L’ Andrea Doria fu costruita nei cantieri Ansaldo di Sestri, Genova, e varata nel 1951. Poteva trasportare 1241 passeggeri e 575 uomini di equipaggio. Era lussuosa sin nel minimo dettaglio delle sue strutture ed era considerata la portabandiera delle Linee Italia.
A bordo il jet set dell’epoca, e le sue stive erano sempre piene delle merci più disparate, come un prototipo di una vettura realizzato dalla carrozzeria Ghia commissionato dalla americana Chrysler. Il nome Andrea Doria deriva da un ammiraglio del sedicesimo secolo, che difese eroicamente Genova contro i suoi numerosi nemici. La lussuosa nave da crociera era lunga 210m e larga circa 27. Stazzava 29,083 ton, con dieci ponti, e undici compartimenti stagni lungo l’intera lunghezza della nave. Era equipaggiata con due turbine sviluppanti 50.000 cavalli necessarie per far girare le due eliche a 3 pale, ciascuna del peso di 16 tonnellate. Era fornita inoltre di barche di salvataggio capaci di trasportare 2000 persone, di un sistema antincendio sofisticatissimo ed equipaggiata di radar.
Alle 23:22, del 25 luglio 1956, nel corso della sua 101a traversata, mentre navigava attraverso una densa nebbia, sotto il comando del Capitano Piero Calamai, l’Andrea Doria e la nave da crociera svedese, Stockholm,al comando del Capitano Nordenson, entrarono in collisione. Il disastro non ha una logica spiegazione. Esso poteva e doveva essere facilmente evitato, ma la lettura dei radar a bordo di entrambe le navi fu misteriosamente trascurata. La Stockholm, anche se seriosamente danneggiata dalla collisione e con la prua completamente distrutta rimase a galla. Il Doria era invece colpito a morte, comincio’ ad imbarcare acqua attraverso la breccia sulla fiancata ed ad inclinarsi su un lato.
I seguenti messaggi radio furono trasmessi dopo la collisione.
Alle 23:22 (Stockholm) ” Siamo entrati in collisione con un’altra nave,” 23:35 (Doria) “Siamo troppo inclinati e siamo nell’impossibilità di mettere in acqua i mezzi di salvataggio, richiediamo assistenza immediata,”
24:09 (Stockholm)” fortemente danneggiati. La prua é interamente distrutta, il motore n°1 é pieno d’acqua. non possiamo spostarci dalla nostra posizione.” I messaggi continuarono tutta la notte documentando minuto per minuto questa tragedia del mare.
Provvidenziale fu l’arrivo sul posto della nave da crociera francese “Ile de France”, che mise in salvo un gran numero di naufraghi e per questo venne considerata l’eroina dell’operazione di salvataggio.
Alle ore 04,30, Robert Hudson l’ultimo passeggero viene tratto in salvo dalla nave cisterna Robert E. Hopkins
Undici ore dopo la collisione, l’Andrea Doria affonda ed il momento fu filmato e trasmesso in diretta . Dei 1706 passeggeri a bordo, 46 persero la vita, la più parte a causa del’impatto iniziale.
Un giorno dopo l’affondamento del Doria, Peter Gimbel e Joseph Fox, divennero i primi subacquei che la visitarono. Gimbel localizzò il relitto attraverso la boa gialla posizionata dalla Guardia Costiera. I due subacquei lo trovarono posto su un fianco a partire da 48 metri di profondità e cominciarono a prendere delle foto. Le foto di Gimbel in bianco e nero furono acquistate da Life e furono pubblicate sui numeri de 6 e del 13 agosto.
LIFE assunse immediatamente Gimbel per prendere delle foto supplementari, questa volta a colori.
Nel 1973, Peter Gimbel comincia il suo lavoro di recupero della cassaforte del Doria.. Nel 1981, non solo riusciva nell’opera di recupero, ma risolse il mistero di come una nave considerata inaffondabile, con compartimenti stagni per impedire il propagarsi dell’acqua , fosse .
Il Doria aveva subito un impatto che aveva provocato uno squarcio di 24 metri che aveva perforato alcune camere stagne. Questo squarcio fece entrare una grande quantità d’acqua nello scafo, provocando lo sbandamento di 20° .Le misure di sicurezza erano state previste per uno scafo in posizione verticale, la grande quantità d’acqua entrata, passo’ lateralmente sopra le porte stagne, causando il disastro.
La cassaforte recuperata da Gimbel fu sistemata nella vasca degli squali al New York Aquarium. Tutto venne organizzato in modo che l’apertura della stessa avvenisse in diretta TV nazionale. Il 16 agosto 1984 la cassaforte venne aperta. All’interno furono recuperati certificati US argento e delle note in italiano.
Oggi, l’Andrea Doria giace posata su un fianco ad una profondità di circa 74 metri. Il suo scafo é attualmente conosciuto da un piccolo numero di subacquei ed é considerato allo stesso modo del monte Everest per gli scalatori. Per avere il coraggio di effettuare l’esplorazione bisogna affrontare la narcosi d’azoto, lunghe decompressioni, acqua gelida, forti correnti, squali e lunghi intervalli di superficie per arrivare sul posto e fra le immersioni.
Gary Gentile, autore del libro “ANDREA DORIA, DIVE TO AN ERA”, ha effettuato su questo relitto svariate spedizioni. In una di queste immersioni insieme alla sua équipe recuperarono la campana di poppa. Durante le varie spedizioni di recupero fu inoltre ritrovata la statua di Andrea Doria che troneggiava nel salone principale della nave, ed attualmente si trova in un giardino privato di una villa negli stati uniti. Molti dei subacquei che visitano questo relitto sono estasiati dal ritrovamento di alcuni pezzi di porcellana cinese che facevano parte della dotazione di bordo, pezzi che diventano di proprietà del ritrovatore.
La spedizione sull’Andrea Doria
Fare una spedizione sull’Andrea Doria penso che sia il sogno di tutti i subacquei, soprattutto per noi Italiani. La nave è rimasta nella storia della Marina Mercantile Italiana, ed è conosciuta anche da chi non si occupa di questioni legate al mare.
Immergersi sul Doria significa veramente raggiungere un traguardo di alto livello tecnico come subacquei. Una spedizione sul Doria suscita l’interesse di tutte le persone che esse siano subacquee o non, data l’eccezionalità dell’evento in cui la nave da crociera é stata coinvolta. A conferma di tutto questo, notizia dell’ultima ora, é in preparazione negli Stati Uniti un film sul Naufragio dell’Andrea Doria.
Quale migliore occasione dell’anno 2000 per commemorare la scomparsa della nave crociera che viene ritenuta la più elegante e lussuosa che abbia mai solcato i mari del mondo con la deposizione di una targa ricordo. L’associazione dei sopravvissuti del Doria ha già confermato il suo patrocinio ufficiale alla spedizione, e siamo in contatto con altre persone ed enti interessati.
Per organizzare una spedizione di elevato livello tecnico ed organizzativo , abbiamo chiesto la collaborazione alle persone e strutture migliori che il mercato della subacquea tecnica puó offrire.
