Un esclusivo ed avvincente reportage lungo le coste dell’Albania per riportare alla luce non solo relitti di navi mercantili italiane perdute durante il secondo conflitto mondiale, ma tragici eventi storici legati al nostro recente passato.
foto subacquee di Mauro Pazzi – foto esterne di Cesare Balzi
Sei relitti in otto giorni! Chi l’avrebbe detto all’inizio del nostro «safari» che al termine saremmo tornati a casa con un carniere così ricco di successi? Solo l’idea di recarsi in Albania per trascorrervi una vacanza, infatti, è stata per anni nell’immaginario collettivo un’idea avventurosa, figuriamoci quali potevano essere le aspettative di Alessandro, Arian, Igli, Mauro, Michele e mie nell’affrontare la sfida di una settimana in questo mare alla riscoperta di nuovi relitti! Oggi, tuttavia, le condizioni turistiche in questo Paese così geograficamente vicino al nostro, sono notevolmente migliorate e gli amanti della storia, della cultura e delle tradizioni troveranno interessanti percorsi naturalistici ed archeologici, sia al nord che al sud, sia all’interno del territorio che lungo le coste ricche di rari scorci, mare trasparente, spiagge incontaminate e gente molto ospitale. Arrivati in Albania dopo una notte trascorsa su un comodo traghetto partito da Bari, intraprendiamo il nostro reportage partendo da Durazzo sino a Saranda, realizzando così per la prima volta in assoluto un percorso, che potrebbe divenire un itinerario turistico di elevato interesse non solo subacqueo, ma anche storico-culturale. All’epoca dei fatti, grazie alla disponibilità del forum di «ScubaPortal» ed alle rare connessioni internet, riuscimmo con non poca difficoltà a pubblicare ogni giorno in tempo reale un vero e proprio «diario di bordo» con il resoconto delle immersioni e degli spostamenti lungo la costa albanese. La nostra prima immersione si svolge poche miglia al largo del porto di Durazzo, con lo scopo di acquisire la documentazione fotografica di un relitto che localizzai ed identificai nel marzo 2009.
Riaffiora dal libro «Una storia nel cuore» di Daniele Finzi, la tragica vicenda della motonave Paganini.
Motonave Paganini. Costruita nel 1928 dal Cantiere Navale Triestino di Monfalcone per la Adria Società Anonima di Navigazione con sede a Fiume, il 1° gennaio 1937 la Paganini passò alla Tirrenia Società Anonima di Navigazione con sede a Napoli. Con una stazza lorda di 2.427 tonnellate, venne noleggiata nel maggio 1940 dallo Stato Maggiore Italiano per trasferire le truppe italiane in Albania per la preparazione all’attacco che avrebbe dovuto portare il nostro esercito ad occupare la Grecia. Partita da Bari la notte del 27 giugno 1940, non raggiunse mai il porto di Durazzo dove vi era diretta, infatti, mentre navigava in convoglio, verso le 6 e 50 del giorno successivo, si sviluppò un incendio a bordo, nel locale macchine. Alle 12 e 50, ad una decina di miglia dal porto di arrivo, si verificò un’esplosione e quindi l’affondamento che provocò la perdita di circa trecento vite umane. Solo trenta minuti di navigazione separano oggi il porto di Durazzo da questo affascinante relitto posto ad una profondità di trenta metri. Arrivati sul punto e fissato un pedagno sulla verticale, Michele ed io, ci apprestiamo a scendere una prima volta per verificare che non siano presenti reti o lenze che possano creare difficoltà nel corso dell’immersione. Giunti sul ponte di prora, nell’intento di fissare saldamente la cima di discesa ad un punto dello scafo, riconosco la sagoma inconfondibile della campana appoggiata ad una bitta della motonave. Il prezioso oggetto in bronzo, del peso di quattordici chilogrammi, viene registrato ed inventariato nei giorni seguenti a Tirana presso il «National Center of the Stocktaking of Cultural Properties» del Ministero del Turismo, Cultura, Gioventù e Sport della Repubblica d’Albania e provvisto dell’apposito passaporto d’autenticità. Sulla parte frontale, oltre al nome della nave, sono raffigurate in lato due figure mitologiche ed in baso delle decorazioni. Sul retro è riportato il nome della celebre fonderia ditta Cav. Giuseppe. Brighenti di Bologna che la produsse nell’anno 1928.
