Autore:
Giovanni Rossi Filangieri
Autori foto: Giovanni Rossi Filangieri, Anna Ciriello, Marco Bebi, Jim Abernethy
E’ difficile tradurre in parole le emozioni e le sensazioni, specie quelle provate durante un’esperienza così intensa e fuori dal comune. Proverò a ripercorrere con la memoria gli eventi e raccontarli così come li ho vissuti. Mi piace immaginare di essere seduto con voi, sconosciuti lettori, davanti ad un camino, in una fredda sera d’inverno, con un bicchiere di vino rosso tra le mani, a scambiarci storie di mare. Vi racconterò di lunghi preparativi, di vento e di salsedine, di barche, di oceano, di squali…..a centinaia.
Quando mi è stato proposto da Sergio Riccardo di partecipare a questa spedizione stavo affrontando uno dei periodi più difficili e dolorosi della mia vita e non sapevo davvero se, poi, alla fine ce l’avrei fatta ad esserci. E’ stata una
scommessa con la vita e con me stesso. Fatto sta che, dopo un intero anno di difficoltà e aspettative, di dubbi e di speranze, mi sono trovato, come di colpo, di fronte all’oggetto dei miei desideri. E’ una calda sera agitata dal
vento e sono nella rada di Lake Park in Florida, su un pontile mobile ad ammirare la SHEAR WATER, uno splendido Hatteras di 65 piedi perfettamente adattato alle immersioni con gli squali, che dondola dolcemente sull’acqua. Una
linea superba, le foto di due grandi squali, un tigre ed un martello, riprodotte alla perfezione ai lati, il quadrato di poppa ingombro di bombole di alluminio ordinate nelle rastrelliere.
L’avevo vista tante volte sul web ed ora che l’avevo davanti mi sembrava impossibile. E’ il 9 novembre, il giorno prima dell’imbarco per la spedizione con Jim Abernethy sui banchi delle isole Bahamas; obbiettivo: squali,
in particolare Squali Tigre e Sphyrna Mokarran, il grande squalo martello. Il meteo non è favorevole. Il cielo è sereno, ma c’è vento da nord est in ulteriore rinforzo con presagi di mare in burrasca. Le palme piegate dal vento e quel rumore metallico dovuto alle sollecitazioni del sartiame, tipico di quando in porto il mare non è fermo, ci dicono che le previsioni non sbagliano. E’ da poco passato l’uragano Sandy che ha colpito la Giamaica, Cuba, le Bahamas, Haiti, la Repubblica Dominicana e la costa orientale degli Stati Uniti, morendo poi nella zona a sud della Regione dei Grandi Laghi. Ogni considerazione è rimandata al giorno seguente, ma più di uno ha il timore che la partenza possa essere rimandata.
Reperita una sistemazione a buon mercato, ceniamo in un posto che è un simpatico incrocio tra un pub, un club di biliardo ed un Karaoke bar. La birra scorre a fiumi e, tra partite di freccette e pool palla nove, si esibiscono in melense canzoni country personaggi davvero pittoreschi ed in evidente stato di ebrezza.
Indosso il grande tovagliolo nero a mo’ di bandana sulla fronte e mi atteggio a “cacciatore di squali”. Jim deve essere molto popolare qui, perché non appena si sparge la voce di una spedizione italiana in partenza per le Bahamas si crea un capannello di curiosi attorno al nostro tavolo; una ragazza entusiasta ci racconta di essere da poco tornata da un tour breve sulla DEEP OBSESSION, l’altra barca di Jim, identica alla Shear Water ma più piccola.
La mattina del giorno dopo ci ritroviamo nella vicina Palm Beach per fare colazione in un enorme bar dal sapore caraibico, con squali e Marlin imbalsamati, scialuppe addobbate e tavole da surf, dove servono ogni ben di dio:
salsicce, bacon grigliato, uova, pesce, frutta tropicale.