Responsabile organizzativo sul posto Joel Silverstein, Instructor Trainer Tecnico di varie agenzie, autore di vari manuali sull’immersione con miscele differenti dall’aria e con più di 40 spedizioni all’attivo sull’Andrea Doria.
Responsabile della pianificazione delle immersioni, il Dr. Bill Hamilton, massima personalità sulla fisiologia dell’immersione tecnica, e creatore del metodo Repex per il calcolo della tossicità polmonare dell’ossigeno.
La barca a nostra disposizione é la barca da ricerca oceanica WAHOO, con decine di spedizioni di successo sul relitto dell’Andrea Doria, sotto la guida del comandante Steve Bielenda.
Il programma della spedizione sull’Andrea Doria
Arrivo giovedì 29 giugno, 2000. Trasferimento del gruppo e bagagli dall’ Aeroporto Kennedy International Airport al Captree State Park di Long Island dove la barca che utilizzeremo, il “Wahoo” é ormeggiata. Venerdì la giornata é dedicata alla consegna ed alla preparazione dell’equipaggiamento supplementare e delle bombole. Sabato e domenica due immersioni sul relitto della USS San Diego e due sulla SS Oregon 30-40metri.
Lunedì, trasferimento a Montauk Long Island (circa 3 ore). Durante la permanenza a Montauk giornate libere per relax, sport, piaceri della cucina americana (vietate le immersioni) et. Nel frattempo la barca con tutto l’equipaggiamento, effettuerà il trasferimento via mare e la preparazione di tutte le attrezzature necessarie, ricariche, rifornimento viveri e tutto quanto necessario per il viaggio e le immersioni sul Doria.
A seconda delle condizioni meteorologiche la partenza si effettuerà nella serata di lunedí o martedi da Motauk ed arrivo sulla zona di immersione nella mattinata di successiva. Resteremo sul posto per due giorni (o due giorni e mezzo nel caso di partenza il lunedí) dove effettueremo due immersioni al giorno per un totale di 4 immersioni. La barca oltre alle attrezzature e bombole personali sarà fornita una fonte di ossigeno dalla superficie, una fonte di Nitrox dalla superficie per la gestione delle emergenze. A bordo anche tutto il materiale di primo soccorso e l’ossigeno necessario al trattamento di eventuali ADD.
In barca sarà presente tutto l’equipaggio necessario al sicuro svolgimento di tutte le operazioni.
Joel Silverstein, che dirigerà la parte operativa della spedizione, ha già effettuate molte spedizioni con questo equipaggio, rimanendo fortemente impressionato dalla loro competenza ed abilità.
Ritorno a Montauk il venerdì mattina da dove effettueremo il trasferimento per l’aeroporto JFK. Il ritorno é previsto per venerdì nella serata o sabato mattina.
Per le immersioni utilizzeremo le seguenti attrezzature:
- Muta stagna con bombola di argon o aria Bibombola con attacco Din e manifold isolatore centrale con attacchi per giubbetti equilibratori con piastra dorsale. Sono previsti due bibombola per persona, disponibili varie capacità a seconda della consumazione personale.
- Bombole da decompressione pronte per l’utilizzo con Nitrox od ossigeno complete di erogatori e manometri dedicati.
- Erogatore di emergenza con frusta lunga 2,70 metri Lampade subacquee principali e di emergenza
- Pallone di segnalazione con mulinello 45 metri
- Mulinello 120 mt
Tutti i subacquei useranno lo stesso gas:
- USS San Diego Nitrox 32%
- USS Oregon Nitrox 30%
- bombole deco con Nitrox 36 ed ossigeno
- Andrea Doria TRIMIX 18/50
- Ricarica parziale con aria per TRIMIX 20/30 da utilizzare per la seconda immersione
- 4 bombole Nitrox 36 deco mix
- 2 bombole oxygen deco gas
Questo rappresenta in totale 88 bibombola, 66 bombole deco Nitrox, 33 bombole deco ossigeno ed 8 bomboloni(300 litri circa)di ossigeno a bordo.
La configurazione dell’equipaggiamento sarà la stessa per tutte le immersioni.
Anche se alcune immersioni sul Doria sono programmate a profondità non eccessive, é stata scelto l’utilizzo del trimix per eliminare la narcosi d’azoto, in modo da non aggiungere questo problema agli altri già presenti sull’immersione.
Le tabelle trimix che utilizzeremo sono state realizzate dalla Hamilton Research. Esse coprono varie percentuali di ossigeno e di elio con un ampio numero di miscele previste. Noi useremo le tabelle HRL 18/50 quando il contenuto di ossigeno sarà compreso tra 17 e 21% e un contenuto di elio tra il 17 e 50%. I gas per la decompressione saranno dell OEA 36 (Oxigen Enriched Air) a partire da circa 33 metri e ossigeno puro 100% dai 6 metri alla superficie. L’algoritmo che da origine a queste tabelle é stato testato sul campo per più di 8 anni con eccellenti risultati.
Fanno parte del team inanzi tutto subacquei espertissimi nell’immersione su relitti profondi. Questi i componenti il team ad oggi che in fase definitiva sarà composto da 11 membri effettivi e due riserve.
- Aldo Ferrucci, Technical Workshop Director di agenzie didattiche ricreative e tecniche, autore di manuali, trattati ed articoli di immersione sui relitti
- Guido Pfeiffer, subacqueo espertissimo nell’immersione su relitti profondi oltre ad essere valente giornalista e fotografo subacqueo.
- Andrea Ghisotti fotografo/giornalista/ subacqueo autore di libri di successo sui relitti tradotti in varie lingue che penso non abbia bisogno di ulteriori presentazioni.
- Stefano Ruia Course Director di subacquea ricreativa e tecnica, affermato giornalista ed autore di libri e manuali sull’immersione.
- Giuseppe Corcione, Istruttore subacqueo di varie federazioni e subacqueo esperto di immersioni su relitti profondi, nonché avvocato di successo.
- Paolo Zazzeri, istruttore subacqueo con esperienza decennale e contitolare di una dinamica azienda produttrice di attrezzature per la subacquea tecnica.
- Patrick Vanstraelen, Istruttore belga con esperienza di immersione in tutti i mari del mondo, fotografo di talento e organizzatore di varie spedizioni similari.
- Valerie Macon Francese, fotografa professionista terrestre e subacquea, con all’attivo collaborazione con l’equipe Costeau e National Geographic.
- Francesco Pantaleoni, esperto subacqueo con immersioni nei cinque continenti, specialista in informatica e relazioni pubbliche.
- Lorenzo Del Veneziano. Istruttore subacqueo esperto in immersione sui relitti e con al suo attivo varie localizzazioni direlitti profondi.
- Patrick Marchand, video-operatore subacqueo di fama internazionale che ha collaborato alla realizzazione di documentari di successo con le piú importanti televisioni internazionali.
Ritorno dall’Andrea Doria
Eccomi qui a raccontare la nostra Avventura, perché proprio di Avventura con la A maiuscola dobbiamo parlare.
