Autore: Gigi Casati
Foto: Lorenzo Del Veneziano, Gigi Casati, Jean Jacques
Dopo una piccola pausa, servita ad impratichire Jean Jacques all’uso del CCR Voyager, ritorniamo alla sorgente Bossi con un programma limitato a pochi giorni, a causa dei molteplici impegni miei e di Jean Jacques.
Per questo ritorno, ci siamo attrezzati con più di cento metri di corda speleo, placchette, moschettoni, fix e trapano, abbiamo organizzato il cibo condensandolo in barrette energetiche per ridurre i volumi, preparato quattro litri di acqua di cui la metà colorata con integratori di sali-minerali; una vecchia semplice macchina fotografica con un rullino di diapositive da trentasei scatti ci farà da testimone.
Il primo giorno, lunedì 30-05-05 ci serve per posizionare le bombole del circuito aperto di sicurezza e come sempre le bombole vengono portate oltre la strettoia dei –12m da Stefano e Massimiliano che si preoccupano di posizionare la linea decompressiva, mentre Jean Jacques porterà a –80m, oltre la strettoia dei –89m, una bombola da 15l. Il mio compito è quello di portare una bombola da 20l a –72m e di andare a far visita alla galleria che abbiamo visto durante le esplorazioni all’inizio del mese io e Lorenzo mentre effettuavamo l’immersione per catturare qualche immagine della zona fonda.
Parto subito dopo che la linea decompressiva è stata posizionata, recupero la mia bombola da 20l che posiziono dove previsto, raggiungo i –80 dove cerco di attaccare il filo lontano dal filo principale, ma non trovo un buon punto per legarlo. Mi accontento di un ancoraggio precario: inizio a risalire, mi infilo nella frattura, tento di legare ancora il filo, ma la roccia, sebbene frastagliata, non è adatta: la più parte degli spuntoni si stacca, poiché anche qui, come in tutta la grotta, la roccia non è delle migliori in quanto a solidità; tra me e me penso di essere fortunato ad avere un CCR: in circuito aperto sarebbe l’ennesima difficoltosa risalita a visibilità zero.
Ad un tratto sento il filo molle: l’ancoraggio non ha tenuto. Non mi preoccupo molto perché la frattura risale verticale e l’autonomia del mio CCR è abbastanza grande per permettermi di gestire una situazione difficile. Le bolle che sono costretto ad emettere in risalita intorbidiscono l’acqua. Raggiungo una zona dove la galleria si restringe: sono a –70m e poiché non mi è possibile di fissare il filo, sono costretto riscendendo, a recuperarlo. Mi lascio quasi cadere fino alla sala a –80m, tolgo ogni traccia del filo che a questo punto non servirebbe a nulla.
Inizio a risalire verso l’uscita della grotta e quando sono a –21m, vedo passare Jean Jacques che inizia la sua seconda immersione in solitaria con il CCR: mi saluta e si lascia scivolare nel pozzo. Che sensazione strana provo quando lo vedo andare giù senza emettere bolle: ero abituato a vederlo con il suo SCR passivo ed anche se abbiamo passato insieme una decina di giorni a fare pratica con il nuovo CCR la condizione mi appare strana. Riemergo, sistemo le attrezzature, chiacchiero con Stefano e Massimiliano e di Jean Jacques nessuna traccia: conosco i tempi di percorrenza, ma non lo immagino in CCR, quindi mi aspetto di vedere delle bolle. Intravedo un movimento sulla superficie dell’acqua quando ormai Jean Jacques è a –6m e sta facendo il lavaggio del sacco: ora sono più tranquillo. Stefano e Massimiliano rientrano a casa mentre io e Jean Jacques rimaniamo alla sorgente a far asciugare le nostre mute: passeremo la notte nel Cantone per evitare l’ora e mezza di macchina che separa casa mia dalla sorgente.
Martedì, ci troviamo alla sorgente alle 9 con Stefano, che ci aiuterà alla partenza. Stefano porta a –21m il sacco speleo contenente gli scarponi e due grossi bidoni stagni che rispetto ai prototipi sono stati leggermente modificati da Giòsub. Parto per primo quando ancora Stefano è in acqua; Jean Jacques mi seguirà a ruota. Una volta presi i due bidoni, con una pinneggiata sostenuta mi dirigo verso il fondo della grotta, passo senza perdere tempo la strettoia sul fondo e senza nemmeno sganciare i bidoni ( ricordo come mi sembrava stretta all’epoca in cui la superavo respirando aria ), a –80m mi carico della bombola da 15l e la porto fino a –40m. Raggiunta la sala a –25m, l’acqua mi sembra strana, verdognola: mi rendo conto che la fluorescina è ancora presente in grandi quantità in queste zone.