E’ quasi ora di lasciare l’albergo e iniziare questa avventura che si preannuncia già difficile in partenza. La sede della “Scuba Adventures” è al n. 216 di Federal Highway, nei pressi di Lake Park Marina. Ci accolgono con grande calore. All’interno è un trionfo di stupende gigantografie subacquee di Jim: per lo più squali, delfini, tartarughe e lamantini. Ricco anche il catalogo di libri da farsi autografare. Completate le registrazioni e tutte le formalità, compilati gli “scarichi di responsabilità” di ben 2 pagine a scrittura fitta (ne conservo una copia per ricordo), compriamo dei regali dal fornito gift shop e qualche attrezzatura mancante. Con gli squali tigre è buona norma di prudenza non indossare colori sgargianti. Jim privilegia il “total black”, cioè ogni cosa deve essere di colore scuro, preferibilmente nera. Anche guanti e cappuccio sono obbligatori, non per la temperatura dell’acqua, che è piacevolmente calda, ma perché non bisogna lasciare parti del corpo scoperte (il colore chiaro della pelle ricorda quello dei pesci morti e attira gli squali Tigre). Così, io e Anna acquistiamo un comodo sottomuta di lycra rigorosamente nero, da mettere sotto la monopezzo 3 mm.: ha un cappuccio incorporato che ci evita di dover usare quello più pesante di neoprene. Alcuni di noi ironizzano, ritenendo queste precauzioni un’esagerazione non riscontrata in altri luoghi famosi per le immersioni con i grandi squali tigre, come il Sudafrica o la Polinesia. Tuttavia, non abbiamo scelta e forse è il caso di fidarsi di chi fa immersioni con gli squali tigre da più di trent’anni ed è considerato uno dei massimi esperti di questa specie.
Andiamo alla marina dove eravamo stati la notte precedente e scarichiamo tutte le attrezzature subacquee e fotovideo, nonché gli effetti personali. Ci attendono i collaboratori di Jim, tre in tutto: Matt il vice comandante, Jeff
marinaio e sub e Chad abile cuoco, sub, marinaio…insomma un pilastro della spedizione. Apprendiamo con gioia che, nonostante le previsioni meteo, si parte lo stesso. Leveremo le ancore da Lake Park alle 2.00 di notte per minimizzare i problemi del mare grosso; arrivo alle Bahamas stimato per le 9.00 del mattino seguente. Con i grandi carrelli del porto ci aiutano a trasbordare tutto quella che è pesante e non ha rotelle. Mentre Sergio e Marco vanno a Fort Lauderdale a restituire il Van noleggiato a Miami, i restanti membri della spedizione si danno da fare ad imbarcare tutto il materiale subacqueo e da ripresa.
E’ un gran da fare, poiché tutti i trolley , borsoni e
contenitori vari saranno riportati con la Jeep alla Scuba Adventures, in
magazzino, dove rimarranno fino al nostro sbarco. Ogni minimo spazio a bordo è
dedicato alle immersioni e alle attrezzature da video ripresa e tutto ciò che
ingombra viene sbarcato. Così, sistemiamo i pochi effetti personali nelle
cabine, l’attrezzatura subacquea sotto i banchi da immersione del quadrato di
poppa e quella foto video negli appositi spazi dedicati all’interno della
dinette.
La Shear Water è davvero una prima donna, in un porticciolo
dove ci sono numerose bellissime barche attrezzate per la pesca e le immersioni.
Fa bella mostra di sé con il suo scafo azzurro come il mare delle Bahamas e i
suoi due grandi squali “tatuati” ai lati della cabina bianchissima. All’interno,
la barca è ancora più stupefacente che all’esterno: si respira un’atmosfera da
avventura ed ogni piccolo spazio è riempito da straordinarie foto di squali.
Persino la botola dei rifiuti è nascosta da una superba foto
di un enorme bocca spalancata di Bull shark. La Shear Water ospita di frequente
spedizioni scientifiche per sessioni di studio degli squali e si capisce subito
che qui si fa sul serio, una barca molto strutturata e spartana che di turistico
ha ben poco.
