Un viaggio in California, una vecchia valigia e la nave più bella del mondo.
Ho deciso di miscelare questi tre elementi per raccontarvi una storia. Oggi vi conduco sott’acqua, in una realtà interiore, almeno con l’immaginazione. Pronti ad accompagnarmi? A portarci laggiù, in profondità, sarà uno dei migliori esploratori subacquei e documentaristi italiani nel mondo: Andrea Murdock Alpini.
Sul fondale dell’Oceano Atlantico al largo di Nantucket, dove l’acqua spesso è torbida e le correnti raramente sono clementi, qualcuno sta filmando uno spettacolo: è quanto resta dell’Andrea Doria, nave fiore all’occhiello della marina italiana, che naufragò nel luglio del 1956. Andrea è a capo della spedizione subacquea che oggi è raccontata nel documentario di Focus, Andrea Doria: il muro del silenzio. Della bella nave italiana dice: “Certi miti non muoiono”, mentre scorrono in sottofondo immagini suggestive che ha girate del relitto. All’improvviso si emoziona e non lo nasconde.
Cattura completamente la mia attenzione. Rimango affascinata, incuriosita.
Anni fa, sono stata in California.
Avevo viaggiato per conoscere due persone singolari, sopravvissute al naufragio. Lì, nella terra più soleggiata d’America ho iniziato ad appassionarmi alla nave e a fare ricerche. Mai però avevo considerato il relitto. Che effetto provoca a chi lo osserva e studia oggi? Sarebbe interessante parlare con chi quel mito lo ha accarezzato davvero. Decido di scrivere ad Andrea, voglio saperne di più. Scopro che scrive libri e pubblica articoli per testate italiane ed estere dove racconta e condivide le sue avventure ed esperienze. Come me, ha un debole per Hemingway, ma soprattutto per Bukowski. Durante l’intervista mi racconta che proprio tra qualche giorno uscirà il suo ultimo libro: Nomade del profondo. Storie di ordinaria follia subacquea(il sottotitolo è ispirato alla famosa opera dello scrittore irriverente).
Andrea si pone in modo umile e gentile ed io gli svelo la mia curiosità, ormai non solo relativa all’Andrea Doria, ma al personaggio. Lui si mostra disponibile ad accompagnarmi nel suo mondo, quello sommerso.
«Raccoglimento e silenzio precedono l’attimo prima della capovolta in acqua. Dalla vita terrestre si passa di colpo a quella acquatica. A bordo rappresenta il momento più bello, prima di iniziare l’immersione».
In quanti altri luoghi del mondo ti sei immerso?
«Mare di Barents, Canale di Sicilia, Mar Baltico, Isole Åland e Orcadi; nelle miniere allagate di Sud Africa ed Europa e nelle profondità di grotte in Russia, Slovenia e Romania, ma anche in Irlanda, nelle forti correnti dello Stretto di Messina e in tanti altri mari del mondo». Penso allora a quante storie avrà ancora da raccontare.
Dopo la laurea in Architettura, fonda due gallerie d’arte contemporanea, ma il richiamo del mare e della natura selvaggia sono così forti da convincere Andrea a riprendersi la vita che sognava da bambino.
È l’estate del ’90.
Andrea ha solo cinque anni quando prova a respirare per la prima volta sott’acqua, all’Isola d’Elba. Accanto a lui c’è suo padre, il suo supereroe, appassionato di subacquea. Dalle sue parole, ancora oggi, emerge la felicità di un bambino che assapora quel momento come un’avventura. A dieci anni vive la prima immersione, a sedici inaugura la sua interminabile stagione da esploratore di relitti.
Divoratrice di libri come sono, chiedo ad Andrea di raccontarmi la sua ultima opera, Nomade del profondo: storie di ordinaria follia subacquea, che sarà edita tra pochi giorni.
Intervista ad Andrea Murdock Alpini, esploratore subacqueo e autore
Chi sono i nomadi del profondo?
«Sono coloro che arrivano alla chiarezza interiore delle cose, a raggiungere l’essenziale».
Cos’è per te la profondità?
«I numeri invecchiano molto velocemente, le emozioni no. La profondità interiore non prevede competizioni, ma armonia tra te stesso, le tue tecniche e l’ambiente. Per me l’obiettivo non è mai un numero. I miei obiettivi sono le conoscenze, ciò che succede mentre sono lì, cosa provo e, soprattutto, cosa sono in grado di trasmettere».