Entro nella galleria che porta all’uscita del sifone e la situazione è ancora peggiore: tutto è verde e la visibilità non supera i tre metri: mi trasformerò come l’incredibile Hulk diventando verde anch’io? Riemergo dopo 43’, mi scarico delle attrezzature, porto un primo bidone al campo base, ritorno all’acqua e aspetto l’arrivo di Jean Jacques, che stranamente riemerge dopo 75’ affermando di aver perso tempo nella zona fonda.
Sistemato anche il suo CCR, portiamo tutto il materiale necessario al campo base, togliamo le mute ed i sottomuta pesanti ed indossiamo le tute speleo; dopo una “mangiatina” accompagnata da una “bevutina”, iniziamo a risalire il pozzo, trasportando le attrezzature necessarie per la topografia e per la continuazione dell’esplorazione. Suddivisi i pesi, ci incamminiamo: le operazioni di topografia non sono veloci, infatti le misure e i disegni richiedono del tempo. Ci limitiamo a topografare la galleria principale e ad osservare le varie possibilità esplorative.
Raggiunti i passaggi ricchi di fragilissime concrezioni, facciamo molta attenzione a non rompere nulla: ci rendiamo conto che nei passaggi lindi da noi esplorati la prima volta, l’argilla è aumentata perché è affiorata dal leggero strato superficiale di argilla concrezionata, che si è rotto al nostro precedente passaggio.
Raggiungiamo il punto in cui si è fermata l’esplorazione la scorsa volta, prepariamo il trapano e le attrezzature per risalire e mettere in sicurezza la discesa: inizio ad arrampicare. Salgo in libera e superati i 5m di arrampicatina, pianto un fix per permettere a Jean Jacques di seguirmi. Avanziamo nella galleria di forma circolare con un diametro di 5-6m, raggiungiamo dopo una quindicina di metri un pozzetto in discesa, fortunatamente ricco di appigli, scendo e, non appena raggiungo il piano, trovo una bellissima vasca di 5m di lunghezza per 3 di larghezza con il segno dei livelli dell’acqua e delle piccole strane concrezioncine sui bordi. Sono così estasiato guardandomi intorno, che non mi accorgo di appoggiare i piedi su uno strato di umida argilla cosicché in un batter d’occhio, mi ritrovo a pancia all’aria. Jean Jacques, da “buon” compagno di esplorazione, non trattiene una grande risata.
Alla fine della vasca ci ritroviamo su di una galleria che scende inclinata che percorro solo io per una decina di metri; con tutta l’argilla che ho spalmato sulla tuta, scivolo più del normale e poiché non vedo la fine del pozzo, non oso continuare la discesa senza corda.
Terminiamo perciò la topografia di questa intrigante galleria ed iniziamo a rientrare.
Lasciamo tutto il materiale in un posto adatto e scendiamo verso la nostra attrezzatura subacquea che ci permetterà di ritornare, superando il sifone, “en plein air”.
Siamo parzialmente scarichi perché una grossa parte del materiale lo lasciamo nella grotta; il sifone, che oramai conosco a memoria, lo percorro velocemente tanto che riemergo in 35’. Stefano e Massimiliano stanno aspettandoci: sono le 21, il sole è già calato anche se il buio non ha ancora oscurato del tutto la valle; i nostri prodi compagni di avventura non esitano a scendere in acqua per recuperare il materiale. Questa volta rientriamo a casa, perché abbiamo una parte del materiale da sistemare, le tute speleo da asciugare e le batterie del trapano e delle torce da ricaricare. Raggiunto Lecco, una appetitosa pizza non ce la toglie nessuno poi, una sana e riposante dormita ci accompagna al giorno successivo.
Mercoledì, giornata lavorativa e di acquisti: ci servono altre corde per le nuove calate ed arrampicate; la serata la trascorriamo in un ristorantino a deliziarci con succulenti piatti di stagione.
Giovedì, dopo un’abbondante cena, con aromatici vini e per finire una grappa d’annata, non è facile alzarsi presto, ma la grotta ci aspetta. Stefano ci aspetta con aria impaziente alla Bossi, perché noi arriviamo con il canonico ritardo accademico. Mentre prepariamo i sacchi, arrivano alla sorgente Amaiel, Nick e un loro amico di cui purtroppo non ricordo il nome; un saluto, qualche battuta e Stefano indossa la muta umida per portare i nostri sacchi a –15m, mentre noi ci cambiamo fortunatamente prima che il sole raggiunga la vasca e partiamo.
L’appuntamento con Massimo, Flavio e Stefano è per la sera anche se non sappiamo a che ora usciremo.