65 piedi (circa 20 metri, dalla poppa alla delfiniera). Doppia plancia a poppa
che permette una comoda e veloce risalita a bordo a più sub contemporaneamente,
anche con tutta l’attrezzatura indosso (molto salutare con squali in gran numero
sempre presenti sotto poppa). Uno spazioso quadrato di poppa con panche e
rastrelliere lungo tutto il perimetro (ospita comodamente 12 sub), al centro due
vasche con acqua dolce che coperte diventano comode panche per l’attrezzatura
fotovideo. Sotto il quadrato di poppa c’è la sala macchine, il compressore
(dotato di fruste lunghe che attraverso delle aperture permettono di caricare le
bombole direttamente nella rastrelliera), il dissalatore in grado di ottenere
una grande quantità di acqua dolce ogni giorno direttamente dal mare e le celle
frigorifere per la pastura degli squali. Una scaletta davanti alla porta della
dinette porta ad un ampio Flying bridge che è plancia di comando, sala mappe e
ha un grande divano-letto per il capitano o la guardia notturna. Dietro la
scaletta, assicurati con fasce elastiche, sei grandi bomboloni industriali di
ossigeno con relative manichette. Nell’angolo alla sinistra della porta della
dinette un piccolo lavabo che nasconde al di sotto un frigo con le bevande (Coca
Cola normale o light, limonata, Sprite, acqua liscia o con selz, aranciata etc.)
sempre disponibili, fresche ed illimitate (comprese nel prezzo). Sono
accessibili attraverso una doccetta dispenser a tasti: ad ogni lettera
corrisponde una bevanda. Sulla destra, una sbarra con gli appendini per le mute.
Sulle vetrate posteriori della dinette campeggiano grandi foto di squali.
Entrando, subito sulla destra c’è un piccolo tavolo con divanetti e, sulla
parete, gli alloggiamenti delle attrezzature foto video (9 box con relative
“ciabatte” di prese di corrente). Sulla sinistra, vani per attrezzature varie di
bordo nonché quello personale di Jim. Subito in basso, una botola di accesso
alla sala sotto il quadrato di poppa. Sempre continuando sulla sinistra un
grande tavolo con ampi divani; di fronte, una piccola cucina attrezzatissima.
Una scaletta porta al ponte inferiore dove ci sono le cabine e i bagni: tre
cabine doppie con cuccette a castello ed una grande a prua con 6 posti. Due
bagni di discrete dimensioni con cabina doccia ai due lati del corridoio. Dai
corridoi esterni o dalla cabina di prua si accede all’ampissimo ponte prendisole
che termina con la delfiniera.
Eccoci finalmente a bordo. Verso le 18.00 arriva anche Jim che ci saluta.
Conferma la partenza e, purtroppo, anche il mare in burrasca. Prima di lasciarci
a Matt, il suo vice, per il briefing sulla barca, Jim ci riunisce tutti attorno
al tavolo e ci fa una richiesta: “ragazzi, questa notte si ballerà parecchio,
quindi vi chiedo, per la vostra stessa sicurezza, di non uscire per nessun
motivo all’aperto. Se qualcuno cadesse in mare di notte, nella corrente del
golfo e con queste condizioni, avrebbe scarse probabilità di sopravvivenza.
Sotto il tavolo, nella cassetta del pronto soccorso, ci sono due scatoli di
compresse contro il mal di mare. Se avete bisogno prendetele”. Ci saluta e si
ritira in plancia di comando sul Flying Bridge.
La cena viene servita verso le 19.00 e poi ci attardiamo a conversare attorno al
tavolo, davanti ad una corposa bottiglia di Rum riserva speciale portata da
Enzo, detto “dietmar” o anche “famiglietto”.
Nonostante la stanchezza, non riesco a dormire e sono ancora sveglio quando
sento i potenti motori che si avviano: stiamo lasciando la rada di Lake Park
marina per affrontare la traversata nell’oceano. Trascorrono i minuti e gli
scossoni diventano sempre più forti finché non capisco che siamo ormai in mare
aperto nel mezzo di onde molto alte. Sento un certo vuoto nello stomaco ogni
volta che la barca ricade nel cavo delle lunghe onde atlantiche. Fuori è tutto
un rumore di oggetti che cadono, che urtano tra loro e di anonimi passi
concitati che corrono verso il bagno. Anche Anna sta parecchio male, è sudata e
pallida; vomiterà molte volte nel corso della notte. Fortunato me, vinto dalla
stanchezza verso le 4 di notte mi addormento e sogni i delfini.
