Possiamo affermare che la Grignetta stia all’alpinismo lecchese come la Bobbia agli speleosubacquei della zona. Facile da raggiungere, a nemmeno un’ora di strada, offre diverse possibili attività, dalle più semplici alle più difficili, in un ambiente tanto severo quanto spettacolare, proprio come la Grigna Meridionale. La visita sa regalare grandi soddisfazioni a chi vi si avventura con le giuste conoscenze, infatti per spingersi oltre il primo sifone è richiesta un’ottima preparazione sia speleologica che speleosubacquea.
La grotta è nota da sempre ai locali, mentre la sua storia speleologica inizia con le prime esplorazioni a fine anni Settanta; complice un lungo periodo di secca il primo sifone si prosciuga permettendo l’esplorazione di quasi centocinquanta metri di grotta fino ad un secondo sifone, questa volta perenne, dove le esplorazioni si arrestano.
Passano quasi dieci anni prima che si decida di affrontare l’immersione ed è il 1986 quando il Gruppo Speleologico Lecchese (CAI Lecco) riesce nell’impresa, superando anche un terzo e più lungo sifone e raddoppiando la lunghezza complessiva della grotta.
Oltre, la grotta cambia morfologia, gli ambienti si fanno grandi, laghetti interni si susseguono a sale e meandri, con bellissime zone concrezionate, rimaste preservate per migliaia di anni grazie all’ostacolo dei sifoni. Chi ha la fortuna e la possibilità di spingersi in queste zone ha l’assoluto obbligo di salvaguardarle, prestando attenzione e cercando di limitare al minimo l’impatto umano su un ecosistema tanto affascinante quanto delicato.
Come in passato un nuovo sifone ferma gli esploratori, ma questa volta la distanza dall’ingresso e le difficoltà logistiche sembrano insormontabili. Tra i sifoni, infatti, due stretti meandri da percorrere per alcuni tratti in opposizione sembrano spezzare il morale anche dei più masochisti tra gli speleologi.
È a questo punto che entra a far parte della storia della grotta un giovane di Lecco, Luigi Casati, promessa della speleologia subacquea italiana, che tra gli anni 1987-1988 supera il quarto sifone e arrampica in libera la cascata che si trova appena oltre, fino a raggiungere dopo altre brevi arrampicate il quinto sifone.
Le permanenze all’interno della grotta si fanno sempre più lunghe e impegnative e coinvolgono anche speleosubacquei svizzeri, dei quali Gigi è stato inizialmente allievo e ora anche compagno d’esplorazioni.
Senza badare alle difficoltà organizzano un tentativo d’immersione al quinto sifone che ha subito l’esito sperato. Casati esplora e supera il quinto sifone, che con cento metri di lunghezza ed una profondità massima di venticinque metri è per ora il più lungo e profondo della grotta. Oltre la grotta continua ma l’incessante flusso d’acqua che la alimenta si lascia risalire solo per pochi metri fino a un ennesimo sifone, il sesto.
Al nuovo ostacolo seguono due tentativi di superarlo ma questa volta la grotta resiste agli assalti, celando i suoi segreti e ponendo fine alla ricerca dell’origine del suo corso d’acqua. Nonostante i tentativi Gigi per due volte si arresta su stretti passaggi, dove la scarsa visibilità e le torce ormai ridotte a lumini dalle ore rimaste accese non gli consentono di trovare la via giusta.
L’entusiasmo cala, la grotta respinge gli assalti anche di altri team di speleologi, fino a che viene praticamente abbandonata. Solo saltuariamente piccoli gruppi di speleosubacquei la visitano nel corso degli anni, senza mai spingersi nelle zone più remote.
Ma come per tutte le grotte prima o poi accade che qualcuno ci torni spinto non solo dalla curiosità di vedere un luogo mai visitato prima, ma anche dal desiderio di andare ancora più lontano, di dare una risposta alla domanda: “cosa c’è oltre?”
Si forma così a inizio 2009 un piccolo gruppo di speleosubacquei, accomunati da passione e formazione (sono tutti allievi di Casati), che decidono di riprendere la revisione della grotta. Sono Nadia Bocchi, Mario Comi, Davide Corengia, Stefano Gallingani e Luca Pedrali.
Durante le uscite, la grotta è risagolata e pulita dai vecchi fili che rendono il rientro in caso di scarsa visibilità pericoloso. Viene raccolto diverso materiale fotografico e dopo quasi vent’anni Luca e Davide tornano oltre il quinto sifone della grotta.
Essere così vicini al limite esplorativo è uno stimolo sufficiente a organizzare presto un tentativo, per vedere anche il sesto. Questa volta sono Stefano e Davide a superare il quinto e permettere ad almeno uno dei due di immergersi nel sesto e ultimo sifone conosciuto della grotta. Davide è il fortunato, e in venti minuti d’immersione risagola il sesto sifone fino a raggiungere la zona delle strettoie dove Gigi si era arrestato ormai più di vent’anni prima.
