Nel Parco archeologico sommerso di Baia, nel Golfo di Napoli, un’importante operazione di restauro sta riportando alla luce un tesoro dell’antica Roma: un pavimento in opus sectile, risalente al tardo impero romano. Questo intervento, anche grazie alle capacità tecniche dei subacquei di supporto all’operazione, sta permettendo di recuperare un reperto può fornire informazioni sulla vita lussuosa dell’elite romana e sulla tecnica di decorazione pavimentale più pregiata dell’epoca.
La scoperta dei reperti e l’inizio dei lavori
Il pavimento marmoreo fu inizialmente individuato nel 2012, quando una mareggiata ne rivelò un breve tratto. Tuttavia, data la complessità dell’intervento necessario e le risorse limitate del momento, l’area fu ricoperta di sabbia per proteggerla, rinviando lo scavo e il recupero a un momento successivo. Solo nel 2024, grazie a nuovi fondi e all’impiego di nuove tecnologie, è stato possibile avviare i lavori di restauro.
Enrico Gallocchio, archeologo del Parco sommerso di Baia, spiega le ragioni di questa attesa: “La scoperta, nel Parco sommerso di Baia, si accompagna sempre alla necessità immediata di un restauro. Se così non è possibile, si ricopre immediatamente, perché l’azione del mare sarebbe distruttiva.” Questa cautela ha permesso di preservare il pavimento fino a quando non è stato possibile intervenire in modo adeguato.
Cos’è l’opus sectile?
Per comprendere l’importanza di questo ritrovamento bisogna prima capire cosa èl’opus sectile. Si tratta di una tecnica decorativa romana estremamente sofisticata che prevede l’uso di lastre di marmo tagliate con precisione per creare complessi disegni geometrici.
Gallocchio chiarisce: “È una tecnica che trova piena espressione e diffusione in età romana e si diffonde in tutto il mediterraneo, diventato un fenomeno di moda tra le elite che potevano disporre dei marmi più pregiati.” A differenza dei mosaici tradizionali, che utilizzano piccole tessere quadrate, l’opus sectile richiede il taglio delle pietre in forme precise per formare motivi elaborati.
Questa tecnica richiedeva l’uso di marmi policrome costosi, risultando considerevolmente più dispendiosa dei pavimenti a mosaico standard. Il risultato era un pavimento di grande bellezza e prestigio, un vero e proprio status symbol per i ricchi proprietari delle ville romane.+
Scavi e restauro a Baia
Il restauro di un pavimento antico sommerso presenta sfide uniche che richiedono competenze specializzate e una pianificazione meticolosa. Gallocchio descrive il processo con dovizia di particolari: “Con l’intervento di quest’anno, lo scavo è proceduto di pari passo con il restauro, perché le lastre andavano immediatamente ricomposte e incollate subito dopo lo scavo, in una azione quasi simultanea. Il rischio era altrimenti di perdere la connessione fra lastra e lastra e quindi il disegno geometrico alla base del pavimento.”
Questa operazione, già complessa sulla terraferma, diventa ancora più difficile sott’acqua. I restauratori devono lavorare con estrema precisione mentre sono immersi, spesso con visibilità limitata e soggetti alle correnti marine. Inoltre, devono utilizzare materiali e tecniche specifiche che possano resistere all’ambiente subacqueo.
Gallocchio sottolinea ulteriori difficoltà: “Al di là dell’organizzazione del cantiere, con imbarcazioni, bombole e specifiche attrezzature, in mare si aggiungono le correnti, la visibilità, la biologia marina a rendere più complessa ogni azione.” Ogni giornata di lavoro richiede una logistica importante e una costante attenzione alla sicurezza dei subacquei.
Il pavimento della villa con ingresso a protiro
Il pavimento in questione decorava una sala di ricevimento di una villa romana, nota come “Villa con ingresso a protiro”. Si tratta di un’area estesa, che copre oltre 250 metri quadri, realizzata verso la fine dell’Impero romano, poco prima che il bradisismo portasse i resti sul fondo del mare.
Il design del pavimento è particolarmente interessante. È caratterizzato da un modulo formato da quadrati affiancati, ognuno dei quali con cerchi inscritti. Questa geometria ripetuta crea un effetto visivo affascinante, che doveva essere ancora più impressionante quando il pavimento era intatto e asciutto.