Continuando nell’immersione, dopo aver visionato le due ampie stive di prora, incontriamo ciò che rimane del ponte di comando collassato e ridotto ad un cumulo di lamiere contorte. A causa della scarsa visibilità, decidiamo così di posizionare una lunga sagola che colleghi la prora con la poppa per una lunghezza di oltre ottanta metri, in modo da realizzare un percorso senza insidie. Superata queste parte centrale del relitto, la forma della nave riassume il disegno originale e arrivati nella zona poppiera ritroviamo tutti i punti di riferimento. Qui ogni particolare coincide ancora con i piani costruttivi generali della nave. Il ponte di poppa rialzato dal ponte principale di coperta, l’ultimo a scomparire tra i flutti secondo le testimonianze, è la parte di scafo meglio conservato, poiché non fu raggiunto dalle fiamme nel corso dell’incendio che ne provocò l’affondamento. La campana rinvenuta nel corso delle immersioni sulla prora del relitto della motonave Paganini. Lasciata Durazzo proseguiamo verso sud alla volta di Valona, dove alloggiamo al residence «Marina di Orikum», l’unico porto turistico nella zona, realizzato da un’impresa italiana e gestito da Luigi, il direttore. La nostra seconda immersione si svolge su di un relitto, la cui notorietà venne riportata alla luce nell’agosto 2005, nel corso di una spedizione ufficiale della Iantd Expeditions.
Dal naufragio della nave ospedale italiana si mise in salvo la contessa Edda Ciano Mussolini.
Nave ospedale Po. La nave venne varata il 4 marzo 1911 a Trieste nel cantiere Lloyd Austriaco e fu battezzata con il nome Wien. Il piroscafo, dalle linee classiche degli scafi di quell’epoca, fu adibito al trasporto passeggeri. Con una stazza lorda di 7.289 tonnellate, lungo oltre 130 metri e largo 16, aveva cabine per 185 posti di prima classe, 61 di seconda e 54 di terza. In seguito allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, fu requisita dalle autorità italiane e trasformata in nave ospedale. Dopo aver navigato sul fronte libico, fu inviata nel febbraio del 1941 nel Basso Adriatico per prestare soccorso ai feriti provenienti dal fronte greco-albanese. Durante la notte del 14 marzo 1941 venne affondata da aerei siluranti inglesi. Dei 240 imbarcati, persero la vita venti membri dell’equipaggio e quattro infermiere della Croce Rossa. La trentenne crocerossina Edda Mussolini si salvò, naufragando a Radhima. La chiglia della Po si adagiò su un fondale e da allora il relitto giace a meno di un miglio dalla costa albanese su un fondale sabbioso di trentacinque metri. Nonostante la profondità non impegnativa, in questa immersione bisogna porre molta attenzione: i numerosi ingressi invitano ad accedervi e quindi, durante il briefing, ci raccomandiamo quanto sia necessario adottare tutte le procedure utilizzate per le immersioni all’interno di ambienti ostruiti. Lasciata la cima di discesa posizionata a prora, Alessandro e Michele procedono verso poppa con l’ausilio di scooter subacquei, che gli consentono di visitare dall’esterno tutti i centotrenta metri di scafo.
Superati gli argani e le stive, si arriva all’imponente cassero che date le dimensioni della nave si alza fino ad una profondità minima di tredici metri. Qui è possibile entrare agevolmente, muovendosi all’interno del ponte di comando e scendere ai ponti sottostanti. In questo punto ci si trova infatti al di sopra di quelle che erano le cabine di prima classe, dall’interno delle quali è possibile scendere ed accedere ai ponti inferiori, decisamente meno illuminati e più stretti rispetto ai primi. La parte superiore, infatti, è sicuramente l’ambiente più ampio che si addice ad immagini fotografiche suggestive, suddiviso dall’intelaiatura metallica sulla quale una volta era poggiato un pregiato pavimento in legno. Lungo le pareti si notano ancora i resti di eleganti vetrate, dalle quali penetra oggi il chiarore esterno, creando così scenografici giochi di luce e colore. La seconda coppia formata Mauro e Igli, esegue un percorso differente, prima all’esterno, vicino ai bracci che reggevano le lance di salvataggio e poi all’interno. Lasciati i corridoi di coperta, scendono nei ponti inferiori, attraversando stanze nelle quali sono presenti ancora numerose sponde di letti, fino ad arrivare ai locali d’igiene, dove incontrano i lavandini, ancora perfettamente saldi su una parete rivestita di piastrelle in ceramica bianca. L’uso di miscele nitrox di fondo ed una miscela decompressiva EAN50 ci consentono di dedicare il maggior tempo possibile a questo affascinante relitto. Al termine, a malincuore, lasciamo questo luogo ricco di fascino, storia e mistero. Sempre all’interno della baia di Valona, spostato però più a sud, nelle vicinanze della cittadina di Orikum si trova un altro interessante relitto.
