Laghi Tech-Lago di Lecco-Moregallo
appunti di viaggio di una immersione tecnica
E’ molto particolare il genere umano, ed in effetti, soffermandoci a riflettere sui nostri comportamenti, capiamo che siamo proprio uomini e non macchine , …diversissimi uno dall’altro .
Una persona può essere tranquilla, vivere semplicemente con quello che quotidianamente gli viene offerto, appagato da poco, senza ambire a qualche cosa di più “forte”: sono in molti ad essere così.
Io invece mi riconosco nel genere opposto. Mi sento tra quelli che sono sempre alla ricerca di qualche cosa di diverso, …di più adrenalinico….alla ricerca di qualche cosa di nuovo, magari una scoperta…sicuramente una nuova avventura : riuscire e saper cogliere qualche cosa di inconsueto e bello anche da una immersione ripetuta già altre volte. Basta uno spunto, …e si riparte con la mente: molto semplicemente e siamo ancora in grado di sognare ! E questo pensiero, è in piena sintonia con l’amico Ivan Rolli, in sinergia totale .
L’immersione ai “Sassoni “ qui a Moregallo , sul lago di Lecco, mi ha sempre affascinato . I tuffi qui “alle macchine”, (chi non le conosce oramai ?) li abbiamo fatti veramente miriadi di volte, ma quando gli amici tecnici Mario, Oscar, Davide …quelli molto più tecnici di noi ….ci raccontarono che sotto una certa batimetrica alquanto fangosa e ad una certa profondità , esistevano degli enormi massi bianchi come il latte, disseminati nel “paltone” più grigionero della zona , …beh …..scusate , ma mi è partito il TRIP !!!!
I Sassoni
Una forte dose di mistero, in questi casi ti aiuta proprio a voler cercare ed avvicinarti il più possibile a quella cosa che per molti rimarrà off-limits; il fascino del “proibito “ ti fa girare a mille tutta la mente.
Stavolta però non abbiamo 5 anni e non dobbiamo rubare i biscotti di nascosto sullo scaffale in alto !!
E così, l’Hundred Trimix Team Explorer si è attivato e sempre con l’instancabile ed inseparabile amico Ivan, abbiamo incominciato per conto nostro la marcia di avvicinamento alla meta, effettuando vari step, vari tuffi, ponderando i vari aspetti non assolutamente sottovalutabili, per un tuffo particolare come questo.
L’obbiettivo oramai era acquisito : ci vuole sempre e comunque uno scopo, per qualsiasi cosa si faccia, altrimenti andare senza una meta, tanto per consumare aria è estremante stupido, che sia l’osservazione di una grotta, la ricerca di un branco di pesci o il semplice guardare i particolari del fondo marino, o ancora, effettuare esercizi.
Ricognizione: con le indicazioni degli amici , (non molti in effetti quelli che sono andati li), ed una configurazione in circuito aperto con il nostri 12+12 caricati con trimix e due stage S80 a testa con nitrox e ossigeno per la decompressione, abbiamo incominciato ad affondare sempre più, oltre la mitica Passat, abbandonando la parete ma sempre tenendola d’occhio con la potente torcia di Ivan e via via sempre più da lontano: ora, nel nostro piccolo, eravamo in piena Esplorazione.
L’immersione si svolge in profondità e lontano dalla parete, ed il calcolo dei consumi ha imposto per la prova generale, l’uso di un 15+15 caricato con un trimix 11/55; ai fianchi abbiamo adoperato una S80 con ean 50, una seconda S80 con ossigeno puro, ed una bombola da 10 litri con miscela di trasporto con la scritta 20/25 il tutto sapientemente preparato sulle rampe di miscelazione ed analizzate con cura, dall’amico Pietro della Utengas.