Quando mi sveglio, è tutto tranquillo. Siamo in una rada a Gran Bahama, per le
formalità doganali.
Ci tratteniamo una mezz’ora prima di riprendere il mare per il Little Bahamas
bank, che si estende per molte miglia ad ovest di Grand Bahama. E’ li che siamo
diretti, verso una zona particolare del banco dall’evocativo nome di “TIGER
BEACH”. D’ora in avanti, per tutti i giorni della spedizione saremo sempre in
mare aperto, nelle zone abitualmente frequentate dagli squali tigre. Verso le
11.00, Jim ci riunisce insieme all’equipaggio davanti al grande tavolo della
dinette per l’atteso briefing sugli squali. Jim vuole che uno di noi traduca
tutto in Italiano. Dopo consultazioni, vengo eletto traduttore ufficiale senza
stipendio. Mi arrangio alla meglio e confesso che, essendoci due donne a bordo
(mia moglie Anna e Tecla, consorte di Antonio), ho spesso edulcorato le colorite
e spesso inquietanti espressioni. l briefing è durato molto tempo, ma cerco di
riassumere le cose principali che ricordo.
Jim esordisce così:”ovviamente mi aspetto di avere a che fare
con subacquei più che esperti e, dunque, tralascio discorsi legati alle
immersioni per parlarvi di come ci si comporta con gli squali. Avremo a che fare
con tantissimi squali ed in alto mare. Quindi vi chiedo di seguire
scrupolosamente le mie indicazioni. Se succede qualcosa, se si verifica un
incidente, i primi soccorsi sono a due ore di elicottero da qui. Tutto chiaro?”
Annuiamo tutti e Jim continua: “Le specie che incontreremo saranno per lo più
cinque o sei: Nutrici, Lemon Shark, Caribbean Reef Shark, Bull Shark, grande
martello e Tigre.” Ci mostra anche delle foto che aiutano la descrizione e, cosa
assai divertente, pupazzi di peluche raffiguranti le varie specie con i quali
mima i comportamenti. “C’è una sostanziale differenza a seconda del tipo di
squali presenti in acqua. Con i lemon e gli squali di barriera non si corrono
seri pericoli; per cui, potrete dedicarvi alle riprese senza grandi problemi, a
patto di non provocarli. Se in acqua ci sono Bull, Hammer o Tiger shark la
faccenda cambia radicalmente. Vi parlerò, quindi, di come limitare al minimo i
problemi e i rischi con queste specie. Metteremo le ceste della pastura sempre
sotto la poppa, di fianco alla cima di discesa; quindi avremo sempre squali
vicino la plancia.
Per questo motivo, vi chiedo di zavorrarvi molto; questo vi
permetterà di scendere rapidamente sul fondo e anche di resistere meglio alla
corrente che spesso è forte su questi bassi fondali. La profondità delle nostre
immersioni sarà limitata, quindi….nessun problema di sovrappeso. Discesa rapida,
non voglio vedere nessuno che galleggia in superficie, nemmeno per pochi
secondi. Avrete tutti un’asta di circa un metro per tenere a bada gli squali.