Un aspetto curioso emerge dall’analisi dei materiali: nonostante la sontuosità del progetto, il proprietario della villa dovette accontentarsi di materiali di recupero, utilizzando marmi di seconda mano per realizzare il disegno scelto. Questo dettaglio offre uno spaccato interessante sulla società romana dell’epoca, suggerendo forse un periodo di declino economico o di scarsità di materiali di prima qualità.
L’impatto del bradisismo
I Campi Flegrei, l’area in cui si trova Baia, sono noti per il fenomeno del bradisismo, un lento movimento verticale del suolo che ha influito fortemente sul modo in cui i resti archeologici si sono conservati. Gallocchio spiega questo fenomeno e il suo impatto: “I resti sommersi si sono preservati grazie al loro inabissamento, ma nei secoli, e tutt’ora, l’azione del mare è distruttiva. Sia con le correnti, sia con l’azione della biologia marina: gli esseri cosiddetti litofagi, come ad esempio i datteri di mare, mangiano nel vero senso della parola il marmo.”
Questo processo di conservazione e distruzione simultanea rende il sito di Baia unico al mondo. Da un lato, l’inabissamento ha protetto i resti dall’azione dell’uomo e dagli agenti atmosferici. Dall’altro, l’ambiente marino crea difficoltà alla conservazione dei reperti.
Il futuro del parco sommerso di Baia
Il Parco archeologico sommerso di Baia continua a rivelare sorprese e a offrire nuove opportunità di ricerca e restauro. Gallocchio anticipa i prossimi progetti: “In questo momento è in corso un lavoro di scavo e restauro su un altro pavimento in marmo, sempre dalla villa a protiro, di cui a breve daremo notizia. Ma lavoriamo con scavi anche presso il Portus Julius, a Pozzuoli, dove sta emergendo un grande complesso termale di età tardorepubblicana.”
Questi continui lavori non solo arricchiscono la nostra conoscenza della storia romana, ma contribuiscono anche a sviluppare nuove tecniche di archeologia subacquea e restauro, facendo di Baia un laboratorio all’avanguardia in questo campo.
L’unicità di Baia e del parco archeologico Campi Flegrei
Spesso definita come l'”Atlantide Italiana”, Baia si distingue nel panorama archeologico mondiale per diverse ragioni. Gallocchio sottolinea: “La vastità e il livello di conservazione dei resti sommersi, in primis. Ma anche la loro gestione, con il restauro in situ e l’apertura al pubblico. Questi due aspetti in particolare hanno portato il Parco sommerso di Baia ad essere la prima best practice italiana riconosciuta dall’UNESCO all’interno della Convenzione 2001 per la protezione del patrimonio culturale sommerso.”
Questo riconoscimento UNESCO, ottenuto nel 2023, certifica l’eccellenza del lavoro svolto a Baia e pone il parco come un modello di gestione e valorizzazione del patrimonio culturale sommerso a livello internazionale.
Il restauro del pavimento in opus sectile di Baia è un esempio di come tecnologia, competenza e passione possano unirsi per preservare e rivelare i tesori del passato.
Attraverso tecniche innovative e una dedizione instancabile, gli archeologi e i restauratori di Baia stanno preservando un pezzo unico della storia romana, ma con il loro lavoro permetteranno a noi, e alle generazioni future, di ammirare lo splendore di un’epoca passata, nascosta sotto le onde del Golfo di Napoli.
Mentre il restauro continua e nuove aree vengono esplorate, Baia promette di rivelare ancora molti reperti dell’epoca romana. Ogni lastra di marmo recuperata, ogni frammento restaurato, ci avvicina un po’ di più alla comprensione della vita quotidiana, del lusso e dell’arte dell’antica Roma. Il parco sommerso di Baia, un sito archeologico e un ponte tra il nostro mondo e quello degli antichi romani che un tempo passeggiavano su questi stessi pavimenti, ora sommersi dalle acque del Mediterraneo.
Si ringrazia per le foto il Parco sommerso di Baia, parco archeologico Campi Flegrei
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