L’entusiasmo è tanto; tanto da spingerli – riuscendoci! – a riaccendere in Gigi la voglia di tornare nella grotta che lo aveva visto protagonista all’inizio della sua carriera.
A metà luglio del 2012 la squadra composta da Luca, Stefano, Davide e Gigi organizza la punta esplorativa e finalmente dopo tanti anni di attesa Gigi riesce a trovare la via giusta superando il sesto sifone. Oltre, percorsi pochi metri, si trova di fronte ad un nuovo sifone che ad oggi ha parzialmente esplorato fino a -20mt… ma la nuova storia esplorativa della grotta è appena
(ri)cominciata….
Autori testo: Luana Aimar, Valeria Nava, Antonio Premazzi
Foto di Davide Corengia, Luca pedrali e Stefano Gallingani
Piani di Bobbio: inquadramento geografico e geologico
Di Luana Aimar & Antonio Premazzi
I Piani di Bobbio si estendono a cavallo tra le province di Lecco e Bergamo e sono costituiti da una successione di altipiani carsici in quota, compresi tra 1650 e 1750 m s.l.m., bordati a Est da una ripida catena montuosa con orientamento Sud-Nord, dominata dallo Zuccone Campelli (2192m), e che prosegue con lo Zucco Barbesino (2132m) e la Corna Grande (2087m). A Sud e a Ovest, dopo il rilievo dello Zucco Orscellera, i piani digradano rapidamente verso la Valsassina, con un brusco salto di 1000 metri, mentre a Nord scendono più dolcemente verso la Valtorta.
Alla base degli altipiani si stende la zona di Praterino dove nel corso dei decenni sono state esplorate dagli speleosub due importanti risorgenze: la grotta Sandro Lecchi, con uno sviluppo superiore ai 600 metri, la cui esplorazione attualmente è ferma su sifone con frana; e soprattutto la Lacca della Bobbia il cui limite esplorativo, in corrispondenza di una strettoia sommersa del sesto sifone, è stato recentemente superato da Gigi Casati, che ha parzialmente esplorato un settimo sifone fino alla profondità di -20m.
E’ inoltre un fatto noto che all’inizio degli anni Novanta si sia verificato un accidentale e involontario “test di tracciamento”. Infatti durante la pulizia di una cisterna presso la stazione di arrivo della funivia dei Piani di Bobbio, oltre i 1600 metri di quota, grosse quantità di olio – anche se il dato non è confermato, si parla di circa 10mila litri di carburante – sparirono tra le rocce, inquinando disastrosamente le acque della Lacca della Bobbia. Il fenomeno, che causò aloni oleosi nell’acqua e visibili schiume, si protrasse per alcuni anni e fu particolarmente grave anche perché le acque della risorgenza erano (e sono!) captate dall’acquedotto del vicino paese di Barzio. Questo fatto testimonia l’esistenza di un collegamento idrologico tra le due risorgenze e le zone di assorbimento dei Piani soprastanti.
Da dati riscontrati dopo violente precipitazioni, il deflusso delle acque sembrerebbe molto rapido, a testimonianza di una eventuale marcata verticalizzazione dei vuoti ipogei; tuttavia, data l’estensione dell’area, anche lo sviluppo ha potenzialità chilometriche.
Spostandosi verso Sud si incontrano invece i Piani di Artavaggio, simili ai Piani di Bobbio per conformazione e dislivelli. In questa seconda area in passato sono state esplorate grotte di indubbio interesse, come l’abisso dei Campelli, la cavità di gran lunga più importante dell’area, con una profondità di -483m e sviluppo superiore al chilometro, e l’Abisso Pilaf (-113m) costituito da una serie di pozzi paralleli collegati tramite finestre.
I Piani di Bobbio sono ricoperti da un’estesa coltre di depositi glaciali e di versante. In particolare i primi mostrano belle morfologie glaciali, come cordoni o piccoli archi morenici, in corrispondenza di modesti circhi glaciali, per esempio nella Valle dei Megoffi e nella Valle dei Camosci.
Il carsismo superficiale è ben evidente, tuttavia l’estesa copertura boscosa di piante d’alto fusto fino alla quota di 1600 metri e la successiva presenza di fitta vegetazione arbustiva lungo i pendii degli impianti di risalita tendono a occultare le forme superficiali del terreno. Invece in corrispondenza dei Piani la copertura vegetale è prevalentemente prativa e i fenomeni carsici appaiono decisamente più evidenti.
E’ presente un elevato numero di doline di diametro anche di alcune decine di metri, ma quelle di dimensioni maggiori si trovano senza dubbio nei due circhi glaciali delle Valli dei Megoffi e dei Camosci.