Finiti i preparativi del team durante il week end del 16 e 17 giugno effettuando due immersioni sui relitti dell’Atlantis e del Vapore, ci siamo dati appuntamento per la mattina del 29 giugno all’aeroporto di Milano Malpensa.
Quindi alle 05.OO del suddetto giorno il sottoscritto, Roberto Rinaldi, Stefano Ruia, Andrew Fortune, Lorenzo del Veneziano, Luca e Daniele Pallavicini, Jean Claude Uldry, Laurence Ferrucci, Andrea Ghisotti e Venceslao Zaina si trovano al Banco Partenze Malpensa 2000 della Sabena (sponsor della spedizione) con una montagna di bagagli da imbarcare. Tutti vestiti con la maglietta ufficiale della spedizione, fornitaci dall’Acquafredda, attiriamo l’attenzione degli altri viaggiatori presenti e arrivano le prime domande, Chi siete? Dove andate? Andrea Doria? Etc…
Prima destinazione Bruxelles da dove prenderemo poi il volo per New York JFK. Gli altri componenti la spedizione Stephan Havard, Eric Bastard e Jean Francoise Didelot partono invece da Parigi e li ritroveremo direttamente sulla barca a Captree.
Decollo come previsto alle ore 06,40 arrivo a Bruxelles, breve sosta e quindi nuovo decollo per New York.
Durante il volo cominciano subito le prime previsioni su quello che troveremo fuori e dentro l’acqua, ognuno esprime il suo parere, partono le prime battute e le risate a crepapelle, le prime foto del Team insieme all’equipaggio dell’aereo. Il tempo passa rapido e più ci avviciniamo all’arrivo, più aumenta l’emozione di essere cosi vicini alla meta tanto desiderata. Dopo il consueto passaggio all’immigrazione USA con fila interminabile (sembra di essere a DisneyWorld nei giorni di punta) ci dirigiamo a ritirare i bagagli. E qui troviamo la prima sorpresa, nessun bagaglio é arrivato con il nostro volo.
Dopo in’inutile attesa ci rivolgiamo al banco Sabena, e lì incontriamo finalmente Joel Silverstein in compagnia di Lee , una brutta copia di Tom Mount.
Dopo tre ore di attesa finalmente arrivano i bagagli con il volo successivo. Usciamo dall’aeroporto e arrivati al parcheggio altra sorpresa che inizia a crearci dei dubbi. Per il trasferimento alla barca ci attende un limousine bianca, formato Hollywood lunga almeno 8 metri. Ci guardiamo un po stupiti e sconcertati, ed una domanda ci nasce spontanea : Ci avessero preso per dei Giapponesi?
In 11 all’interno della limousine, nonostante le dimensioni ci stiamo rincarcati uno sopra l’altro, ma incuranti questo alcuni cominciano ad accusare la stanchezza del viaggio e si addormentano.
45 minuti di viaggio ci portano a Captree dove la nostra barca ci aspetta. E qui la sorpresa é veramente grande. Ci aspettavamo, come da pubblicità e per quanto trovato su internet una barca per la ricerca oceanica e ci ritroviamo con una specie di barca da pesca per turisti di soli 14 metri in condizioni a dir poco oscene.
Ci guardiamo con lo sguardo stupito entrando all’interno delle dinette e delle cabine. Ma dove sono i bagni e le docce? Eccolo ci viene risposto, ed il singolare ci fa capire che quel bugigattolo fuori in coperta era il solo bagno/doccia della barca per un totale di 24 passeggeri!!!!!!!!!
Subito prima riunione di guerra, in cui esaminiamo la situazione decidiamo di prendere un attimo di respiro, di cercare di riposare prima di prendere una decisione. Ci dividiamo i posti, e per il momento và abbastanza bene in quanto bordo siamo solo noi.
La notte passa senza problemi particolari, merito della stanchezza accumulata durante il viaggio.
Al risveglio purtroppo le cose non sono cambiate, non era un incubo, la barca non si é trasformata in un Aggressor ma é rimasta quella ciofeca che era.
La colazione abbondante rincuora un po’ gli spiriti. Sul ponte ci aspettano le casse con l’equipaggiamento fornitoci dall’OMS. Ci mettiamo sul prato antistante il molo ed iniziamo a configurare l’equipaggiamento. Dalle nostre borse gentilmente forniteci dalla Cressi Sub insieme a erogatori, pinne e maschera, esce il resto dell’equipaggiamento personale. Installiamo i boccagli anatomici Jaz e fissiamo il segnale di emergenza Riki Star (scusate l’intermezzo pubblicitario). Si scambiano idee sulla configurazione ideale, si adottano nuovi accorgimenti, si discute sull’opportunità di standardizzare alcuni elementi etc. Ognuno si sceglie il suo set di bombole composto da due bibombola, due deco Nitrox ed 1 deco ossigeno. Abbiamo a disposizione bibombola in acciao di varia capacità, a partire dai 12+12 fino 18+18 caricati a circa 270 bar e bombole deco acciaio o alluminio da 8/10 litri. Mentre i bibo hanno attacchi DIN 200 o 300 bar, le deco sono tutte attacco internazionale. Avendo cominciato presto ad allestire alle 10,00 abbiamo praticamente finito ed attendiamo, come promessoci la sera prima, qualcuno dell’equipaggio che ci accompagni alla vicina Babylon dove prendere il treno per New York.
Alle 2 del pomeriggio di Mangiafuoco (questo il soprannome dato a Silverstein per le sua stazza e la sua barba) e dell’equipaggio nemmeno l’ombra. Finalmente riusciamo ad impietosire uno dei nostri pseudo accompagnatori americani, ad accompagnarci ad un vicino centro commerciale. Finalmente arriva l’ora di cena e ci dirigiamo verso il ristorante “Caracalla”, di proprietà di Vincenzo La Torre, 2° chef al momento dell’affondamento del Doria. Il ristorante é pieno di manifesti, disegni proprio del mitico transatlantico e Vincenzo ci accoglie con la massima cordialità. Incontriamo qui Bill Hamilton, il famoso esperto di fisiologia subacquea, che si é occupato della preparazione delle tabelle per le nostre immersioni. La cena scorre veloce e gioviale, riusciamo anche a mangiare negli States un buon piatto di spaghetti al pomodoro al dente. Alla fine della cena interviste di prammatica a Vincenzo e Bill Hamilton da parte di Jef. Rientro in barca e nuova dormita.
La sveglia alle 5 é un po difficile e la colazione insufficiente fanno risalire un po la tensione. La capitana della nave Janet, un donnone alto 165 cm x 170 kg ci porta sul sito di immersione in circa un’ora e mezzo. Si tratta del relitto del San Diego un nave militare americana affondata d un sommergibile tedesco. Il relitto lungo 170 metri si trova su di un fondale di circa 40 metri é un monumento nazionale americano, come ci viene spiegato nel briefing, e ufficialmente é vietato toccare qualsiasi cosa, ma interrompendo la ripresa video di Jef, se prendiamo qualcosa l’importante é non farsi notare troppo. E bravi questi ammerlock. Si uniscono a noi un serie di persone che ci vengono presentate di sfuggita, nessuno capisce chi siano, forse l’equipaggio? A questo punto in barca siamo in 24.
