Autore: Corrado Bonuccelli
L’avventura speleosubacquea è senza dubbio alcuno una delle più
affascinanti esperienze che si possano vivere sott’acqua. Un tempo disciplina obiettivamente pericolosa, non è rimasta ferma nella sua evoluzione, al punto che molte opinioni un tempo giustificate, al giorno d’oggi non hanno più ragion d’essere o almeno vanno decisamente ridimensionate. Nella speleosub si distinguono due principali direttrici,
la prima è quella a cui il 99% dei subacquei fa – consciamente o meno –
riferimento, e viene detta immersione “in risorgenza“; la seconda è la speleosub vera e propria, nel senso che il nome è decisamente più calzante a quel che effettivamente si va a fare.
L’immersione è detta “in risorgenza” quando lo specchio d’acqua è raggiungibile senza difficoltà speleologiche, ovvero quelle il cui superamento richiede corde, attrezzi, illuminazione, tecniche apposite eccetera. Al contrario, se si è in grado di portare la propria attrezzatura davanti allo specchio d’acqua più o meno come lo si farebbe per spostarla dall’auto alla barca, ebbene, si parla in questo caso di immersione in risorgenza.
Tradizione vuole che l’attrezzatura sia completamente diversa da quella “normale”. Le ragioni sono essenzialmente storiche perché quest’attività si è sviluppata in condizioni in cui l’immersione in solitaria era ed è tuttora una necessità. Di qui, la netta tendenza allo sdoppiamento di ogni componente dell’attrezzatura che ha carattere “vitale”: due bombole separate, ciascuna col proprio erogatore e proprio manometro; due strumenti (ad esempio, computer); almeno tre – quando non quattro o cinque – fonti di illuminazione indipendenti; la fondamentale sagola guida sul cui corretto utilizzo c’è molto da dire a ancor più da apprendere con la pratica, e così via. Non solo, ma l’adozione di questa filosofia comporta evidentemente un utilizzo differente di tutta l’attrezzatura.
L’esempio più classico è la gestione della riserva d’aria con la nota “regola del terzo”; logica vorrebbe entrare un po’ in dettaglio sull’argomento ma ormai la rete ha decisamente rivoluzionato molti aspetti della comunicazione. Puoi cercare le parole chiave “regola, terzo, speleosub” o qualcosa del genere con un motore di ricerca e facilmente troverai un sacco di materiale per approfondire anche il resto. Quel che importa qui non è tanto una poco significativa disamina dei dettagli, quanto il fatto di inquadrarli nel modo giusto.
Le tecniche si sono evolute; ci sono parecchie grotte sommerse in cui la visibilità è buona e le dimensioni consentono la progressione in coppia. In questi casi la configurazione “tradizionale” piuttosto che aumentare i margini di sicurezza li può facilmente ridurre. Va da sé che resta decisamente sconsigliabile, ovvero, detto a chiare lettere, pericoloso, affrontare le grotte con una torcia a mano, il normale mono e magari un octopus; si inizia sempre entrando un paio di metri, poi guarda lì che bello, solo un altro po’ e… poi ci si volta per scoprire che si è sollevato limo, la visibilità è bassissima, non si sa come orientarsi e così via. Molti incidenti senza rimedio sono accaduti in passato per aver affrontato le grotte (e anche l’interno dei relitti) con i normali criteri “marini”.
Ma lo scopo di questa scheda è non solo di informare bensì anche incoraggiare. Come dicevo, se ci si limita a siti noti (che tra altri requisiti si sa non essere soggetti a grossi problemi di visibilità), si va dopo aver frequentato corsi seri, si adotta il sistema di coppia, si resta sempre nell’ambito delle proprie capacità e possibilità, si è accompagnati da persone realmente esperte, ebbene, questa attività è oggi come non era ieri alla portata di praticamente tutti i subacquei.
L’essenziale è sapere che questa disciplina si è evoluta, che la nota configurazione a bombole separate purtroppo tenacemente associata all’immagine della speleosub è idonea solo a casi molto speciali (e tra poco ne parleremo), che le tecniche sono cambiate e divenute più sicure; di conseguenza basta puntare a un buon approccio. Quale? Si tratta di una risposta non facile a darsi.
Una prima scrematura si può fare considerando che nonostante tutto quanto detto, questa resta una disciplina particolare che non si può apprendere anche fosse dalla più onesta e volonterosa persona che però non gli dedichi tempo. In parole più chiare, occorre fare attenzione a chi pur abilitato a insegnare e a rilasciare, che so, un brevetto di specialità, non viva la cosa come suo interesse primario. Secondo poi, è necessario sondare la rete in lungo e in largo per ascoltare opinioni e consigli. Il “tam tam” della comunità resta fondamentale senza dimenticare che la rete è non solo uno strumento utile ma anche una formidabile paltea per tante persone poco serie.
Cosa può regalare un’immersione in grotta, una volta garantite le necessarie premesse? Molti ritengono che sia tra le più belle esperienze che un sub possa vivere sott’acqua e anche chi scrive la pensa allo stesso modo. Purtroppo nel nostro paese non sono molti i siti adatti a un normale subacqueo (fermissimo restando tutto quanto precede) ma la qualità compensa perché si tratta di luoghi bellissimi.
Le risorgenze del nord est (il Cogol dei Veci, il Cogol dei Siori e altre lì vicino a Bassano del Grappa), le straordinarie grotte marine della Sardegna, quelle di Palinuro e anche altre ancora. Se l’immersione in grotta è uno dei tuoi desideri nel cassetto, ebbene oggi vi sono tecniche che se applicate senza deroghe ed eccezioni consentono quasi a chiunque questa esperienza; da un punto di vista evidentemente parziale posso dire che vale senz’altro la pena affrontare quei non eccessivi sacrifici richiesti in termini di attrezzatura e addestramento, tuttavia la decisione finale resta un fatto
squisitamente personale. Ma c’è un ultimo fattore importante ai fini di un corretto apprendimento delle tecniche d’immersione in risorgenza. Per sapere quale, leggi la sezione successiva.
