Per molti decenni si è pensato che essere donna fosse una “controindicazione” all’attività subacquea a causa della minor prestanza fisica, delle modificazioni ormonali che potevano predisporre maggiormente agli incidenti da decompressione (PDD) ed a causa del rischio di attacchi da parte di squali durante i giorni del ciclo mestruale.
Fortunatamente col passare degli anni ci si è resi conto che anche la donna può svolgere tranquillamente l’attività subacquea e godersi il meraviglioso mondo marino.
Il DAN (Diving Aler Network) riporta che negli anni “80 solo il 23% dei subacquei era di sesso femmine, oggi quasi 40% femmine.
Questo non significa che la donna sia come l’uomo: ci sono alcune differenze che è bene conoscere. La differenza più evidente è che la donna, nell’arco della vita, sperimenta importanti modificazioni ormonali che ne condizionano le diverse fasi di sviluppo.
Per approfondire questo argomento facciamo un viaggio nel mondo femminile, nelle diverse fasi della vita.
Come accennato all’inizio, la donna ha performance fisiche (potenza, velocità, capacità di lavoro, forza fisica) inferiori rispetto all’uomo che si manifestano soprattutto nella gestione dell’attrezzatura subacquea fuori dall’acqua. Questo è vero soprattutto dopo il menarca, quando la ragazza accumula tessuto adiposo a scapito di quello muscolare con conseguente perdita di potenza muscolare e capacità aerobica. Per questo motivo si dice che la ragazza dovrebbe essere alta almeno 150 cm e pesare almeno 45 kg per essere in grado di maneggiare senza difficoltà la propria attrezzatura. Fortunatamente al giorno d’oggi il mercato della subacquea offre una grande varietà di “marche” e “modelli” tanto da consentire a noi donne di scegliere al meglio secondo le nostre esigenze. Il “problema” della prestanza fisica diventa meno evidente in acqua, dove l’attrezzatura diventa magicamente leggera grazie alla “spinta di Archimede” e quindi facilmente gestibile. D’altro canto la diversa struttura fisica ha dei vantaggi per la donna che richiede meno ossigeno (e produce meno anidride carbonica), consuma meno aria e quindi può utilizzare bombole più piccole. La donna rispetto all’uomo ha una maggior percentuale di grasso (differenza maggiore tra sedentari): questo significa galleggiare meglio ed avere una maggior protezione verso il freddo.
Ma allora perché le donne soffrono di più il freddo rispetto agli uomini? Perché ha meno muscoli e quindi minor capacità di produrre calore, inoltre ha un rapporto superficie/volume maggiore e questo comporta una maggior perdita di calore per conduzione, inoltre non compensa rapidamente le perdite di calore e minor volume circolante di sangue.
In cosa potrebbe essere penalizzata la donna rispetto all’uomo? La donna è sicuramente più sensibile al freddo e durante gli anni dello sviluppo ha una maggior dispersione termica; questo inconveniente è facilmente risolvibile con un’adeguata protezione termica.
E durante il ciclo mestruale? Come ci dobbiamo comportare? Superata la falsa credenza che il flusso mestruale attiri gli squali, bisogna chiarire se “in quei giorni” ci si può immergere o meno e se c’è un rischio maggiore di incorrere in una PDD. Se le condizioni psico-fisiche della subacquea sono buone non vi è alcun motivo per non fare immersioni. Per buone condizioni psico-fisiche si intende che non si accusino sintomi tipo nausea, vomito, cefalea, eccessiva tensione mammaria, facile affaticabilità, alterazioni dell’umore (tutti sintomi tipici del periodo pre-mestruale e dei primi giorni del ciclo). Bisogna solamente stare più attenti alla compensazione perché la maggior ritenzione idrica e il conseguente edema delle mucose potrebbe rendere più difficile tale manovra. Il consiglio è quello di controllare l’alimentazione evitando quegli alimenti che possono ulteriormente aumentare la ritenzione di liquidi o compromettere una compensazione già difficoltosa (latticini, agrumi, alcolici, etc.); consigliati invece alimenti tipo ananas e mirtillo che favoriscono l’eliminazione di liqidi e la protezione della parete capillare. Non c’è invece alcuna prova scientifica che la ritenzione di liquidi e l’edema tissutale siano causa di un rallentamento nella liberazione dell’azoto accumulato durante l’immersione. Non ci sono certezze nemmeno sul fatto che le donne che assumono anticoncezionali possano essere a maggior rischio di PDD durante il periodo mestruale. Visto però che i contracettivi orali, aumentano l’adesività delle piastrine e la tendenza alla coagulazione, può essere consigliabile una maggior prudenza in immersione durante il periodo mestruale (profili più conservativi, utilizzo di miscele iperossigenate, maggior attenzione all’idratazione e all’alimentazione, evitare eccessiva esposizione al sole, etc.) ma non è necessario astenersi dalle immersioni.