Per le due immersioni utilizziamo gli stessi bibo che utilizzeremo sul Doria m in questo caso sono caricati con Nitrox 30. Utilizzeremo queste immersioni per la messa a punto in acqua delle nuove attrezzature, della configurazione e delle procedure di immersione. Sul ponte c’è un bordello infernale, troppe attrezzature e persone che si preparano allo stesso tempo. Una piccola corrente sia in superficie che sul fondo ci accompagna durante le discesa. La visibilità non é eccezionale, circa 7/8 metri. Il relitto é capovolto, e la cima di discesa é fissata sulla fianchetta. La riserva di gas (15+15 a 270 bar) e l’utilizzazione del Nitrox ci permettono di svolgere una prima immersione di circa 60 minuti di fondo con un tempo totale vicino ai 100 minuti. C’è pesce in abbondanza e qualche astice di notevoli dimensioni. Il relitto per le sue dimensioni offre molte e lunghe vie di penetrazione che ci permettono di identificare le varie zone delle nave. Risaliamo in superficie, con una fame da lupi, vista la scarsa colazione, e entrati in dinette si sente un buon odore di cibo, finalmente se magna. E nooooo….. , infatti ci viene gentilmente(????) chiesto di attendere, questo é il pasto dell’equipaggio.
Arrivato finalmente il nostro turno, troviamo solo panini per sandwich ed affettati e stop. Riesco per coronare il pranzo a reperire un pacco di biscotti che vengono divorati in un baleno. E via per la seconda immersione. Questa volta riduciamo un po il tempo di fondo, circa 45/50 min. Visibilità e corrente pressoché invariate, continuiamo l’esplorazione del relitto, e troviamo quella che doveva essere la santabarbara, vista l gran quantità di munizioni presenti. Dalla superficie vedono affiorare un pallone, ed i nostri accompagnatori iniziano a preoccuparsi, ma vengono subito rassicurati dall’equipaggio. Risaliti in superficie prepariamo l’equipaggiamento per il rientro e finalmente scopriamo cosa c’era attaccato al pallone. Qualcuno dell’equipaggio ha smontato dal relitto quello che doveva essere un quadro elettrico, e che adesso é un ammasso di ferraglia arrugginita. Bel rispetto nei confronti di un monumento nazionale!!!! Luca, Daniele, Laurence e Jeff rimsti in superficie ci raccontano delle figure meschine fatte dai nostri pseudo accompagnatori americani. Stagne aperte, panico in superficie, bombole chiuse, aria terminata e così via. E questi sarebbero il top dei Tekkies?????? Rientrati in porto nuovo consiglio di guerra, e chiamiamo Mangiafuoco per chiedere dei chiarimenti ed esigere dei cambiamenti.
Dopo la discussione piuttosto animata, ci viene offerto di cenare direttamente in barca vista l’ora tarda. Hot dog, crauti e chili in scatola a volontà. Questo menù in altri momenti ci avrebbe fatto venire il voltastomaco, ma é proprio vero che la fame fà apparire tutto più buono.
Dopo un’altra notte a bordo, abbastanza tranquilla, scendiamo terra. Mentre la barca effettuerà il trasferimento verso il porto di Montauk, nostra base di partenza per il Doria, alcuni di noi andranno a visitare New York, ed altri effettueranno il trasferimento per Montauk in taxi. Il sottoscritto viene praticamente rapito da Mangiafuoco, destinazione la villa del Capitano Bielenda. Mi accorgo che siamo arrivati quando vedo parcheggiata davanti una villa, una corvette fiammante targata Wahoo. Il Bielenda, é uno strano personaggio, sessantenne, con orecchino e codino, direi alquanto viscido, ma non facciamoci influenzare dalle apparenze (grosso errore). Il salone nel quale veniamo introdotti é pieno di vetrine sulle pareti e pezzi di relitti. Dentro le vetrine una marea di pezzi provenienti dal Doria e da altri relitti famosi. Alcuni pezzi sono veramente eccezionali, come le porcellane Ginori, i vassoi in peltro ed argento, i bicchieri martini e i cucchiaini ricordo con dipinto il nome Andrea Doria. Proprio a questo riguardo mi viene detto che le sole cose trovate nel relitto che ne portino il nome sono la campana (trovata da Gary Gentile, che ha iniziato la sua carriera come Tie-in del Wahoo) e proprio questi cucchiaini. Un quadro sul muro riprende Bielenda nell’atto di posare una targa commemorativa per il venticinquennale dell’affondamento. Vicino al quadro c’é la targa in carne ed ossa (scusatemi, in legno e bronzo). Alla mia domanda se si tratta di una copia, mi viene risposto in tono sdegnoso “Sicuro che no, si tratta dell’originale”. E aribravi questi ammerlock, vuoi vedere che anche la nostra targa entrerà a far parte dei cimeli di Villa Bielenda?
Dopo il pranzo ci avviamo verso il centro di ricarica, dove sono in preparazione le bombole trimix e le decompressive. Lasciatomi solo con due degli pseudo accompagnatori, per passare il tempo mi occupo della ricarica di alcune bombole, in particolare delle mie, fidarsi é bene non fidarsi é meglio, e Dio solo lo sa, come vedremo in seguito, quanto avessi ragione. Finalmente Mangiafuoco ritorna a prendermi e partiamo per Montauk. Questa zona di Long Island, é ben altra cosa rispetto a Captree. Qui vediamo vetture di lusso e ville megagalattiche, altre a marina pieni di yacht da favola.
Qui almeno esistono dei bagni con docce ed acqua calda, dei ristoranti almeno decenti, ed una cittadina a pochi minuti di taxi. Altra notte bordo.
Al risveglio una buona salutare doccia ed una abbondante colazione ci risollevano un po il morale. Stasera dovrebbe essere quella buona per andare sul Doria. Passiamo la giornata bighellonando per Montauk alla ricerca vana di una connessione internet. Sembra impossibile ma nel pese della comunicazione globale, non siamo riusciti a collegarci, se non attraverso un telefono standard ad un numero italiano, in un posto telefonico gestito chiramente non da yankee ma da latino-americani.
L’assenza totale durante tutta la giornata dei capitani, dell’equipaggio e delle bombole ci fà capire che quella potrebbe non essere la serata buona, ma perchè, ci domandiamo? Andiamo alla guardia costiera, per informarci sulle previsioni, e li troviamo delle persone gentilissime e disponibilissime che ci danno ragguagli aggiornati in tempo reale sul meteo, che risulta favorevole e nella normalità per questa stagione. Finalmente in serata arrivano una parte delle bombole insieme a Mangiafuoco. Alle nostre pressanti domande sul perchè non fossimo in partenza ci veniva candidamente risposto che le previsioni meteo erano negative, e che le notizie da noi ricevute riguardavano il meteo costiero. E NOOOOOO tuoniamo in gruppo, inviperiti ed incavolati neri, il meteo viene dalla meda NOAA che si trova a sole 5 miglia dal punto di immersione. Mangiafuoco con faccia di bronzo se ne infischia serenamente e scaricate le bombole, se ne va. Nuovo consiglio di guerra, siamo veramente all’estremo, e cominciamo a chiederci se tutto questo gioco non serva a far montare la tensione, ma a quale scopo? Ci rassegniamo nostro malgrado ad aspettare il giorno dopo per partire, ma già vari progetti di ritorsione cominciano a prendere forma. Temiamo che gli ammrlock ci stiano preparando qualche altra sorpresa per non portarci sul Doria. Finalmente il cuoco ci chiama per la cena, e per la prima volta mangiamo in maniera al limite della decenza ed in quantità sufficiente. Lascio stare la lista del munù in ogni caso in rispetto alle persone deboli di stomaco.