Tutto bene durante la progressione: riesco a passare il sifone in 35’ mentre Jean Jacques passa in 45’; è bello aspettare, il compagno d’immersione al buio all’interno di una grotta, finché le luci del suo casco illuminano la “piscina” naturale e creano effetti magici. Le solite battute simpaticamente “acide” tra me e Jean Jacques, la sistemazione dei due Voyager e delle potenti luci forniteci da Giòsub, l’arrampicatina che ci porta al campo dove ci spogliamo della muta e via iniziamo la risalita del pozzo. Questa volta porto con me l’economica macchina fotografica per tentare di immortalare alcuni passaggi. Raggiunta la saletta dove sono caduto martedì, mi preparo da “buon” compagno di esplorazione, a cogliere una probabile immagine di Jean Jacques che va a gambe all’aria vendicandomi così delle sue risate precedenti. Jean Jacques, che non crede ai suoi occhi vedendomi pronto allo scatto, con un passo da guascone avanza verso di me, scivolando inesorabilmente illuminato dal lampo del flash. Dopo essermi accertato delle condizioni dell’amico sessantacinquenne, mi lascio sfuggire qualche battutina.
Poi si lavora: trapano alla mano metto un fix ed inizio a percorrere la galleria; le forme sono molto belle e dopo una ventina di metri mi trovo ad un bivio. Mentre Jean Jacques si prepara a prendere le misure per la topografia, io, dopo aver osservato l’andamento della galleria, seleziono il materiale decidendo di non portare il trapano e le batterie. Le concrezioni si sprecano: i depositi di argilla ormai induriti dal tempo formano strane morfologie. Dopo un centinaio di metri arriviamo ai piedi di una bianca colata di calcite, dove stimo 5m di arrampicata e, poiché il fango la fa da padrone e si scivola troppo, non mi fido a risalire la concrezione. Mentre Jean Jacques si riposa io torno indietro a recuperare il trapano e la batteria. Inizio ad osservare la parete di roccia dinanzi a me, scorgendo una cengia a circa 3m da terra facile da raggiungere sulla destra, per cui salgo. Faccio un buco nella parete marcia, metto un fix, piastrina, moschettone e corda, Jean Jacques mi fa sicura dal basso; mi lascio di peso sull’ancoraggio, iniziando a pendolare per raggiungere una stalagmite. Una volta afferratala, la uso come appiglio per tirarmi su di peso: è fatta, ancora un metro e sono su di una piazzola piana lunga 10 m e larga 4m. Il pozzo continua a salire su concrezione, l’argilla purtroppo non manca, alla base un limpido laghetto è alimentato dallo stillicidio.
Metto in sicura la corda e Jean Jacques mi raggiunge. Non ci resta altro da fare che affrontare l’ennesima arrampicata. Uno studio rapido per trovare il miglio punto per risalire ed inizio di nuovo. Salgo di 1,5m, si stacca l’appiglio, ma per fortuna non cado. Decido di iniziare con il trapano, piantando fix, utilizzo la staffa per semplificare la risalita, e dopo averne messi tre, raggiungo la cima del pozzo a circa 8m di altezza. Avanzo strisciano nella argilla bagnata, ancorando la corda in maniera che serva come corrimano per avvicinarsi al pozzo, ma a metà buco la batteria si esaurisce. Avviso Jean Jacques di fare attenzione a quest’ultimo tratto. L’ambiente è molto diverso: l’argilla che ricopre le pareti lo rende tetro ma, dopo 20m una nuova sorpresa: un sifone i cui bordi sono di argilla pura, si intorpidisce rapidamente con una nuvola di fango quando volutamente mettiamo i piedi in acqua.
Siamo di fronte ad un sifone pensile a circa 150m di altezza rispetto al lago dove abbiamo lasciato le attrezzature. Ci organizzeremo per tornare a fare immersione in questo “invitante” sifoncello. Rientriamo e mentre percorriamo la galleria andiamo a vedere alcuni passaggi laterali per controllare se proseguono. Raggiungiamo anche la batteria di scorta e la utilizziamo per piantare dei fix su un paio di pozzi che ci sono strada facendo, ma avendo finito anche i moschettoni, non possiamo scenderli. Raggiungiamo il campo vicino al laghetto: non abbiamo più nulla da mangiare, ma è rimasta fortunatamente dell’acqua in cui è disciolto l’integratore di sali-minerali. Decidiamo cosa lasciare all’interno della grotta perché vogliamo ritornare a continuare sia per continuare l’esplorazione sia per la topografia.
Io riemergo come al solito dopo 35’ ed un po’ annoiati, trovo Flavio, Massimiliano e Stefano che si preparano velocemente per andare a recuperare tutto il materiale che è rimasto dai –35 in su. Jean Jacques riemerge dopo 45’: ormai sono le 21.30.
Finiamo di caricare il materiale alle 22.30 e quando ci salutiamo è sottointeso che ci ritroveremo tutti per la vedere fin dove continuerà a sorprenderci questa sorgente Bossi..
Partecipanti:
Flavio Luzzi. (Svizzera)
Jean Jacques Bolanz (Svizzera)
Luigi Casati (Italia)
Massimiliano Valsecchi (Italia)
Stefano Beatrizotti (Svizzera)
Sponsor:
Aquatek
Giòsub
Lm. Nt
Parisi Sub
Utengas
Si ringrazia il:
Azienda Industriale di Lugano
Comune di Arogno
Istituto Scienze della Terra
Il giornale del Popolo
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