A sud di Valona, lo scoppio di un consistente carico di munizioni all’origine dell’affondamento.
Piroscafo Luciano. Il Luciano (ex Marionan) era un piroscafo da carico di 3.329 tonnellate, completato nell’agosto 1913 nei cantieri inglesi Earle’s Co. Ltd. di Hull. Appartenente ai Servizi Marittimi Eugenio Szabados con sede a Venezia fu requisito dalla Regia Marina il 25 dicembre 1940. Alle prime ore del 15 aprile 1941, sette Swordfish dell’815° Squadron decollati da Paramythia per attaccare Valona, guidati dal Lt Torrens Spence, attaccarono il piroscafo che, con un carico di munizioni, si trovava alla fonda a sud della baia di Valona. Il piroscafo colpito da un siluro, affondò in breve tempo e a causa dello scoppio del carico morirono ventiquattro membri dell’equipaggio. Il relitto si trova oggi in un punto a sud-ovest della rada molto vicino all’ingresso di una base navale della marina albanese. Lo troviamo tuttavia con facilità poiché è segnalato da un pedagno. La coperta si trova già a quattordici metri, mentre la profondità massima che si raggiunge nel corso di questa immersione è di ventisei metri. Le strutture superiori sono contorte e si deduce dalle forme irregolari come la deflagrazione che ha distrutto la nave sia stata di grande intensità.
Una moltitudine di lamiere si alzano verticali, emergendo dal fondale di sabbia bianca finissima, creando uno scenario singolare. Secondo informazioni raccolte sul posto, la marina militare albanese avrebbe eseguito negli anni scorsi dei lavori di bonifica per rimuovere il munizionamento residuo, anche se tuttavia oggi ne è presente ancora una parte, a testimonianza del grande carico trasportato. L’esplorazione subacquea prosegue all’interno di una stiva dagli spazi ristretti, e poi all’esterno dove, con sorpresa, riconosciamo una barca di salvataggio affiorante dalla sabbia, a qualche decina di metri lontana dallo scafo del Luciano. Al termine dell’immersione, risaliti in superficie ci accingiamo a sostituire le bombole con miscele nitrox, utilizzate sino a quel momento, con quelle contenenti miscele trimix, adatte all’immersione più del giorno seguente. Sempre sul lato ovest della baia di Valona, poco più a nord, infatti, si trova un relitto appartenuto sempre al naviglio mercantile italiano che identificai nel febbraio 2008, nell’ambito di un progetto di ricerca ed identificazione di relitti di epoca contemporanea e moderna lungo le coste albanesi, siglato tra la Iantd Srl e l’Istituto Nazionale di Archeologia di Tirana.
Requisita dai tedeschi dopo l’8 settembre ’43 ed affondata dagli inglesi giace avvolto nella nebbia.
Motonave Rovigno. Il Rovigno, costruito nel 1941 nel Cantiere San Marco di Trieste per la Società Anonima di Navigazione Istria, fu requisito dalla Regia Marina il 9 gennaio 1942 e fu impiegato nel servizio di scorta ai convogli dopo essere stata armata con mitragliere 20/70 mm. Dopo l’8 settembre 1943, in sosta presso l’Isola di Saseno, fu catturato dai Tedeschi e trasferito nella rada di Valona, dove fu affondato da un siluro lanciato da motosiluranti britannici alle ore 2 e 10 del 22 settembre 1943. Si trova oggi su un fondale sabbioso di cinquantatre metri, nelle vicinanze della penisola del Karaburuni, a quattro miglia dal porto di Valona, in assetto di navigazione, ma spezzato in due parti. In questo punto ho trovato una visibilità sempre molto scarsa ed anche in questa occasione non è superiore ad un metro. Per non disorientarsi, Alessandro e Michele seguono la linea di falchetta dalla prora, dove è posizionato il cannone, sino ad incontrare la plancia. Sulla parte superiore si riconosce l’armamento antiaereo che coincide a quello visionato nel corso del briefing nelle fotografie storiche e nei piani costruttivi. Arrivati nella zona in cui il relitto si presenta spezzato si decide di ripercorrere il tragitto di andata e risalire verso la superficie con la ripromessa di proseguire la raccolta fotografica in altra prossima occasione. Lasciata la baia di Valona, il nostro viaggio prosegue verso il sud del Paese, lungo le coste della penisola del Karaburuni, fino a giungere in prossimità delle baia dell’Orso dove ci accingiamo ad esplorare per la prima volta il relitto di un grande cargo italiano.