Decidiamo quindi di chiamare un amico americano di Roberto che lavora nel settore dei viaggi per vedere se é possibile fare qualcosa ed uscire da questa impasse. Al racconto fatto da Roberto, la persona ci dice di non credere alle sue orecchie, che cose del genere non possono esistere, ma noi purtroppo siamo li a dimostrazione del contrario. Ci chiede infine di inviargli una copia del contratto, cosa che facciamo prontamente. Comunque la decisione é presa, una denuncia a Mangiafuoco e la sua équipe non gliela leva nessuno.
Dopo cena abbiamo almeno la possibilità di andare a fare due passi e bere qualcosa in un pub vicino al porto, per calmare un po’ gli spiriti prima di andare a letto, anche se chiamare letto quel giaciglio in cui dormiamo mi sembra veramente troppo.
La mattina dopo riusciamo a svegliarci ad un’ora decente, sicuramente grazie alla fatica causata dallo stress continuo. Ma la notte non é stata buona per tutti. Durante la notte ha piovuto qualche goccia, e nonostante tutto fosse chiuso é piovuto sulle cuccette della cabina posteriore, quella che con ragione gli americani chiamano Dog House. Subito andiamo tutti a farci una doccia, prendiamo degli anticipi sulle docce che non potremo fare nei prossimi tre giorni. Ebbene si, il meraviglioso Wahoo porta solo 1000 litri di acqua, quindi le docce sono interdette per tutta la durata della nostra permanenza in mare. Altro che albanesi e boat people. La mattinata passa fra la sistemazione dell’equipaggiamento per il viaggio e le analisi delle bombole. E qui nuova brutta sorpresa (sorpresa mica tanto, oramai ci aspettiamo qualcosa dietro ogni angolo). Le miscele sono tutte inesatte, addirittura invece di avere del Trimix 17/50 troviamo 22% di O2 e chissà la quantità di elio contenuta? Certo 22% per scendere a 70 metri é veramente da incoscienti. All’anima della preparazione e della sicurezza degli americani.
Decidiamo di andare a pranzo in un pub vicino, per poter parlare in pace dei programmi dei giorni a venire. Risulta chiaro che Mangiafuoco e la sua banda stanno facendo il possibile per stressarci al massimo, sicuramente con lo scopo di rovinarci le immersioni, o addirittura di non farcele fare. Decidiamo quindi all’unanimità di impegnre tutte le nostre immersioni per il conseguimento degli scopi prefissi, Foto, Video e posa della targa. Questo chiaramente porta a dover impiegare il tempo di fondo non tanto per la visita libera del relitto, ma ad avere dei ruoli ben precisi. Viene chiesto ad ognuno se é d’accordo a sacrificare la maggior parte della sua immersione, e la rsiposta positiva é unanime, siamo partiti per questo e vogliamo arrivare al risultato. Devo dire che una riposta cosi unanime mi ha un po emozionato, le difficoltà incontrate fino a questo momento, hanno cementato l’unione del gruppo invece di distruggerla. Nel pomeriggio, arriva insieme alle ultime attrezzature, il gommone che avevamo preteso da Mangiafuoco per la sicurezza. 3,30 metri di lunghezza, in condizioni pietose pieno di crepe e toppe, con un motorino minuscolo da 4 cavalli. E pensano di poterlo utilizzare nel bel mezzo dell’oceano in caso di emergenza? Ma non si vergognano? Più passano i giorni e più mi rendo conto che parlano e scrivono bene (o quasi) ma nella realtà sono dei quaquaraquà.
Nel pomeriggio Luca e Daniele sono andati a pesca alla traina, ritornando con due grosse prede. Meno male, in quanto questo pesce sarà la cena che ci spetta per la sera, prima della partenza. Stefano giustamente ci richiama all’ordine, presi da tutti questi problemi ci siamo scordati di preparare le tabelle di immersione, derivndole da quelle forniteci da Hamilton. Queste tabelle sono interessanti dl punto di vista operativo, in quanto permettono di utilizzare come miscele di fondo Trimix con percentuali di elio dal 20 al 50% ed ossigeno dall 17 al 20%. Due le miscele decompressive previste, una di trasferimento dal 35 al 50% di ossigeno e l’altra dal 85 al 100 % di ossigeno. Queste variabili rendono queste tabelle particolarmente adatte per l’utilizzo durante le spedizioni. Semplici anche le ripetitive, basta interporre 3 ore di intervallo fra le due immersioni ed utilizzare la tabella con la giusta profondità ma il tempo superiore di 5 minuti a quello effettivo. Foto di gruppo con tutta la divisa e veniamo chiamati dal mitico (????) Capt. Steve Bielenda per il briefing.
Bassotto, pelato con un minuscolo codino bianco, abbronzato, grassoccio ed un pò viscido, non ha veramente l’aspetto del subacqueo tecnico con grande esperienza. Faccio una presentazione dell’equipe a Joe Codino, perchè si renda conto che non ha davanti a se il solito gruppo di subacquei sprovveduti, ma una serie di professionisti con anni di esperienze alle spalle. Un po’ impressionato per i CV, il Cpt. inizia con enfasi teatrale il suo briefing: Attenti Attenti Attenti, la subacquea é uno sport pericoloso. Sarete sperduti in mezzo all’oceano con correnti fortissime …. Quanto forti chiede uno di noi? A volte anche mezzo nodo!!!!!! Mezzo nodo, ma sta scherzando gli rimandiamo increduli. Visto che la scena non gli é riuscita cerca di rimediare con : ma capita che arrivi a 1 nodo, altro nostro sguardo incredulo, ed anche un nodo e mezzo!!!! Interrompiamo prima che arrivi s una corrente di dieci nodi. Non essendo riuscito a impressionarci, gioca allora il colpo del maestro. Prendendo una busta bianca, comincia ad osservarne l’interno con fare tragico, fino al momento in cui prende una foto e con parole gravi la passa perché tutti possano vederla. Questo subacqueo é morto qualche anno fa!!!!! Aveva violato il piano di immersione e si era introdotto nel Doria. Sono state necessarie ben 4 immersioni per liberarlo. Sulla foto, un cadavere di un uomo con indosso la muta stagna ancora bagnata e qualcosa, forse sangue che gli usciva dalla bocca. Impressionati, non dalla foto, ma dalla mancanza di rispetto e dalla grossolanità del gesto, ci siamo guardati in silenzio, fino a che Roberto, per sdrammatizzare il fatto non uscito con : Ma le altre non ce le fai vedere? Tralascio il resto del briefing, anche perché in pratica non ha detto assolutamente niente di utile. Nessuna vera informazione sulla sicurezza, sulle regole di comportamento in caso di incidente od altro. Maaaaaaa………….