Cercate di stare sulla stessa linea sul fondo, di essere un gruppo compatto e
piantate l’asta dritta nella sabbia. Creerete così una sorta di gabbia, un
ostacolo agli squali che cercassero un varco nel gruppo. Sul fondo state in
piedi o in ginocchio, non mettete le gambe all’indietro. Le gambe sono una parte
vulnerabile nel malaugurato caso di un attacco. Io vi indicherò l’origine della
corrente. Guardate da quella parte perché gli squali risalgono la corrente fino
alla pastura. Ci deve essere una zona sgombra tra la direzione della corrente e
la pastura; se vi sistemate ai lati di questo ideale “corridoio” potrete vedere
molto da vicino tanti squali che si muoveranno lungo questa invisibile linea. Se
ci disporremo male in acqua, interromperemo questo flusso, innervosiremo gli
squali e ce li vedremo costantemente addosso. Ci immergeremo spesso sotto la
barca o nei pressi. Talvolta andremo su dei reef battuti dai tigre, portando con
noi le ceste di pastura. In quel caso la barca sarà sotto corrente e nuoteremo
all’inizio a sfavore di essa fino al reef. Voglio vedere tutti rientrare dalla
cima dell’ancora di prua che sarà nei pressi del reef. Da li scivolerete in
corrente verso la plancia di poppa. Se qualcuno interrompe l’immersione, lo
comunica ed attende l’ok prima di andare. E ora veniamo ai Tigre: qualcuno ha
già avuto esperienze simili?” Alcuni di noi ne hanno avute e annuiscono. “Bene.
Qui ce ne sono tanti. Raramente saranno isolati. Potremo vederne due, tre,
quattro, ma molto più spesso sette, otto, anche più di dieci contemporaneamente.
Di tutte le taglie, da esemplari giovani e timidi a grandi femmine di 4-5
metri.” – “perché le femmine sono più grandi?” chiedo – “Si, circa un terzo più
grandi dei maschi. Qui abbiamo tre tipi diversi di squali tigre: quelli che io
chiamo WILD o OUTSIDER, i selvaggi che non amano farsi fotografare e girano
circospetti e nervosi; le MODELS, quelli che amano il contatto con i sub e si
avvicinano; le TOPMODELS, squali grandi, curiosi e intraprendenti. Da queste
parti ci sono una settantina tra models e supermodels. Emma (mitico ed enorme
squalo tigre che incrocia le acque di Tiger beach) è una super super top model,
ma non la si incontra spesso. Per un fotografo le topmodels sono l’ideale, ma
bisogna stare anche molto attenti: non è un fatto positivo avere più di una
Topmodel in acqua. Dovete immaginare lo Squalo tigre come un cane, un enorme
cane acquatico. E’ molto curioso ma, contrariamente a quanto si dice, ha un
certo timore dell’uomo. Per cui inizialmente è molto diffidente. Però, se
stimolato, può diventare molto curioso, proprio come un cane. Cercherà di
giocare con voi, di mordervi le pinne e, vi assicuro, non è una esperienza
rilassante. Cercate di non attirare la sua attenzione. A volte è molto
insistente, sembra che se ne sia andato ma torna più e più volte fino a cercare
un contatto diretto. A proposito di ciò: non barattate la vostra macchina
fotografica o da ripresa (- don’t negoziate your camera with the Tiger- sic),
lasciategliela prendere……..se la vuole se la prenderà comunque e non potrete
opporvi. Dopo un po’ la risputerà e potrete valutare gli eventuali danni. Non
succede tanto spesso ma succede.” Si leva un comprensibile brusio e vola qualche
“e sticazzi” che evito di tradurre a Jim. “Quindi seguitelo con lo sguardo e non
attirate la sua attenzione. Con gli squali tigre in acqua voglio che vi
concentriate, che non vi distraiate con le regolazioni delle macchine
fotografiche. Sembrano lenti, ma ve li ritroverete all’improvviso davanti.
Guardatevi anche le spalle. Dobbiamo lavorare come un team: chi avvista un tigre
deve puntare il dito nella sua direzione in modo che tutti possano accorgersene
e toccare i compagni vicini, che a loro volta toccheranno gli altri. Se uno
squalo vi arriva addosso respingetelo con la macchina o con l’asta, cercate – in
ogni caso – di farlo passare sopra e mai sotto di voi o tra le gambe. Se succede
potrebbe essere l’ultima cosa che fate! Non vi avvicinate troppo alle ceste e
soprattutto non toccatele.” Ascolto con attenzione e mi accorgo che è salita una
certa tensione nel gruppo; vedo sguardi perplessi e le ragazze visibilmente
spaventate. Penso dentro di me che probabilmente Jim sta esagerando per essere
certo che seguiremo le sue indicazioni. Del resto, in tanti anni ed in centinaia
di immersioni gli incidenti si contano sulle dita di una mano. Così lancio un
sorriso rassicurante ad Anna. Poi aggiunge qualcosa di confortante: “Se qualcuno
ha qualche problema o non si sente a suo agio, lo segnala mettendo le braccia
incrociate sopra la testa. Io e i miei ragazzi penseremo ad allontanare da voi
gli squali. Non c’è problema alcuno. Allora, io spero di avervi detto tutto.
