresentato da una o più bombole (Bail out in circuito aperto) o da un secondo reb (Bail out in circuito chiuso). La scelta e la gestione del bail-out sono di fondamentale importanza per la sicurezza dell’immersione, perciò sono oggetto di una specifica trattazione nella formazione degli aspiranti rebreather divers.
Classificazione e tipologie di rebreathers
La classificazione dei reb distingue fondamentalmente due grandi categorie:
- Rebreathers a Circuito Chiuso
- Rebreathers a Circuito Semi- chiuso
Mentre i primi riciclano totalmente il gas del circuito respiratorio, i secondi eliminano regolarmente una parte del gas, sostituendolo con nuovo gas in modo misurato.
Il circuito chiuso, riciclando integralmente il gas, offre migliori prestazioni in termini di risparmio di gas e di efficienza termica. Probabilmente per questo, nell’ambito della subacquea sportiva, i reb a circuito semichiuso sono estremamente meno diffusi dei circuiti chiusi.
Per questo, continueremo la nostra piccola trattazione occupandoci, d’ora in poi, esclusivamente ai CCR, i rebreathers a circuito chiuso.
I CCR – rebreather a Circuito Chiuso
Esistono diverse tipologie di CCR:
- CCR Elettronici
- CCR Manuali
- CCR Chimici
- CCR Ibridi
Nei Circuiti Chiusi a Controllo Elettronico, per brevità E-CCR, dei sensori (solitamente celle galvaniche) misurano la quantità di ossigeno presente nella miscela respiratoria del loop. Questi dati vengono trasmessi a un computer che traduce questo valore in Pressione Parziale dell’O2. Il computer gestisce, in modo totalmente autonomo, l’erogazione di ossigeno nel loop (che avviene attraverso una valvola solenoide), mantenendo la PPO2 al valore (set point) scelto dal subacqueo.
Funzionamento del computer nei sistemi a circuito chiuso
Il computer calcola inoltre la decompressione e, nei reb dotati di sensori sul funzionamento del filtro, anche una stima di autonomia residua del filtro. In tal modo il computer fornisce al subacqueo tutte le informazioni utili alla gestione dell’immersione, liberandolo inoltre dall’incombenza di dover mantenere in mono manuale la giusta pressione parziale dell’Ossigeno. Il computer inoltre, tramite segnali luminosi (led), acustici (cicalino) e vibratori (vibrazione dell’handset o del boccaglio), avvisa il subacqueo di eventuali anomalie, mantenendo altissimi i livelli di sicurezza.
Ecco perché la maggior parte dei reb utilizzati dai sub sportivi rientra in questa categoria.
Circuito chiuso a controllo manuale
I Circuiti Chiusi a controllo Manuale sono macchine più semplici in quanto prive di molteplici parti elettroniche e software, presenti invece nei E-CCR. Essi tuttavia richiedono un attivo e costante intervento da parte del subacqueo per la verifica periodica della miscela e l’iniezione manuale dell’Ossigeno garantendo il conseguente mantenimento della giusta PPO2 (se non si commettono errori!).
Hanno trovato un loro utilizzo un paio di decenni fa, prima dell’importante sviluppo elettronico di hardware e software. Sono stati impiegati soprattutto in ambito speleosub, dove i vantaggi legati all’autonomia ed assenza di bolle (e conseguente intorbidimento dell’acqua) sovrastavano i rischi legati all’errore umano di gestione manuale della macchina.
Circuiti chiusi “ibridi”
I Circuiti Chiusi “Ibridi” rappresentano una sorta di via di mezzo tra le due tipologie appena descritte. Prevedono l’immissione di ossigeno nel loop non solo tramite valvola solenoide, ma anche in forma di minimo flusso continuo di ossigeno.
Circuiti chiusi “chimici”
I Circuiti Chiusi “Chimici” li citiamo per dovere di cronaca, ma sono macchine primordiali che venivano usate in ambito militare, oggi non più impiegate proprio a causa della loro pericolosità e della necessità di impiego di prodotti chimici poco sicuri.
Backmount o sidemount?