La prima esplorazione subacquea di un grande cargo italiano su un fondale tra i 40 e gli 80 metri.
Motonave Rosandra. Era un piroscafo misto, di stazza lorda pari a 8.034 tonnellate. Fu costruito nel 1921 presso i Cantieri San Rocco e appartenente alla Società di Navigazione Lloyd Triestino con sede a Trieste. Fu silurata dal sommergibile britannico Tactician alle ore 16 e 10 del 14 giugno 1943, in un punto ad otto miglia da Porto Palermo. La nave navigava con rotta 305 gradi alla distanza poco distante dalla costa, quando venne colpita. Il sommergibile prima lanciò quattro siluri e osservò il risultato, poi, sembrandogli che la nave fosse arenata, lanciò un altro siluro per finire il cargo. Affondò dopo la mezzanotte del giorno successivo nelle vicinanze della Valle dell’Orso, mentre era in corso il tentativo di rimorchiarla. La posizione del relitto è indicato sulla carta dei relitti che realizzai negli anni trascorsi in Albania, oggi pubblicata sulla homepage della pagina web dell’Agenzia Nazionale del Turismo albanese. Così, dopo esserci avvicinati all’insidiosa parete rocciosa della costa, nell’impossibilità di trovare un ormeggio sicuro, Alessandro, Michele ed io, saltiamo dalla poppa della barca e scendiamo seguendo il profilo della parete, incontrando un’ottima visibilità e seguendo i soli riferimenti presi con la bussola. Consapevoli che la linea della costa ed il relitto sono separati tra loro da una lingua di sabbia di oltre trenta metri, da quel punto dirigiamo verso il mare aperto. Alessandro è il primo che distingue nel blu l’enorme figura scura del Rosandra, adagiato con il lato sinistro sul fondale e il lato dritto rivolto verso la superficie, e ce lo segnala in modo concitato con la torcia . L’emozionante immersione inizia dalla grande ancora, posizionata nella sua sede originale, posta a quarantatre metri di profondità, lungo la fiancata del relitto. La prora è perfettamente intatta, gli argani e le bitte sono facilmente riconoscibili. Proseguendo incontriamo il primo traliccio, intensamente rivestito di coloratissime spugne gialle, che sullo sfondo blu, spiccano alla nostra vista. Grazie all’ottima visibilità, dietro il primo traliccio, si intravede subito il secondo, e poi ancora la plancia di comando situata ad oltre sessanta metri di profondità. La zona poppiera invece si presenta sfasciata e termina su un fondale di circa ottanta metri. Al termine dell’immersione, sviluppiamo il lungo piano decompressivo risalendo lungo la parete, soddisfatti per essere stati i primi ad esplorare questo nuovo relitto. Una volta in superficie, proseguiamo il nostro viaggio a sud, alla volta di Saranda, la città turisticamente più sviluppata dell’Albania, raggiungibile percorrendo una strada panoramica, recentemente riassestata, che unisce le località di Dhermi, Himara e Porto Palermo. Giunti sulla spiaggia, ci apprestiamo a compiere l’immersione più singolare del nostro itinerario, ma forse anche la più emotiva, quando al ritorno fummo personalmente contattati da parenti delle vittime.
L’affondamento del piroscafo è legato al tragico epilogo della Divisione «Perugia».