Ora capisco gli amici “ no bolle “ del mondo dei rebreather che a questo punto sono un pochino ..inorriditi e balzano sulla sedia, a causa dell’enormità del volume di gas che ci dobbiamo portare appresso, ma questa intanto è la nostra configurazione “pesante” e le cose anche un pochino “toste” , in circuito aperto, si possono fare lo stesso . Le giuste cognizioni tecniche, il controllo e costante monitoraggio dell’attrezzatura, il sistema di coppia con quello che è “il tuo compagno” per questo genere di immersione, assieme a quella giusta dose di stress che ti fa rimanere attivo e vigile, ci hanno accompagnato alla meta.
Prima di abbandonare la superficie, abbiamo marcato con la bussola il riferimento della parete con il suo andamento, perché una volta sotto, lontano dalla roccia e senza punti di riferimento, se qualche cosa fosse andato storto, avremmo lanciato il pallone dal fondo vincolato al grosso reel anche se, una risalita nel blu….opps…nero..qui al lago .., non sarebbe stata molto auspicabile, avendo tanti minuti di deco da smaltire !!
Abbandonata a 63 mt la parete , e scendendo velocemente, affondiamo costantemente e pinneggiando con ritmo verso nord, si incontra un fondo molto fangoso, prima con qualche pietra e poi con tratti di piccole dune di fango : la parete che è il nostro punto di risalita più sicuro , non la vediamo più . Effettuati i vari cambi gas come da copione, quando sembra che oramai non ci arrivi, ecco che a 103 mt appare come d’incanto il primo masso bianco candido che risalta come non mai in tutto questo nero. Siamo quasi al sesto minuto. La visibilità è molto buona e notiamo che non si innalza tanto dal fondo, circa 2 mt ma dietro, la sua superficie perde di quota di qualche metro . Subito dopo, troviamo i suoi “fratellini”, altri massi più grandi , con una targa luccicante in acciaio inox.
Affondiamo ancora qualche metro, ritornando indietro e qui raggiungiamo la batimetrica dei 107 mt, scorgendo una seconda targa ricordo. Con l’occhio attento al tempo di fondo, Ivan come sempre mi richiama all’ordine, (dice sempre che “ vado a viole “..) e stacchiamo dai 100 mt al 11° minuto. Abbiamo alzato un po’ di sospensione girovagando tra questi enormi e candidi pezzi di roccia, magari a causa di qualche emozione di troppo, e come da briefing decidiamo di chiudere .
La fase di rientro, in questo caso è abbastanza delicata : al momento dello stacco dal fondo, non potendo risalire in maniera decisa, in quanto la parete è lontana ed è buio, si risale pinneggiando con una traiettoria in diagonale perdendo quota; da una parte si tiene il riferimento visivo con il fondo e dall’altra si cerca l’incontro con la parete in roccia verticale, che dovrebbe essere davanti a noi. Ora l’attrezzatura pesante che indossiamo si fa sentire, sotto la potente pinneggiata : serve concentrazione nella respirazione , lasciando lontano l’affanno, controllando i consumi, tenendo il giusto ritmo ed controllando sempre il computer per i cambi gas e le tappe deco.
Accidenti …un sacco di compiti !!! ….ma un bel mono da 15 ed attrezzatura leggera in un mare tropicale no ??????
Insomma, solo dopo aver raggiunto la parete e intrapreso i molti minuti di deco ad ossigeno a 6 mt, riusciamo ad allentare la tensione accumulata.
Orbene, questa bella avventura che ho raccontato, è stata realizzata in un ambiente abbastanza difficile ed ostile per molti, vuoi per la profondità, vuoi per il buio, vuoi per la bassa temperatura, vuoi per l’immersione tecnica in miscela ma il tutto, può e deve essere sicuramente rapportato secondo i propri standard, a quote sicuramente più facili, secondo i propri limiti , e sono proprio questi che piano piano, si riescono a spostare un poco più in la con il giusto addestramento, pratica, sacrificio e passione per quello che stai facendo, dandoti soddisfazioni immense e perché no……l’inizio di un nuovo sogno, l’inizio di una nuova avventura.
Testo di Carlo Roncoroni
Fotografie di Mario Comi