Conto di farvi divertire, farvi vedere tanti squali e avere incontri i più
ravvicinati possibili. Vi aiuterò ad ottenere immagini sensazionali. Ogni sera
ce le guarderemo insieme e risolveremo ogni problema tecnico. Naturalmente ho
intenzione di battere il record di permanenza sott’acqua che su questa barca è
molto elevato. Ho già chiamato il Guinness”. Così Jim conclude ridendo il suo
briefing che non credo dimenticherò mai.
Voglio dire ora a tutti quelli che hanno avuta la pazienza di leggere fin qui
che se mi sono dilungato così a descrivere il briefing squali l’ho fatto per due
ragioni. La prima è che il briefing di Jim Abernethy è qualcosa di
indimenticabile che permette di acquisire in poco tempo informazioni basilari
sugli squali maturate in decenni di immersioni, anche drammatiche, come quella
del 2008; ascoltare uno dei maggiori esperti sul campo di squali al mondo
(sicuramente uno dei più appassionati), sulla sua barca nel bel mezzo
dell’oceano, con una dozzina di squali che in tempo reale nuotano sotto la
plancia di poppa e, soprattutto, poco prima di un’immersione non ha decisamente
prezzo e lo volevo condividere. L’altra ragione, non meno importante, è che ho
sperimentato sott’acqua che tutto quello che ci è stato detto è tremendamente
vero e molte di quelle cose sono anche riuscito a documentarle.
Non vi annoierò descrivendo le tante immersioni fatte in quei giorni, anche
perché erano situazioni più o meno simili, quasi sovrapponibili, paradossalmente
diventate “noiose”; e ci metto le virgolette poiché lo erano solo perché un po’
ripetitive, ma assolutamente entusiasmanti per ciò che si vedeva sott’acqua. Vi
dirò solo che: facevamo circa tre immersioni al giorno della durata di circa
un’ora, due di giorno ed una di notte; le immersioni erano su fondali poco
profondi, tra i – 27 mt. a – 6/7 mt.; abbiamo visto solo altre due barche in
tutta la settimana; ogni giorno il numero dei tigre presenti ad ogni immersione
aumentava sempre di più, forse per la continua pasturazione; abbiamo cominciato
a riconoscere da alcuni particolari molti squali già visti: un amo conficcato in
bocca, uno sfregio sulla pinna, una cicatrice sulla bocca, e a questi se ne
aggiungevano di nuovi. La costante era che di tutti gli esseri viventi sui
fondali (ricciole, snapers, cernie, balestra, tonnetti, pesci ago etc.) la
preponderanza assoluta era costituita da squali. E’ questa la caratteristica che
rende uniche le Bahamas: la enorme quantità di squali che si possono vedere in
una sola immersione, ragione per cui sono da sempre molto popolari tra chi li
ama.
Voglio, tuttavia, raccontare brevemente solo tre tuffi: il
primo in cui abbiamo incontrato i tigre, forse il momento più emozionante;
l’ultimo della spedizione in cui c’era in acqua un numero davvero eccezionale di
esemplari di questa specie, a detta anche di Jim; ed uno notturno, che regala
sensazioni ancora più intense.