Attraverso questa profondità interiore Andrea conduce il lettore in giro per il mondo permettendogli di viaggiare con la mente e con le emozioni. Pagina dopo pagina si viaggia in luoghi da lui realmente attraversati, per rivivere e dar voce a storie lontane, tramandate nel tempo. Lascio che siano le sue parole a incantarmi. Seppur seduta alla mia scrivania, è come se fossi altrove.
Il libro si articola in tre sezioni
La prima parte è dedicata ai viaggi ancestrali, prima si scende sotto terra e poi sott’acqua. Si passa dalle profonde grotte sui Carpazi di Romania, alla miniera allagata del Sud Africa fino a raggiungere le vette delle Alpi orientali per immergersi in solitari laghi di montagna.
Cosa significa e cosa si prova sapendo di avere la montagna sopra la propria testa?
Alla sola idea un brivido mi corre lungo la schiena.
La seconda parte del libro è dedicata a tre interviste rivolte alle querce americane, come le definisce lui, ovvero ai pionieri della subacquea tecnica che hanno stravolto il modo di pensare l’immersione.
Tre storie dal sapore di sale concludono questo viaggio interiore.
Si attraversa l’Europa dal Nord della Norvegia al profondo Sud della Calabria Grecanica. Qui Andrea si immerge nel mare di Barents e ripercorre l’epopea del grande navigatore Willem Barents.
«Oltre quattrocento anni fa, l’esploratore olandese era partito dall’Europa continentale per raggiungere il Polo Nord e iniziare a tracciare una rotta che permettesse di trovare un ipotetico passaggio a Nord-Est.
Per me l’immersione nel suo mare è stata il pretesto per raccontare la grandezza della sua figura esplorativa, di un uomo che, seppur con pochissimi strumenti a disposizione, cercava la profondità e la vastità del continente bianco. Saranno i relitti e il senso del viaggio, in quest’ultima parte, a riportarci a casa».
In che modo un relitto può ricondurci a noi stessi?
«I veri relitti sono vivi, come le persone, ti chiedono distanza e tempo. Devi entrare in sintonia con un relitto per capire le sue forme e i suoi spazi. È lui che ti consente di farlo, non tu! Assecondandolo avrai maggiori capacità di capire te stesso, di governare le tue emozioni. Quando si è troppo focalizzati sull’obiettivo si è disposti a tutto e ciò può alterare la percezione del mondo circostante».
Per Andrea un altro bellissimo momento è appena dopo la risalita:
«Quando ritorni in superficie, soprattutto dopo aver visto qualcosa di nuovo, è emozionante. Galleggi e capti la curiosità negli occhi delle persone a bordo».
Dev’essere entusiasmante, penso, ma non riesco a comprendere appieno come un relitto si possa definire vivo. Parlando con lui, però, tutto mi diventa più chiaro. A volte, probabilmente, c’è molta più vita e anima laggiù di quanta ce ne sia in superficie.
«Cambia forma, aspetto. Si degrada nel tempo ed è abitato da forme di vita. Diventa un patrimonio culturale, archeologico. A volte persino un cimitero».
Ci si può innamorare di un relitto?
Questo mi riporta alla mente un altro suo libro, Andrea Doria. Un lembo di patria, che nel mentre sto leggendo.
“È giunto il tempo che la mia danza intorno all’elica rinascimentale dell’Andrea Doria finisca” così scrive nel suo libro Andrea Doria. Un lembo di patria. “Bisogna essere in due perché i miracoli avvengano sul relitto. […] E così, prima di girare le spalle all’elica della Turbonave, mi sono tolto l’erogatore di bocca e ho appoggiato le labbra sulla prima pala in cui mi ero imbattuto. Un lungo arrivederci”.
Il tempo stringe e lui tra pochi giorni partirà nuovamente per la Norvegia, ma ci siamo ripromessi che al suo ritorno mi racconterà della sua avvenuta invernale tra fiordi e relitti della Seconda Guerra Mondiale.
Ho però un’ultima domanda.
Se dovessi dare un titolo a quel bacio, quale sarebbe?
«HIC ET NUNC, qui ed ora.
Ci si può innamorare dei relitti, ma bisogna anche sapere quand’è il momento di salutarli».
Per lui un titolo.
Per noi, forse, un prezioso consiglio.
Grazie Andrea.