Piroscafo Probitas. Venne completata nel marzo 1919 nel Cantiere Ansaldo – San Giorgio del Muggiano a La Spezia con il nome di Ansaldo S.Giorgio Primo. Aveva una stazza di 5.084 tsl., una lunghezza pari a 115 metri ed una larghezza di 16. La sera del 24 settembre 1943, pochi giorni dopo la data dell’annuncio dell’armistizio con gli Alleati e la fine dell’Alleanza militare con la Germania, il Probitas attraccò nella baia di Santi Quaranta (all’epoca Porto Edda) in un convoglio formato dalla motonave Salvore e la nave da trasporto Dubac. Il Ten. Col. Cirino dettò alle truppe italiane i seguenti ordini: imbarcare quanti più uomini possibile per evitare la cattura da parte delle truppe tedesche che avevano già occupato la vicina isola di Corfù. Completate le operazioni di imbarco il convoglio ripartì con 2.700 militari, purtroppo però il Probitas, a causa di una avaria, fu costretto a rimanere alla fonda. Secondo la testimonianza del Ten. Tarcisio Scanagatta, cappellano militare, uno dei pochi ufficiali sopravvissuti e testimone oculare dei fatti, ormeggiata alla fonda venne affondata nel pomeriggio del 25 settembre dopo aver subito quattro attacchi da parte di aerei tedeschi Junkers 87. Il relitto si trova oggi al centro della baia dell’attuale Saranda, adagiato sul fianco sinistro. La chiglia dello scafo è rivolto verso terra, mentre il ponte di coperta è rivolto verso l’ingresso della rada, ad una profondità massima di venticinque metri. Dopo una pittoresca contrattazione con un ragazzo del luogo, Alessandro ed io, che a differenza di Igli, Mauro e Michele non troviamo posto a bordo dell’imbarcazione, decidiamo di provare a raggiungere il relitto da terra con l’ausilio della bussola e degli scooter. Il grande relitto di oltre 120 metri di lunghezza è indicato in superficie da un segnalamento marittimo e perciò seguiamo la rotta presa in superficie rimanendo quattro/cinque metri sotto il pelo dell’acqua.
Quando arriviamo ad intravedere sulle strutture dello scafo la sorpresa è grande, proporzionata alle dimensioni del relitto. Dedichiamo all’esplorazione del Probitas 118 minuti di immersione, durante i quali ci soffermiamo a raccogliere in un primo momento le immagini della prora intatta dove sono visibili le due grandi ancore e le due catene che fuoriescono rispettivamente dall’occhio di cubia di dritta e di sinistra. In un secondo momento ci dedichiamo all’osservazione della poppa dove incontriamo le due grandi eliche, una appoggiata sulla sabbia ed una rivolta verso la superficie. Non manchiamo di visitare l’interno di due grandi stive molto ampie e la sala macchine dove sono facilmente riconoscibili le parti dell’intero apparato motore. Concludiamo la nostra ultima immersione del «Safari in Albania» ripercorrendo con gli scooter il tragitto dell’andata e spiaggiando sul bagnasciuga di Saranda tra gli sguardi incuriositi. Per approfondimenti legati alla vicenda storica: www.kuc.altervista.org
Conclusione. Al termine dell’esplorazione finalizzata a documentare alcuni tra i più affascinanti relitti del sud Albania, sono stati visitati sei relitti di navi mercantili italiane perdute durante il secondo conflitto mondiale, dal 1940 al 1943, affondati rispettivamente nel golfo di Durazzo, Valona e Saranda. In otto giorni sono state svolte immersioni tra i venticinque e i sessanta metri sui seguenti relitti: motonave Paganini, piroscafo Probitas, nave ospedale Po, piroscafo Luciano, motonave Rovigno e piroscafo Rosandra, alcuni dei quali si vanno ad aggiungere ai relitti documentati dal 2005 ad oggi in queste acque: corazzata Regina Margherita, nave ospedale Po, piroscafo trasporto truppe Re Umberto, cacciatorpediniere Intrepido, nell’ambito di spedizioni ufficiali della Iantd Expeditions, piroscafo austriaco Linz, piroscafo ungherese Andrassy, piroscafo Brindisi nel corso di altre esplorazioni. Hanno partecipato alle immersioni Cesare Balzi, Iantd Technical & Normoxic Trimix Instructor Trainer, Alessandro Boracina Iantd Technical & Normoxic Trimix Instructor, Michele Favaron Iantd Technical & Normoxic Trimix Instructor, Mauro Pazzi fotografo Cmas Instructor, Igli Pustina Cmas Instructor e Arian Gace diver. Nel corso delle immersioni sono state utilizzati equipaggiamenti Dive Rite distribuiti da Acquamarina di Marina di Pisa, mute e sottomuta Santi, illuminatori Light Monkey distribuiti da Nautica Mare Verona.
CORSI TECNICI E TRIMIX SU RELITTI
Cesare Balzi, Alessandro Boracina e Michele Favaron, sono Iantd Technical & Normoxic Trimix Instructor, svolgono corsi tecnici e trimix normossico, corsi di specialità relitti, utilizzo scooter subacquei, corsi Essentials diver e Adv Hogarthian diver nelle sedi di: Levanto (La Spezia), Marina di Carrara, Marina di Pisa, Verona, Vicenza, Padova e Medulin (Croazia).
Per informazioni: Cesare 347 0708521 – cesarebalzi@libero.it, Alessandro 347 1466834 – alebora@libero.it, Michele 335 6437709 – info@acquelibere.eu