E’ il 12 novembre, prima mattina. Abbiamo calato l’ancora su un fondale di una
ventina di metri. Il gruppo è già sceso con Jim da qualche minuto. Io ed Anna
siamo pronti vicino la plancia. Chiedo perplesso a Matt cosa dovessimo fare e
lui: “this way”, mi indica con il dito la direzione del reef, un punto distante
un centinaio di metri dove le bolle rivelano la presenza del gruppo in acqua. “E
ci dobbiamo andare da soli laggiù?” dice Anna. Non so cosa rispondere, cosi gli
dico di tuffarsi e aspettare al termine della catena di discesa. In breve, ci
troviamo insieme sul disco piombato della catena e sotto di noi ci sono ancora
una decina di metri al termine del quale un fondale di sabbia bianchissima. La
visibilità è eccezionale e vediamo perfettamente il reef distante verso cui
dirigerci. Ci sono molti squali sotto la barca, per lo più squali Reef shark,
piccoli ma molto belli, ed alcuni limoni, molto più grossi e inquietanti
nell’aspetto. Uno squalo che nuotava lontano in basso risale veloce e viene
verso di noi, ci osserva per un attimo e si allontana. Posso vedere la profonda
cicatrice sulla bocca, dovuta forse a qualche amo. Lo incontreremo molto spesso
nei giorni avvenire. Sembra che non ci siano tigre in giro, così ci lasciamo
andare verso il fondo e iniziamo a nuotare contro una fastidiosa corrente in
direzione del reef corallino. Arrivati faticosamente alla collina di corallo,
inizio a riprendere un po’ di pesci tropicali, tra cui una bellissima cernia
maculata che inseguo fin dentro un anfratto dove va a ripararsi. Dalla sommità
del reef si vede la lontana colonna di bolle del gruppo, così risaliamo e
vediamo Jim e gli altri circondati da un carosello di squali. Ci stiamo
avvicinando quando vedo un enorme Squalo tigre incombere alle spalle di Antonio
che evidentemente non se ne è avveduto; istintivamente mi viene di gridare nel
boccaglio dell’erogatore anche sapendo che non potrà sentirmi. Il sistema di
puntamento funziona perché Antonio vede le braccia puntate nella sua direzione,
si volta e arretra verso il gruppo. Ora siamo tutti vicini, disposti a
semicerchio nel reef, ognuno sistemato alla meglio per le riprese. Jim ha con se
un paio di ceste di pesce, che ha portato fin qui con lo scooter, ed ha piazzato
la sua macchina fotografica sul treppiedi per avere le mani libere. Gli squali
sono tantissimi: Nutrice, Caribbean, Lemon, ma l’attenzione è inevitabilmente
concentrata su una coppia di grandi squali tigre che ci gira intorno. Li vedo
più volte arrivare all’improvviso dal blu, vicini al fondo di corallo, e
avvicinarsi a pochi metri prima di deviare verso le ceste. Noto distintamente la
membrana nittitante che si apre e chiude a protezione del bulbo oculare, come un
sinistro “occhiolino”. Incredibile la confidenza che ha Jim con questi bestioni,
li sposta dalle ceste con vigorosi spintoni, gli carezza il muso come a dei
cagnolini. Intanto, gli squali più piccoli, quasi come fossero gelosi e
cercassero di rubare la scena ai grandi tigre, si spintonano e si lanciano in
traiettorie azzardate. Ce li vediamo arrivare letteralmente addosso e ne
possiamo ammirare ogni particolare. Spesso ci urtano o urtano la mia videocamera
montata sull’asta, costringendomi a riposizionarla. In acqua c’è una discreta
eccitazione, lo spettacolo è grandioso, nessuno immaginava di poter avere
contatti così stretti con i Tigre. Un attimo dopo, sperimento il mio primo
incontro ravvicinatissimo. Vedo un Tigre che nuota apparentemente lento verso di
me ma stavolta non sembra intenzionato a deviare; infatti, lo vedo puntare
dritto sempre più vicino. Mi appiattisco verso il fondo, allungo l’asta e mi
preparo all’impatto che però non è violento. Lo squalo urta contro la video
camera, si ferma, sembra voler andare via ma sorprendentemente si rigira, un
paio di volte, fino a che non desiste e lo vedo sfilare sopra la mia testa. Non
dimenticherò mai il ventre bianchissimo e largo e l’enorme coda che passa sulla
mia testa confermandomi che lo squalo, che sembrava non terminare mai, ha una
fine. Il risultato sono delle spettacolari immagini ravvicinatissime del muso e
del suo occhio. Rientriamo come da protocollo dalla cima dell’ancora tesa verso
il reef. A bordo l’eccitazione è palpabile: si ride, si scherza, si guardano
subito le immagini raccolte, in attesa del pranzo e di un’altra immersione.
