Autore testo: Pierpaolo Montali
Autore foto: Mario Spagnoletti
L’entusiasmo e la passione di sempre mi spingono a cercare
anche questa volta di progettare con Mario la difficile esplorazione di un
relitto posto sul fondo di un lago davvero complesso, quello di Mezzola, in
provincia di Sondrio, dopo averne parlato con gli amici di Brescia una domenica
di immersione a Moregallo.
Intendiamoci, non che il lago sia brutto da vedere, anzi! E’ persino sede di
un’oasi faunistica importante e completa, quale la Riserva di Pian di Spagna. Il
fatto è che lì l’acqua è sempre torbida e densa come se fosse lattiginosa ed il
relitto in questione sprofondò nei suoi bui fondali un pomeriggio di tempesta
del dicembre 2.010.
Il lago è alimentato dal fiume Mera o Maira, che è lungo 50 chilometri e nasce
dal Piz Duan, nel cantone svizzero dei Grigioni, percorrendo prima la Val
Bregaglia in direzione est-ovest ed entrando quindi in Italia (nella Provincia
di Sondrio) subito dopo Castasegna. A Chiavenna piega verso sud e forma così il
nostro lago, scorrendo poi nel Pian di Spagna dell’oasi e gettandosi quindi nel
lago di Como vicino a Sorico.
La Val Codera è un incantevole e verdeggiante luogo tra le Alpi Orobiche in cui
trovano persino spazio ed offrono un’accogliente ospitalità le attività
commerciali degli amici Gianni Nonini, con il suo Agriturismo, e Mario Saligari
con il suo elegante albergo-ristorante, quest’ultimo è anche il presidente
dell’Associazione Sportiva Dilettantistica Canottieri Retica, che ci ha
generosamente appoggiati nella realizzazione del presente servizio.
Che dire poi della esemplare disponibilità dell’amministrazione comunale di
Verceia, il Comune nelle cui acque han sede i resti dell’imbarcazione.
Il Plinio fu una navetta lariana molto nota e le cui
vicissitudini si trascinano ancora oggi nei dialoghi di tutti coloro che lo
videro a galla abituandosi alla sua presenza.
Esso fu realizzato dalla ditta Escher&Wyss di Zurigo per la “Lariana” nel 1.902.
Era uno dei battelli più veloci ed eleganti del Lago di Como. Entrò in servizio
già nel 1.903.
Il suo salone di prima classe aveva pareti in legno di rovere con incorniciature
in mogano, sfondi in noce d’India con intarsiature a fiori vivi e raffinatissimi
specchi.
Lungo 53,16 metri e largo 11,5 esso poteva trasportare sino a
settecentocinquanta passeggeri, con un dislocamento importante di 741
tonnellate.
La propulsione era data da una macchina a vapore a triplice espansione,
alimentata a carbone e fornente ben cinquecento cavalli di potenza, che gli
potevano conferire quindi una velocità massima di ventotto chilometri orari,
facendo girare le due ruote a pale fissate sotto la scritta del nome ed
appoppate rispetto al piano dell’imbarcazione.
Il Plinio ebbe un destino segnato sin dall’inizio della sua esistenza: finisce
infatti già sulle cronache il 13 luglio 1.903. Mentre il piroscafo sta giungendo
a Como alle 21:00, dalla diga sbuca una lancia a vapore contenente molte
persone; soltanto la prontezza del capitano Aureggi nell’ordinare agran voce:
“macchina indietro tutta!” e la conseguente brusca virata del timoniere
evitarono una disgrazia.
Il 19 agosto 1.907 poi fu la volta in cui travolse, presso Urio, una lancia a
remi con a bordo due ragazzi, avvicinatasi troppo al battello per prendere
l’onda, come si diceva allora adottando una pericolosa usanza giovanile tipica
di quei tempi; uno dei due venne purtroppo sbalzato contro la ruota a pale ed
annegò a seguito dell’urto.
Ai primi di marzo del 1.910 scoppiò un tubo di vapore passante in sala macchina,
procurando un’ustione alle mani e al viso al macchinista.
Il 23 luglio 1.910 poi, alle ore 15:00, si abbatté sulla provincia di Como uno
spaventoso uragano, che provocò decine di morti e feriti.