Amate andare in acqua con la configurazione sidemount e pertanto credete di essere esclusi dal magico mondo del circuito chiuso? Ebbene, vi sbagliate. Sono oggi disponibili rebreathers con diversa configurazione, per venire incontro alle più disparate esigenze dei subacquei.
La configurazione più antica, oggi ripresa da alcuni modelli, è quella CHEST MOUNT. Il buon vecchio ARO in uso ai nostri Uomini Gamma durante la Seconda Guerra Mondiale aveva infatti questa disposizione anteriore.
La maggior parte dei modelli in commercio ha invece una classica configurazione BACKMOUNT, molto pratica perché consente di avere totalmente libera la parte anteriore del corpo, aumentando la libertà di movimento. I moderni sacchi polmone di tipo OTS (Over The Shoulders) o BMC (Back Mount Counterlungs) massimizzano inoltre il comfort respiratorio in ogni posizione assunta in acqua dal subacqueo.
Infine, negli ultimi anni sono apparsi alcuni modelli SIDEMOUNT, che possono rivelarsi particolarmente pratici nelle immersioni in grotta, nelle esplorazioni di relitti e come Rebreather di BailOut.
Addestramento e preparazione all’uso del Rebreather
Il successo di un’immersione in circuito chiuso si basa solo in parte sul perfetto funzionamento di un ottimo rebreather. L’elemento determinante è l’interazione uomo-macchina. La corretta preparazione, fisica, psicologica, tecnica e culturale del subacqueo riveste, nell’immersione in Circuito Chiuso, un’importanza ben maggiore che nel Circuito Aperto.
Ecco perché è fondamentale approcciarsi al rebreather diving solo dopo aver seguito e superato un percorso formativo con un istruttore abilitato a insegnare la tecnica di immersione sulla macchina prescelta.
Che scegliate l’istruttore e di conseguenza la macchina, o viceversa, il risultato non cambia! Bisogna rimboccarsi le maniche e prepararsi a ripartire da zero.
Avere una grande esperienza nel circuito aperto, anche nell’ambito delle immersioni tecniche, può certamente aiutare, ma non garantisce l’avere un’immediata padronanza del rebreather. È ovviamente un buon punto di partenza, perché ci dà una buona confidenza in acqua e nella gestione delle attrezzature, ma può rivelarsi un’arma a doppio taglio, quando l’eccessiva sicurezza si traduce in scarsa disponibilità a ricominciare dalle basi.
Prerequisti per corso Reb
Dobbiamo approcciarci al corso Reb, con lo stesso atteggiamento con cui si affronta il corso Open Water Diving: entusiasmo, curiosità, voglia di imparare e l’umiltà del principiante assoluto!
Le agenzie didattiche hanno diversi prerequisiti per l’iscrizione al corso CCR Diving di primo livello (che abilita a effettuare immersioni con diluente aria). Mentre alcune richiedono esclusivamente la maggiore età, il brevetto Advanced Open Water e Nitrox con almeno una ventina di immersioni registrate, altre invece pongono come prerequisito anche un brevetto tecnico di primo livello e un po’ di immersioni tecniche nel proprio logbook.
Dopo aver conseguito il brevetto CCR di primo livello, è possibile proseguire la formazione, introducendo altre miscele come diluente, così da poter estendere il campo di utilizzo del reb a profondità maggiori.
Alcune didattiche offrono poi ulteriori specialità, come corsi CCR Speleo (Cavern e Cave) e CCR sidemount.
I pro e i contro dei Rebreather
Partiamo subito dai (pochi) contro dell’uso del Rebreather:
- Elevati costi iniziali: l’acquisto di un reb, anche usato, ha dei costi piuttosto elevati rispetto all’acquisto della semplice attrezzatura SCUBA per circuito aperto. L’investimento viene ripagato da tutti i vantaggi di cui sotto, specialmente se si effettuano abitualmente immersioni tecniche in trimix.
- Necessità di una ulteriore formazione: i corsi necessari a imparare a immergersi col reb hanno un costo economico e di tempo chiaramente non trascurabile.