Nessun problema nemmeno per l’utilizzo di tamponi assorbenti perchè hanno poca aria che si comprime e si riespande durante le diverse fasi dell’immersione,
Una delle domande ricorrenti è se ci si può immergere nel periodo della gravidanza. Purtroppo esistono pochi dati a riguardo: gli effetti dell’azoto e dell’ossigeno, ad elevate pressioni parziali, sullo sviluppo del feto non sono conosciuti e quindi si sconsiglia di fare immersioni in questo periodo.
Quanto tempo bisogna aspettare dopo il parto per tornare in acqua? Dopo un parto spontaneo bisogna aspettare 4-6 settimane, per dar tempo alla cervice uterina di chiudersi e per evitare il rischio di infezione; nel caso di parto cesareo bisogna invece aspettare 6-8 settimane affinché si verifichi la completa guarigione della ferita. In entrambi i casi ovviamente è di primaria importanza la valutazione del ginecologo. Dopo la gioia della maternità è necessario ritrovare una buona forma fisica per avere buone performance in acqua e ritornare all’attività subacquea nella massima sicurezza.
Durante l’allattamento invece non vi è un divieto assoluto alle immersioni in quanto il latte materno non è influenzato dalle immersioni: ovviamente non ci si può immergere in caso di infiammazioni ed infezioni al seno. Bisogna stare attenti a non incorrere in uno stato di disidratzione che potrebbe comportare una riduzione nella produzione di latte.Inoltre per evitare di ridurre la produzione di latte non bisogna utilizzare mute che comprimono la zona del seno e bisogna evitare di immergersi se l’attività subacquea è fonte di stress.
Come per la gravidanza, anche per la menopausa ci sono pochi dati. Non sembra comunque che l’attività subacquea influisca sulla funzione delle cellule dell’osso (osteobalsti ed osteoclasti), mentre si conosce l’effetto benefico della pressione idrostatica sulla deposizione di calcio nelle ossa. Col passare degli anni si riduce ulteriormente la capacità di lavoro come anche la tolleranza termica.
Una caratteristica costante di tutte le fasi della vita della donna è la minor prestanza fisica rispetto all’uomo sia in termini di potenza muscolare sia di capacità aerobica, differenza che si accentua in quei periodi in cui la donna è “costretta” a ridurre l’attività fisica (gravidanza). Per questo motivo, per poter vivere al meglio il mondo marino senza dover affrontare sforzi eccessivi, è consigliabile mantenersi sempre in buona forma fisica.
A fronte di tanti dubbi e poche certezze sull’universo femminile, bisogna sottolineare che la donna ha una maggior capacità psico-attitudinale rispetto all’uomo ed è meno incline a comportamenti rischiosi: questo fa sì che sia meno predisposta ad incidenti subacquei in generale.
Possiamo quindi concludere che essere donna non è una “controindicazione” all’attività subacquea, basta semplicemente conoscere i cambiamenti a cui è sottoposto il nostro corpo nel corso della vita per guidarlo al meglio nel fantastico mondo sommerso.
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