Il piroscafo Elvezia era in arrivo nel porto di Como alle 16:10, quando il
piroscafo Plinio, ormeggiato al pontile della funicolare e sbattuto dal vento,
ruppe gli ormeggi e venne sospinto verso l’Elvezia. Anche in codesta occasione
il capitano dell’Elvezia fu pronto nell’ordinare: “macchina indietro tutta!”,
evitando di poco il pericoloso urto. Il Plinio sospese così tutte le corse.
Nell’agosto del 1.922 una nuova disgrazia: nei pressi del pontile di Gera il
Plinio investiva una lancia che procedeva al buio senza il fanale regolamentare;
delle quattro persone a bordo una annegava.
I numerosi incidenti che hanno punteggiato la carriera di questo splendido
piroscafo possono tuttavia essere attribuiti più che altro al suo ampio impiego.
Il Plinio apparteneva alla serie di piroscafi mezzi-salone eleganti e rapidi
della “Lariana”, che per molti decenni sostennero i servizi principali lacustri,
in un’epoca in cui l’automobile non c’era, o era un privilegio di pochi. Come
per il Jura, il France e l’Hirondelle, che già abbiamo precedentemente
documentato, esso costituiva un mezzo di comunicazione e di relazione tra gli
individui residenti sul lago di difficile sostituzione.
Il 28 maggio 1.927 il piroscafo, unitamente all’omologo 28 Ottobre fece da
scorta d’onore al piroscafo Savoia, che porta Re Vittorio Emanuele III in
crociera a centro lago.
Nel secondo dopoguerra la “Lariana” trasformò l’alimentazione
di alcuni navigli da carbone a nafta; il Plinio però venne mantenuto a carbone,
sia per prudenza, sia per l’ottimo rendimento della che continuava ad offrire la
sua vecchia caldaia.
Rilevato dalla Gestione Governativa nel 1.952, esso rimase in servizio circa
dieci anni, poi venne infine messo in disarmo presso la diga di Como nel 1.963.
Nel 1.973 quindi il gestore della navigazione Pietro Santini, con una decisione
discutibilissima, mise in vendita il Plinio.
Il piroscafo fu così acquistato dal Centro Nautico Alto Lario di Colico ed
ormeggiato al nuovo porto del paese, con una triste ed ingloriosa finalità
funzione di frangiflutti. Fu poi adibito dapprima a ristorante e pub, poi, negli
anni ’80, a gelateria; entrambe le attività però si rivelarono poco redditizie,
soprattutto per l’infelice collocazione del piroscafo.
Giunti al 1.998, anno in cui il porto di Colico fu rimodernato interamente; il
Plinio fu inizialmente girato di circa centottanta gradi ed ancorato all’altra
estremità della darsena, verso il paese. Successivamente fu poi di nuovo posto
in vendita.
Pare che vi fosse stata la proposta d’acquisto da parte del comune di Como al
fine di trasformarlo in museo; ma fu invece rilevato dal ristorante-albergo “La
Barcaccia” di Verceia, sul lago di Mezzola.
Nel 1.999 fu così trasportato sul lago di Mezzola: il fumaiolo e la cabina
vennero smontati per consentirne il passaggio sotto il ponte del passo a Sorico
e poi venne rimontato soltanto il primo.
Non è compito in questa sede elaborare le motivazioni che retro stanno
all’abbandono ed al degrado dell’imbarcazione. Quel che è certo è il fatto che
giovedì 09/12/2010 esso stesso, ci piace pensare stanco forse di tutti gli anni
di dimenticanza degli esseri umani nei suoi confronti, pose fine alla sua
esistenza rompendo i possenti ormeggi che lo legavano alla banchina del “La
Barcaccia” e si inabissò per sempre sul fondo del lago a quota meno
quarantacinque, scivolando lungo il pendio fangoso a circa
duecentocinquanta/trecento metri dalla riva e piegando, sotto il suo peso, tutto
ciò che incontrò, pali di ormeggio compresi.
L’imbarcazione era già stata ampiamente svuotata degli arredi, delle finiture e
complementi del suo interno; addirittura una testimonianza che abbiamo raccolto
sul luogo ci ha riferito che fosse stato tolto il pavimento originale per
sostituirlo con una gettata di cemento, utile al ballo durante la permanenza a
Colico. Questo spiegherebbe il rapidissimo affondamento senza che nessuno abbia
potuto evitarlo.