- Gestione logistica non facilissima in caso di viaggi: non ovunque nel mondo è possibile trovare centri che carichino ossigeno (per la ricarica dei bombolini) e che dispongano di calce sodata per il filtro. Inoltre, spedire il proprio reb ha dei costi decisamente più elevati che trasportare un octopus nel bagaglio a mano. Pertanto, ci saranno delle occasioni in cui anche i CCR divers più convinti partiranno in vacanza lasciando a casa il proprio reb (sentendone tanto la mancanza).
Vantaggi dei rebreather:
- Minore consumo di gas, con la possibilità di effettuare immersioni più lunghe, senza il rischio di esaurire il gas. Inoltre il costo di ricarica dei bombolini è irrisorio, rispetto alla ricarica di bibombola e decompressive, specialmente se si utilizzano miscele trimix.
- Maggiore tempo di fondo e minori obblighi decompressivi: l’E-CCR fornisce al subacqueo, in ogni istante dell’immersione, la best mix, ovvero la miscela con più ossigeno e meno azoto possibile per quella determinata quota. Nelle immersioni con diluente aria e bassa profondità, questo comporta una dilatazione notevole del No Decompression Limit, minore narcosi e una decompressione più breve.
- Migliore comfort termico: la reazione esotermica di captazione della CO2 da parte del filtro determina il riscaldamento e l’umidificazione del gas nel loop. Questo riduce la dispersione termica e la disidratazione del subacqueo, con conseguente aumento del comfort e della sicurezza (non dimentichiamo il legame tra freddo, disidratazione e malattia da decompressione).
- Minor peso e volume dell’attrezzatura: Il peso complessivo del reb è spesso molto ridotto e inferiore a quello di un bibombola. Soprattutto nelle immersioni tecniche, movimentare un bibo è molto più faticoso che spostare un reb, il quale peraltro può essere trasportato smontato, con ulteriore vantaggio per la schiena dei subacquei!
Inoltre, ha solitamente un volume inferiore al bibombola, con conseguente maggiore comodità di vestizione e uso in acqua, specie per i subacquei di corporatura minuta e altezza ridotta.
- Ridotta emissione di bolle: solo nella risalita il CCR diver emette piccole quantità di bolle. Durante la discesa, a causa dell’aumento di pressione ambientale, il gas nel loop si riduce di volume. Il sub deve quindi addizionare del diluente, così da mantenere un volume di gas sufficiente a permettere la respirazione. Nella risalita, poiché la pressione ambiente diminuisce, il gas nel loop si espande.
Il sub deve dunque espellere parte del gas, per mantenere il giusto volume respiratorio e il giusto assetto. A parte questi pochi momenti, durante l’immersione l’emissione di bolle è pari a zero. Il subacqueo risulta dunque silenzioso e può avvicinarsi maggiormente agli animali marini prima che questi fuggano. Questo comporta un gran vantaggio soprattutto se si vogliono scattare foto ravvicinate.
Inoltre, non emettere bolle migliora tantissimo la qualità e la sicurezza delle immersioni su relitto e in grotta. Le bolle emesse dai sub, infatti, possono distaccare particelle di materiale dalle pareti di metallo o roccia. Questo comporta spesso una pericolosa riduzione della visibilità, oltre a un danno strutturale ai siti di immersione.
- Necessità di una ulteriore formazione: è vero, questa voce era stata già indicata tra gli svantaggi. A ben guardare, però, a parte l’impegno di tempo e denaro che un nuovo corso richiede, è anche vero che frequentare un corso Reb permette di ampliare le proprie conoscenze di fisiologia e di tecnica dell’immersione. Ci consente di metterci alla prova, memorizzando nuovi protocolli, imparando a eseguire nuove manovre e a migliorare le nostre capacità di pianificazione. Ci impone di approcciarci con ancora più serietà e consapevolezza all’immersione, specialmente alle immersioni tecniche più impegnative. Metterci un reb sulle spalle ci costringe ad accendere il cervello e imparare cose nuove. E questo è sicuramente uno dei vantaggi più grandi!
Articolo a cura di Eleonora Medda e Gabriele Paparo
Se sei interessato a un corso sul Rebreather puoi contattare l’associazione Exploceans
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