Il noto ambientalista e subacqueo tarantino Fabio Matacchiera ha individuato delle imponenti strutture di pietre a secco sommerse al largo della costa brindisina. Secondo gli esperti, risalirebbero al Medio Evo e sarebbero state realizzate dall’uomo, per la raccolta e la produzione del sale (quando ancora non erano state sommerse dal mare) dall’anno 1000 fino al 1700.
Le strutture (Matacchiera ne ha individuate 2 al largo di Brindisi) possono essere riconosciute solamente dall’alto, da un aereo o da un drone, perché un sommozzatore non può avere la percezione del loro insieme, essendo formazioni molto grandi e costituite da pietre diverse per forma e dimensione. Infatti, una visuale così ravvicinata che può avere un sub, considerando il fondale di soli 2 metri, risulta troppo parziale e relativa e nasconde la forma ampia e molto regolare creata dalla mano dell’uomo e non dalla natura.
Da una ricerca approfondita, sembra accertato che non esistono riferimenti su questo specifico ritrovamento sommerso fatto dall’ambientalista tarantino. Si sa, invece, dai documenti di archivio che almeno dall’anno 1000 se non prima, in quelle aree del brindisino vi fosse una intensa attività di raccolta e di produzione del sale proprio attraverso enormi vasche rettangolari situate a terra, a immediato contatto col mare, per raccogliere l’acqua marina che, decantando e asciugandosi al sole, rilasciava i cristalli di sale.
La parola al Prof. Mario Lazzarini, studioso di archeologia e autore di numerose pubblicazioni Storiche e Scientifiche
Le Saline di Punta Della Contessa (di Mario Lazzarini)
“La produzione del sale marino nell’antichità era una attività economica molto redditizia e diffusa soprattutto nelle aree costiere basse e soleggiate del Mediterraneo. Il sale era fondamentale non solo per l’alimentazione umana e animale, ma soprattutto per la conservazione di alimenti quali carne e pesce, in mancanza degli attuali sistemi di congelamento o surgelamento. Famose erano le saline tra Ostia e Fiumicino, sul litorale laziale, da dove il sale raggiungeva Roma sul Tevere e proseguiva con carovane verso l’Appennino lungo quella che appunto fu chiamata “via Salaria”. Inoltre il sale serviva in abbondanza per la produzione del “garum”, una salsa a base di pesce azzurro lasciato fermentare al sole con spezie, che in tutto l’Impero Romano era molto richiesta per condire varie pietanze, soprattutto di carne, e il cui uso durò ben oltre la fine dell’Impero Romano d’Occidente (avete presente la colatura di alici?).
Affidate in genere alla gestione di privati, sul sale lo stato prelevava una notevole tassazione che era una delle principali entrate dello stato romano. Perciò numerose saline sorsero sui litorali di Campania, Calabria, Puglia, Sicilia.
Nei documenti d’archivio risulta che a Brindisi nel Medioevo vi erano diverse saline, ma le più importanti erano quelle a sud della città sul tratto di costa che va da Punta Torre del Cavallo a Punta della Contessa. Goffredo conte di Conversano, reggente normanno della città di Brindisi, nel 1100 concesse alla Chiesa la decima per il sostentamento del clero su molte attività produttive, tra le quali anche le saline.
Le saline rientravano nei possedimenti del conte, e successivamente del Re, sia sotto la dinastia Angioina sia sotto quella Aragonese. Le Saline di Punta della Contessa rimasero in funzione fino a tutto il XVIII secolo, quando il loro sfruttamento cominciò a diventare antieconomico, nonostante il tentativo dei Borboni di istituire un «Dipartimento de’ Sali d’Otranto e Basilicata» che aveva l’obbligo di vendere il sale forzosamente a tutti i comuni dell’area. Cosicché nel XIX secolo le saline furono definitivamente abbandonate. La diffusione del sale di origine mineraria (salgemma), abbondante nelle miniere siciliane, rese non più conveniente la produzione di sale marino, oltre alle mutate condizioni commerciali nel Regno delle Due Sicilie.
Dunque le saline brindisine erano certamente in funzione almeno dall’anno 1000 e fino alla fine del 1700.
(Notizie tratte da «Le Saline della Contessa» di Nazareno Valente, 2018)
Oggi l’area è compresa nel Parco naturale regionale Salina di Punta della Contessa, istituito nel 2002 dalla regione Puglia, per la protezione di una ricca avifauna. Peccato che sorga tra la centrale termoelettrica ENEL di Cerano e il polo chimico Enichem, aree ad alto inquinamento industriale.
Si indicano come “saline” allo stato attuale una serie di laghetti e pozze d’acqua dolce ma comunicanti col mare attraverso canali naturali, piccoli stagni ricchissimi di avifauna, soprattutto fenicotteri. Ma nell’antichità era così?
I filmati e le foto realizzati nel sito dal noto ambientalista e subacqueo tarantino Fabio Matacchiera, con sopralluoghi personali anche in immersione nelle acque antistanti il Parco, rivelano per l’antichità medievale una realtà ben diversa e complessa, che giustifica l’importanza del commercio del sale per tanti secoli. A distanza anche notevole dalla costa (500 metri) e ad una profondità di almeno 2 metri dal livello attuale del mare, si vedono chiaramente delle strutture rettangolari di pietrame a secco, anche di grandi dimensioni, collegate fra loro: sono probabilmente i resti di grandi vasche per la raccolta del sale, rinforzate e ristrutturate in varie epoche per proteggerle dalla incessante erosione marina.
Ciò significa che in origine quelle vasche erano sulla terraferma a immediato contatto col mare, per raccogliere l’acqua marina che, decantando e asciugandosi al sole, rilasciava i cristalli di sale. Il fondo di queste costruzioni è ancora oggi cosparso abbondantemente di frammenti ceramici molto rustici, simili a tegole: ora noi sappiamo che nell’antichità (ma ancora oggi per esempio nelle saline di Marsala) le tegole erano utilizzate per coprire i cumuli di sale lasciato ad asciugare, per proteggerli dal vento e dalla pioggia che avrebbero potuto distruggerli.
Salina attuale: tegole che riparano il sale dalla pioggia e dal vento
Una salina dei tempi di oggi
L’area indagata dal sub Fabio Matacchiera è cosparsa di frammenti di tegole. Ciò confermerebbe la tesi del Prof. Mario Lazzarini circa la presenza di antiche saline medioevali, ormai sommerse, considerando anche la tipologia dei materiali adottati.
L’epoca a cui risalgono queste costruzioni non è facile da accertare, in mancanza di una campagna di scavo archeologica, ma una cosa è certa: l’evidente avanzata del mare che con l’innalzamento del suo livello e l’erosione incessante ha sommerso queste vasche, tanto che oggi la costa è ben più distante, anche diverse centinaia di metri. Il fenomeno lungo le coste pugliesi è ben noto e sta portando alla scomparsa di numerose spiagge e al crollo di falesie rocciose lungo il lato adriatico e quello jonico. Si calcola da recenti studi, sia archeologici che geologici, che il livello del mare negli ultimi 2000 anni si sia innalzato di 2,50 metri circa. Ma dirlo così è una cosa, vederne in maniera così chiara e sorprendente gli effetti è un’altra. Forse le vere Saline di Brindisi erano lì, in mezzo a quello che oggi è mare aperto”.