La prima immersione notturna con gli squali me la ricordo benissimo. Non tutti
decidono di immergersi, forse impigriti dalla cena sempre abbondante e dalla
stanchezza. Siamo in cinque più Jim. Non possiamo portare torce, la luce attira
i tigre. Così l’illuminazione è garantita dai fari (4) di cui dispone la barca
sotto la carena. C’è quindi un tratto di fondale illuminato pari alla dimensione
della barca e tutto intorno buio pesto. Ci sono già una dozzina di squali sotto
la barca, per lo più lemon. Noto che di notte sono molto attivi, nuotano
freneticamente e sono ancora più desiderosi di contatto. Non resisto alla
tentazione di accarezzarne uno molto grosso su tutta la schiena e questo gesto
gentile lo ha immortalato Jim regalandomi una fantastica foto. Le sensazioni
sono amplificate dal contrasto tra il buio, che può nascondere qualsiasi
insidia, e la luce artificiale, nostro rifugio sensoriale. Rimaniamo quasi
un’ora dal fondo e solo il freddo ci convince a salire.
L’ultima immersione è di quelle indelebili nella carriera e
nei ricordi di qualunque subacqueo, un degno saluto a Tiger Beach: 15 squali
tigre, c’è chi dice di più, contemporaneamente in acqua. Il vento è calato da
alcuni giorni, il mare piatto, l’acqua trasparentissima, poca corrente. La
grande pila di ceste di pesce fa il suo solito lavoro, quasi oscurata da un
fitto branco di Snapers che reclamano il pasto quotidiano. Il tempo di scendere
sul fondo che vedo e riesco a riprendere un enorme tigre che, dondolando con una
inclinazione verso il basso, cerca di mordere le pinne di Jim che arretra senza
minimamente scomporsi. Lo stesso tornerà ancora su di lui e poi su di me. Tutta
l’immersione sarà un grandioso spettacolo, un carosello continuo di squali in
cui per la prima volta i tigre sembrano quasi essere in pari numero con i Lemon
e i Caribbean. Ne arrivano a tre, anche quattro alla volta verso le ceste, ed è
sorprendente la capacità e la freddezza di Jim nel gestire il tutto. Deve fare
riprese, badare alle ceste (i tigre cercano costantemente di rubarle) ed al
gruppo.
Ed a conclusione di questo mio racconto voglio proprio
spendere qualche riga per lui: ci ha fatto vivere un’esperienza unica,
dimostrandosi al tempo stesso una persona umile. Non ha mai cercato di stupire,
ha sopportato tutta le nostre mancanze e indisciplinatezze con leggerezza. Ha
condiviso con noi, come fosse un principiante, tutto il nostro entusiasmo. Un
grande subacqueo, un grande fotografo, che ci è sembrato essere uno di noi. E
non ci ha mai finito di stupire: l’ultima sera prima della traversata di
ritorno, girando con una grande conchiglia tra le mani, ha chiesto a ognuno di
noi di mettere dentro una scheda di memoria con almeno 5-6 giga di spazio. Il
giorno dopo, le schede erano piene del Video della spedizione, con immagini e
filmati montati da lui nei ritagli di tempo della spedizione, una cartella di
foto in alta risoluzione delle immersioni, una con foto elaborate in bassa
risoluzione per internet. Ad ognuno di noi ha voluto regalare una copia di un
suo libro di fotografie sugli squali con i ringraziamenti ed una personale
dedica. Questo è Jim ABERNETHY, al quale va il mio “God bless you” e cui dedico
questo racconto.
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