Finalmente é arrivata l’ora della partenza, ma prima vengo richiamato da Mangiafuoco e Joe Codino per un incontro in sala comando. Penso a qualche ultima istruzione ma mi sbaglio. Mi comunicano che ci sono degli extra da pagare per il viaggio. In particolare un supplemento per la cambusa (a sentire loro non hanno mai visto delle persone mangiare cosi tanto!!!!!! Ma quando che ci siamo morti di fame per tre giorni) e per la differenza del prezzo del carburante. Stupito domando chiarimenti, sopratutto sul cibo, possibile che noi mangiamo più degli americani visto che anche come dimensioni (in larghezza) siamo la metà? La risposta mi stende al tappeto: “avete un metabolismo due volte più veloce”, proprio vero che hanno una faccia come il sedere.
Consulto gli altri, ed insieme decidiamo di non dargli una lira. Ma ci faranno partire??????
Per fortuna la barca molla gli ormeggi e ci avventuriamo verso il mare aperto, forse é veramente la volta buona. Il sole sta calando, il mare é calmo, la compagnia é buona, cosa potremmo chiedere di più? Forse del cibo più decente, o una competenza maggiore dei nostri accompagnatori, ma in questa occasione ci accontentiamo, visto che quasi quasi non ci speravamo più. La sera a bordo passa veloce, ognuno immagina quello che succederà l’indomani, cosa vedremo, come sarà l’immersione etc. Sul plotter cartografico GPS con cartografia elettronica, gentilmente fornitoci dalla C-MAP, controlliamo la distanza che separa Montauk dal punto dove si trova il Doria. Effettivamente sono oltre 100 miglia marine dalla costa più vicina. Per andare a letto e riuscire a dormire siamo costretti a mettere i tappi agli orecchi, visto il rumore incredibile che il motore fà all’interno delle cabine.
Al mattino ci svegliamo, al momento in cui sentiamo il motore rallentare. Schizziamo tutti fuori quasi nello stesso momento. Fuori ci accoglie un cielo velato dalla nebbia, ma il mare é calmo e la visibilità in superficie sembre buona. Forse la ruota della fortuna ha perso la nostra direzione? Subito Capt. Hank e Lee, si preparano per fissare sul relitto la cima di discesa. Come al solito dalla loro cintura pendono gli attrezzi del mestiere del subacqueo tecnico esperto in relitti ammerlock, mazzetta in metallo, scalpello, cesoie e piede di porco. Strano però che in tutti i manuali anche americani, nelle attrezzature necessarie per l’immersione di questo tipo, non le abbia mai trovate. Dal momento dell’entrata in acqua, passano circa due ore prima del ritorno dei subacquei in superficie. Trepidanti domandiamo informazioni sulla situazione trovata in profondità. Ci viene chiesto come sempre di attendere che prima si devono riunire con il resto dell’equipaggio.Mangiafuoco é risalito in barca affollato, non ci dice niente, ma corre a prua. Dopo alcuni minuti andiamo a vedere, e lo troviamo che sta respirando ossigeno. Che cosa é successo? Very Hard Dive!!! Può essere che sul fondo ci sia la fomosa corrente fortissima di cui ci hanno sempre parlato? Controlliamo il suo bibo, ed é praticamente vuoto. Si é succhiato per 15/20 minuti di tempo di fondo un bibo 18+18 caricato a 270 bar!!! Ma………
Finalmente ci viene dato l’OK!! I primi tre subacquei si preparano, é il turno di Roberto, Stefano e Pechy. Una volta in acqua, ci confermano che c’è solo una lieve corrente. E via altri 4 ed infine é anche il mio turno.
Una volta in acqua, iniziamo a scendere sulle cima che non essento ben tirata dalla superficie, e ben inclinata, quindi aumenta il tempo e la fatica per la discesa. L’acqua diventa man mano che scendiamo sempre meno limpida e di uno strano colore verdastro. Ed ecco che si comincia ad intravedere il relitto, l’emozione é enorme, anche se per il momento non si capisce dove siamo arrivati. Queste sensazioni ci ripagano almeno in parte delle vicessitudini passate nei giorni scorsi. E vai ci siamo. Cominciamo l’esplorazione, e subito arriviamo nel ponte passeggiata. La maggior parte dei vetri dei finestroni non ci sono più, ma, le strutture e sopratutto il pavimento di tek sono ancora in ottimo stato. Anemoni bianco grigiastri ricoprono quasi completamente il relitto, quasi fosse coperto da una neve soffice. Gli spazi sono enormi, riusciamo a fare delle penetrazioni senza la necessità di togliersi le bombole da fianco. Siamo intorno ai 67 metri e l’essere in Trimix (non so di sicuro quanto elio ci sia in realtà, ma una certa quantità c’è sicuramente visto l’effetto paperino sulla voce) ci da la massima lucidità nell’osservare tutti i particolari. A proposito, nessuna traccia in profondità del correntone della morte di cui ci avevano parlato. Saremo noi fortunati oppure loro dei gran bugiardi, che coprono con queste scuse la loro impreparazione fisica e competenza tecnica?
Come sempre quando fai qualcosa che ti piace, il tempo passa velocissimo, 30 minuti sembrano un attimo, e le tabelle di Hamilton sono pratiche ma prevedono decompressioni molto lunghe. La risalita avviene senza problemi, fino ai sei metri, dove un groviglio di cime, tubi, narguilè ed altro ha formato una tela di ragno. Riusciremo noi piccole formichine a scampare da questa trappola.Gli erogatori del narguilé ossigeno che normalmente doveva essere sulla cima come sicurezza si trovano a metà barca, sotto la chiglia, inutilizzabili. Meno male che nessuno di noi ha avuto un qualsiasi problema. Risaliti in barca, i racconti dei differenti gruppi si incrociano, le parole scorrono a fiumi, a prova delle emozioni provate sul fondo. Già si parla di quello che si farà durante la seconda immersione.
Ma per fare la prossima immersione normalmente dovrebbero ricaricare parzialmente le bombole. Invece nessuno dell’equipaggio si muove, ed il compressore é coperto da un telo. Dopo varie pressioni finalmente si decidono a iniziare la ricarica, quasi stupiti ed annoiati che facciamo la seconda immersione. Subito ci rendiamo conto che non hanno elio a bordo e che ricaricano le bombole solo con aria. Rispetto alle tabelle H. questo potrebbe essere possibile nel caso di una miscela con 50% di elio e che nell’immersione si consumi al massimo il 60%. Ricaricando al 100% in questo caso avremmo il 20% di elio rientrando nei limiti. Ma se uno consuma di più, non ha diritto all’immersione successiva? E questo quando ce lo dicono? Forse sono abituati a sub ammerlock, come quelli che abbiamo visto questi giorni a bordo, che se riescono a fare un’immersione sono contenti. Finlmente cominciano la ricarica, e patapumfete, una delle fruste ad alta pressione scoppia. Forse erano anni che non la usavano più? Riusciamo a cambiare la frusta, ma intanto il tempo é passato ed il piccolo compressore da 12M3 non riuscirà di certo a ricaricare tutte le bombole in tempo per la seconda immersione. Decidiamo quindi di utilizzare una parte delle bombole previste per il giorno successivo. Pasto frugale, per non appesantirci certamente, e ripartiamo per la seconda immersione.