La speleosubacquea propriamente detta è l’altra grande branca della specialità, anzi storicamente forse la prima o quasi. Qui entriamo in un mondo del tutto diverso, che con la subacquea ha ben poco a che vedere. Ma è proprio questo termine – che ha conservato nell’unione dei termini “speleologia” e “subacquea” il carattere di sintesi tra le due discipline – a introdurci all’argomento. Lo speleosub vero e proprio ha molto poco a che fare con la subacquea; non ha quasi mai
seguito il percorso formativo che tu e io, lettore, o almeno io, abbiamo a nostra volta
seguito.
Lo speleosub è prima che ogni altra cosa uno speleologo che trova sul suo cammino uno specchio d’acqua; e come sanno gli speleologi, molto spesso questo specchio d’acqua è una delle due estremità di un tubo a “U” o comunque di una struttura a questo riconducibile, ovvero un sifone. Molto spesso, dall’altra parte c’è qualcosa, il proseguimento della grotta. E lo speleologo – qui dovrei parlare della enorme diversità di obiettivi rispetto all’alpinista al quale viene spesso ed erroneamente
assimilato – vuole prima di tutto esplorare, vuol sapere cosa c’è al di là dello specchio d’acqua. Spera che la grotta proseguirà all’asciutto e, superata l’incidentale e fastidiosa difficoltà di progressione (che è poi lo stare sott’acqua, il centro del nostro interesse di sub), arrivato dall’altra parte, proseguirà il rilievo del percorso aereo.
Una volta restituiti i dati in un disegno inserito nel catasto delle grotte, quel pezzo di mondo prima sconosciuto diverrà ufficialmente una parte del territorio accessibile agli esseri umani. Per sapere cosa può esserci dall’altra parte, lo speleologo deve imparare le tecniche che ci sono ben note; meglio, le pone a base del successivo cammino che lo porta ad un approccio del tutto diverso allo stare sott’acqua. Una serie di problemi condizionano il modo e – dicevo – l’approccio. Anzitutto il percorso in grotta è spesso lungo e faticoso; in tutti i casi mai una passeggiatina come su un molo asfaltato. Al contrario, la norma è che un intero gruppo speleologico debba mobilitarsi portando oltre al necessario per la progressione all’asciutto, anche il materiale subacqueo. E’ rarissimo che si possa portare il materiale per una coppia di sub; anche quando ciò si può fare, i passaggi sommersi sono generalmente stretti e la visibilità sempre bassa. In grotta le condizioni sono estremamente stabili e quindi spessi depositi di limo si trovano persino sulla volta; bastano le bolle emesse per far scendere a zero la visibilità. I molti incidenti del passato, quelli sulla cui analisi si sono sviluppate tecniche e procedure, portano spesso a dire tra gli speleosub “meglio un morto che due”. Tale macabra affermazione (stavo per dire lapidaria, ma poteva sembrare un doppio senso intenzionale), ha un fondo di verità soprattutto alla luce del fatto che, non dovendo controllare un compagno, da soli ci si può meglio concentrare su da farsi. Questo genere di contesto è quello in cui si sono evolute le tecniche a “ridondanza assoluta per immersione in solitaria” di cui dicevo sopra, ma è anche vero che sono immersioni estremamente specialistiche, fatte di rado e in circostanze particolari.
Quello che invece ci riguarda, e da vicino, sta nell’utilità di un corso di speleologia terrestre. Al proposito, trascrivo qui di seguito un paio di passaggi di un mio scritto sull’argomento, tanto non devo pagare i diritti d’autore né chiedere permessi. “… per il subacqueo che va in grotta senza essere speleologo, si sommano le difficoltà dell’attività subacquea (sempre presenti) a quelle mentali del – per lui – ostile ambiente ipogeo; è una strada decisamente in salita. Anche se non si ha la minima intenzione di proseguirla, un corso di speleologia terrestre sarebbe di gran lunga il miglior biglietto d’ingresso. Ovvio che non bastano le 4-5 uscite di un corso ma suggerirei di farne almeno il doppio; poi, potremo anche lasciare perdere e considerare i 2-3 mesi necessari ad accumulare queste dieci uscite come una spiacevole parentesi, ma intanto avremo iniziato ad acquisire la forma mentis adatta a proteggerci da un sacco di grane. Successivamente, ma solo successivamente, potremo pensare a corsi specifici: di subacquea per quegli speleo terrestri che si appassioneranno della speleosub vera e propria, di speleosubacquea a mo’ di specializzazione per i sub ‘marini’ che preferiscono le risorgenze”. Aggiungo che anche il luogo comune che vede la speleologia qualcosa di difficile è falso. I corsi costano poco, le tecniche di progressione consentono di fare buona speleologia a chiunque sappia salire due rampe di scale, le persone sono generalmente molto simpatiche; potresti scoprire un mondo straordinario, alla tua portata, che nemmeno immaginavi esistesse e ancor meno potesse appassionarti.
Dunque, nei limiti dello spazio compatibile con una scheda, tengo a sottolineare che le cose sono cambiate laddove molto del materiale in circolazione su cui ci si formano idee e sensazioni è un poco datato. Questo è dovuto anche allo sforzo dell’intera comunità diretto a migliorare sicurezza e divertimento, per cui non si tratta di una critica bensì del contrario, l’apprezzamento di un notevole lavoro collettivo di cui possiamo godere i frutti.
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