Gianni Nonini, pescatore del lago di Mezzola, ci ha riferito di esser passato
davanti al Plinio mezz’ora prima che sparisse e di averlo già visto decisamente
imbarcato, forse a causa del mancato funzionamento delle pompe di sentina che
svuotavano le sue stive dalle importanti infiltrazioni che c’erano da anni e che
tutti in zona conoscevano, tanto che le squadre di soccorso dei Vigili del Fuoco
intervenute sul teatro dell’incipiente affondamento, non intervennero neppure,
reputando la situazione troppo pericolosa per l’incolumità generale.
Così accadde, nonostante alcune persone si fossero riunite nell’ambito di
Associazioni a tutela dell’imbarcazione d’epoca e che le loro ripetute azioni di
pressione fossero persino giunte a farlo dichiarare relitto di valore storico
nazionale dall’Autorità Amministrativa competente in materia.
L’IMMERSIONE
Ora il Plinio è là sul fondo, rimasto ancora più solo, al
buio più completo ed avvolto dalla sospensione sempre presente in quel tratto di
lago.
L’immersione, per quanto non a quote elevatissime, è comunque resa molto
complicata dalla condizione ambientali: freddo intenso, correntino sempre
presente nella conca in cui è posto e – soprattutto – scarsissima visibilità.
L’aver operato in due sole immersioni ci ha costretti agli straordinari per
poter rendere efficaci le immagini video-fotografiche girate.
Pur avendo reperito i rete le coordinate geografiche, abbiamo
ugualmente voluto verificarle con l’ausilio di una canoa , messaci a
disposizione dagli amici della Retica Canottieri.
Individuato il luogo esatto in cui qualche “santo” a posizionato un pedagno,
stimiamo volutamente poco scorgibile da riva, abbiamo cominciato i nostri
preparativi di immersione.
Siamo in tre: Mario, Umberto ed io; due sistemi respiratori a circuito aperto ed
un chiuso, il mio.
Poco Elio per loro, ma quanto basta per restar lucidi sul fondo, pensiamo. Ed in
effetti sul fondo occorre davvero restar calmi e tranquilli, in primis per
orientarsi, in seconda battuta per capire anche solo il senso di marcia tra i
rottami.
Il relitto è integro, ma nel nostro primo tuffo abbiamo trovato un metro e mezzo
di visibilità, che ci ha reso la vita davvero difficile e l’orientamento a stima
di massima.
Troviamo così le ruote a pale, che si intravedo addirittura
dalla scritta PLINIO in parte cava sulla lamiera della fiancata e che si
evidenziano sotto lo scafo nonostante esso sia appoggiato sul limo.
Circumnavighiamo la prora con il suo affilatissimo tagliamare e passiamo davanti
ed attraverso il salone centrale, con la porta sfondata dalla pressione
dell’acqua e con all’interno il probabile bancone del bar ristoro.
Troviamo il tempo di infilare la telecamera dentro i vetri
rotti delle finestre di mezza via e rubare qualche immagine di un passato che
non può più tornare; inquadriamo i camini convoglia aria delle sala macchine,
così come il probabile sfiatatoio delle cucine installate in seguito, quando
divenne ristorante-sala da ballo galleggiante.
Negli occhi di cubìa ancora le grosse catene che armavano le ancore e lungo i
ponti di sopracoperta gli intricati resti della struttura e del telone blu che
riparavano dal sole i passeggeri. Non c’è l’elica, ovviamente, ma solo il timone
al di sotto della poppa ellittica ed affondato nel fango.
All’interno riconoscibili i segni dello sconvolgimento di un
naufragio, per fortuna senza vittime umane.
L’unica vera vittima fu e resta lui, il Plinio, testimone silenzioso ed
impotente di un’epoca forse definitivamente finita quel nove dicembre 2.010, un
centinaio di anni dopo la sua messa in acqua, con il suo triste affondamento.
Taluni propongono oggi il suo recupero: a chi scrive la cosa appare operazione
non poco complicata e di gran spesa, oltre che resa difficile dall’assenza in
loco di bacini di carenaggio e/o cantieri navali abbastanza ampi da poter
accogliere il relitto.
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prof. P. D’AScola