Questa volta la corrente é più forte e ci segue fino in profondità. La visibilità é nettamente inferiore a quella della mattina, il verde é più cupo. Sono in coppia con Andrea, lui prende le foto ed io faccio le riprese video. Arrivati ai venti metri, chiedo ad Andrea, che é davanti a me, dove ha messo la sua macchina fotografica che non vedo. Andrea si guarda dappertutto in preda all’ansia senza alcun risultato. Senza essere certi della sorte della macchina, decidiamo di continuare a scendere. Una volta arrivati sul fondo partiamo immediatamente per un’esplorazione del ponte passeggiata e dei saloni adiacenti. Andrea, anche se angosciato per la RS fa da vero professionista la sua parte, e si sofferma sui finestroni di uno dei saloni, forse quello da pranzo, dove i vetri sono ancora in ottimo stato, e una volta fatta un pulizia sommaria del vetro dal sedimento, é possibile vedere all’interno. Passiamo oltre, arrivando fino a quella che doveva essere una delle gru per calare in mare le scialuppe di salvataggio. Con Andrea ci guardiamo, siamo tentati di andare più lontano, ma il pensiero di non ritrovare la cima, e di dover fare la decompressione in corrente non ci piace per niente. Se ciò dovesse succedere, viste le persone e i mezzi che si occupano della nostra sicurezza, chissa se riusciremo ad essere recuperati? La barca é attaccata alla cima di discesa con i subacquei in deco, e il gommoncino sta praticamente affondando, tanto é sgonfio e pieno di buchi che fanno entrare l’acqua all’interno. Continuiamo quindi l’esplorazione di quella zona e già cominciamo ad orientarci sul relitto e comprendere dove siamo. I minuti passano e cominciamo la risalita al 25esimo minuto reale, ma come già spiegato in precedenza, le tabelle HR ci fanno utilizzare il piano decompressivo dei 30 minuti. Questa volta la risalita é meno confortevole, la presenza della corrente e la stanchezza che comincia a farsi sentire, fanno sembrare i minuti interminabili. Ai 6 metri stesso bordello di cime, cimette fruste etc., ci obbliga a fare attenzione per non incastrarci. Durante le ultime tappe, riceviamo la visita di Jef, che filma le fasi di decompressione per il suo documentario.
Risaliti a bordo, andiamo subito a controllare se le immagini girate da me e da Pechy sono di buona qualità. Nella visione ognuno rivede un parte della propria immersione e i commenti piovono a fiumi, “sono passato lì”, “c’é un’entrata poco più a destra”, “proprio in quel punto mi sono incastrato con la lampada” etc. , rivivendo in questo modo per qualche attimo le stesse emozioni. Siamo estremamente stanchi e provati, non solo per le immersioni, ma per tutte le vicessitudini passate, ed essere riusciti a raggiungere una parte del traguardo fà allentare la tensione nervosa, e la fatica ci arriva addosso pesantissima. Ricontrolliamo sui computer i profili delle immersioni, e considerando che abbiamo fatto due immersioni Trimix a distanza di sole 3 ore, con permanenze abbastanza lunghe, in condizioni non ottimali, senza aver avuto il minimo problema, ci fà apprezzare le tabelle di Hamilton.
La serata é stupenda, il vento é crollato e c’é un mare piatto come l’olio. Il calare de sole comincia a donare un colore rossastro al cielo e ciliegina sulla torta riceviamo delle visite. “Una pinna …. la, la davanti”, subito “gli squali, gli squali”. Ma quali squali, si tratta della pinna dorsale di un enorme pesce luna che passa a pochi metri dalla barca. “Guardate…. i delfini”, “Si sono là”, “Sono anche da quella parte”. Insomma durante due ore non sapevamo più dove guardare, eravamo circondati da pesci luna, delfini e globicefali. Finalmente ci chiamano per la cena, cena italiana in vostro onore ci viene annunciato. Pasta al forno congelata, con due tipi di sugo che in altra occasioni ci avrebbero fatto ribrezzo, la pasta scotta, il tutto riscaldato in un forno pulito forse nel 1900, se chiamano questa cucina italiana, buon dio. Ma la fame é tanta, la pappa é sempre poca, quindi approfittiamo al massimo di avere cibo caldo ed abbondante, vista la situazione é meglio fare delle scorte.
Dopo cena, a pancia finalmente piena, facciamo i programmi per l’indomani. Vista la calma piatta, pensiamo che i differenti gruppi debbano andare in direzioni differenti, in modo da esplorare al massimo il relitto. Bisogna pensare anche alla targa, che dobbiamo fissare sul relitto. L’idea iniziale di posizionarla sul ponte di comando, vicino a quella di Vailati e Carletti, é andata a monte in quanto i tre ponti più alti, fra cui quello di comando, sono collassati e crollati verso il basso. La fisseremo quindi in un punto poco visibile, in modo che resti al suo posto il più a lungo possibile prima di diventare un pezzo da collezione nella vetrina di qualche ammerlock. Stefano si propone come volontario per scendere con una cima in verticale sotto la barca, per tentare di recuperare la Nikonos RS di Andrea. Qualcuno propone di fare un brindisi alle prime immersioni sul Doria, ma per il momento preferiamo non cantare troppo vittoria, con questi scalzacani non si sa mai.
All’alba del giorno successivo veniamo risvegliati dal rumore del motore. Schizziamo letteralmente giù dal letto per andare a vedere cosa sta succedendo. Si é levato un leggero vento, il mare é increspato e stiamo navigando in mezzo alla nebbia. In pratica Stephan si é svegliato per l’acqua che colava sul suo letto da i vari buchi sul soffitto della Dog House, e ha scoperto che mentre tutti stavano dormendo tranquillamente, la barca aveva lasciato l’ormeggio e se ne stava tranquillamente andando alla deriva. Controlliamo subito sul GPS e praticamente siamo a quasi 10 miglia dal punto del giorno precedente. E i quattro capitani che si dovevano dare il cambio 24 su 24 dove caspita erano? Possibile che ogni cosa su questa barca sia lasciata all’improvvisazione. Forse é tutto organizzato per poter recuperare la macchina persa?
Raggiungiamo nuovamente il punto di immersione, ed Hank e Pete, scendono per fissare nuovamente l’ancoraggio. Questa volta portano con loro il necassario per l’immersione, “piede di porco e mazzetta”, chissa quali sono le loro intenzioni? Intanto facciamo colazione, questa volta abbondantissima, anche se di scarsa qualità, come sempre.
Passano due ore e i due sub risalgono a bordo, con le facce tirate. Senza dire niente vanno a prua con il resto dell’equipaggio e confabulano per almeno aventi minuti. Finalmente Joel si decide a parlare: l’ancora é presa in una rete, in una parte imprecisata del relitto (non sono riusciti ad orientarsi) impossibile di spostarla, mancanza di visibilità e corrente. Tagliamo la cima e mettiamone un’altra dice subito Roberto. No, impossibile, questa é l’ultima ancora rimasta, dopo aver perso l’altra durante la notte. Quindi se perdimo anche questo ancoraggio addio immersioni!
Finalmente Rick e Lee decidono di scendere per cercare di fissare un cavo dall’ancora al relitto. Altre due ore di attesa…..
Intanto cerchiamo di recuperare le varie bombole che durante la notte, forse fornite di gambe proprie, hanno cambiato posto o sono addirittura scomparse. Riusciti alla meglio a rimontare il tutto, cominciamo a vestirci.
Rick e Lee risalgono, sempre facce scure, ingrugnate come si dice dalle mie parti, e sempre stessa tiritera, riunione a prua ………
Infine Joel: siamo attaccati alla falchetta del relitto; che però é altamente instabile e puo crollare da un momento all’altro. Eccezionalmente, visto che dovete depositare la targa, scegliete tre dei vostri migliori sub, che saranno i soli a potersi immergere. Questa volta siamo noi a confabulare, e la risposta é secca : A CUCCURUCÙ, qui la devi smettere di rompere e ci immergiamo tutti, se no siamo noi che facciamo un’altro relitto con il Whaoo!
Visto il nostro fare deciso acconsente, ma, per permettere questo si sacrificherà e metterà una nuova cima scendendo prima di noi. Si prepara, si getta in acqua, e …… Aiuto, la cerniera della stagna é aperta. Risalita sulla barca e nuovo salto in acqua finalmente con successo. Dopo poco appere un pallone a pochi metri dall’imbarcazione. L’equipaggio si guarda in panico, cosa facciamo? Quindi Rick si sveste e senza ne pinne ne altro si getta in acqua, raggiunge il pallone, ma deriva a sua volta, meno male che dopo un paio di lanci mancati, riescono a fargli arrivare una cima e può risalire a bordo. Attaccato al pallone, un oblo strappato al fondo, con ancora i segni freschi della sega sui bulloni. Loro mostrano orgogliosi la loro preda, cosa ne pensate? Noi più che ll’oblo siamo scioccati dal fatto di pensare cosa succederebbe se qulcuno di noi dovesse perdere la cima di risalita, lanciare il pallone per risalire ed effettuare la decompressione in corrente. Dove si ritroverrebbe??? Sicuramente nella cacca!!!!
Finalmente dopo ben 6 ore dall’entrata dei primi sub ,io (telecamera), Roberto (macchina fotografica), Lorenzo e Andrew (targa) partiamo per l’immersione. Seguiamo il cavo indicatoci dall’equipaggio, come il migliore per arrivare sul fondo.
La corrente é scarsa, la visibilità discreta, chissa forse cabierà scendendo. Intanto la linea é sempre più parallela al fondo, praticamente nell’ultimo tratto inizia risalire. Dopo ben sei minuti di discesa finalmente arriviamo sul relitto. Anche qui le condizioni sono ottime, migliori di quelle del giorno precedente. Vediamo a poca distanza un’altra cima che risale, questa é molto più verticale e fissata saldamente al relitto, nessuna traccia di reti od altro, a dimostrazione della malafede dell’equipaggio. Fissiamo la targa sul fondo con una stretta di mano tra Andrew e Lorenzo, e partiamo per l’esplorazione. La buona visibilità ci permette di renderci conto delle dimensioni impressionanti del relitto. Siamo nella parte prodiera, dove era una volta il ponte di comando. Le gru dei battelli di salvataggio ci appaiono adesso nella loro vera grandezza, e sono enormi. I saloni che intravediamo dalle porte ci invitano ad entrare, ci guardiamo negli occhi, andiamo non andiamo….
Poi il buon senso ci fa ripensare a quanto passato in superficie e rinunciamo continuando la nostra esplorazione dall’esterno, sempre tenendo d’occhio la via del ritorno. Mentre sono rimasto dietro per riprendere il gruppo, l’erogatore diventa duro, controllo il manometro, 240 Bar, cosa succede? Cambio al volo l’erogatore, prestando la massima attenzione a non lasciare la telecamera di Uldry, e fortunatamente riesco a respirare. Mano dietro la testa, provo ad aprire il rubinetto del manifold, e sento il classico rumore di travaso. Eppure avevo controllato il tutto prima di indossare l’atterzzatura, vuoi vedere che qualche ammerlock ci ha messo le mani mentre mi aiutava? Non fanno niente ed una volta che fanno qualcosa é quella sbagliata. Chiamo la fine dell’immersione e rientramo verso la cima, che troviamo senza problemi ed iniziamo la risalita, prima tappa a 45 metri, poi la altre ed usciamo dopo circa due ore dall’entrata.
Andrea a bordo aspetta impazientemente Roberto, per farsi dare un braccio per il flash. Durante la mattinata é riuscito a montare l’altro apparecchio fotografico, e non vuole lasciarsi scappare questa ultima opportunità di prendere le foto del Doria.
Del secondo gruppo fanno parte oltre ad Andrea, Peky, Stephan ed Eric.
Al loro ritorno, dopo circa due ore, ci raccontano le loro vicessitudini. Andrea ed Erica hanno seguito una cima che finiva a venti metri con un piombo, Ritornati indietro, scelgono un’altra cima (sotto la barca c’é un vero groviglio di cime) e finalmente é quella buona. Arrivati sul relitto, trovano forte corrente e scarsa visibilità (che cambiamento in due ore) e riescono a fare solo poche foto. Pechy e Stephan sono più fortunati, scendono sulla buona cima e girano il video per tutto il tempo dell’immersione. Durante la risalita, alla tappa dei 15 metri, la corrente cessa tutta di un colpo, facilitando notevolmente i sub.
Siamo tutti stremati, la fatica delle immersioni, di dormire e mangiare poco e male e lo stress generale cominciano a farsi sentire.
Siamo comunque soddisfatti di essere riusciti nella nostra impresa nonostante tutte le avversità a cui siamo andati incontro. Quindi inizio ai festeggiamenti e via con i brindisi a base di Champagne. Jeff se ne esce con una delle sue : se la coglionaggine facesse volare, questi ammerlock sarebbero da un bel pezzo in orbita. Chissà forse proprio per questo é il paese degli astronauti per eccellenza. L’alcool ci dà il colpo di grazia e dopo poco tutti siamo nei nostri loculi.
Qui finisce il racconto della spedizione, alune volte tragico altre simpatico. Certo siamo riusciti nei nostri intenti, immergersi sul Doria, depositare la targa, prendere foto e immagini video, ma la cosa che più mi ha dato soddisfazione é l’affiatamento eccezionale del gruppo anche di fronte alle situazioni più difficili. Spero che questa spedizione sia solo l’inizio di una serie di altre imprese future.
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