Autore testo e foto: Pierpaolo Montali
Mi trovo di fronte ad un bivio: dopo aver svolto un’immersione per me poco
soddisfacente sul relitto del Baron Gautsche a Rovigno, devo decidere se
spingermi da dove mi trovo (= Umago in Istria, n.d.r.) a sud sin dopo la città
di Fiume, percorrendo una lunga e complicata strada costiera che però passa di
fronte a quelle che mi han descritto come le insenature con l’acqua
fredda
che riportano la mente ad uno degli episodi storici che più hanno affascinato, e
da sempre, la mia fantasia: la Baia di Buccari; ovvero lasciar perdere e
fronteggiare il pensiero di aver fatto passare questa ennesima breve permanenza
istriana senza un qualcosa di concreto da riportare a casa.
Pazienza – penso – se anche fosse, non ci sarebbe alcunchè di male: del resto
questa estate 2013 mi ha fatto tribolare e non poco con i suoi venti in tutti i
quadranti, dalla Sardegna alla penisola istriana appunto.
Boris Domijan del diving Divecity di Crikvenica è una persona pacata e
ragionevole, che non si mette fretta e che muove le sue decisioni con la ferma
determinazione del mite: dopo aver scambiato una sequenza di mails con me, parla
ora al telefono in lingua madre con Marko Putinja, il cugino pescatore di Umago,
che oltre che spiegare le mie motivazioni nel corretto registro linguistico per
entrambi, ci aggiunge quel senso di concretezza che solo la gente di mare e di
alta montagna sanno avere. E’ fatta, sabato mattina andrò da solo sin laggiù,
senza navigatore, senza autostrada, salvo un piccolo pezzo del mio viaggio e
quindi compiendo un percorso come forse pochi oggi saprebbero fare: memoria
personale delle indicazioni ricevute, faccia tosta nel chiedere, anche
fermandosi a motore acceso oltre che iniziativa ed intuito personali; l’era del
navigatore satellitare sembra superata qui, in questo fazzoletto di terra, dal
passato che risorge!
Al mio arrivo alla meta, dopo aver celebrato in viaggio da solo ed in silenzio
la memoria della – soltanto più per me e per pochi altri forse – famosa
Beffa di Buccari
compiuta dagli Arditi G. D’annunzio, L. Rizzo e C. Ciano nell’ottobre del 1917,
mi ritrovo così in una realtà turistica classica, fatta di turisti in movimento
con ogni mezzo, incolonnamenti e poco posto per le auto. Ciononostante il diving
sa offrirmi la giusta capacità ricettiva e professionale accoglienza,
indicandomi dove posizionare la macchina e come fare per realizzare una corretta
durata della mia sosta: siamo in attesa di un folto gruppo di subacquei che
giungeranno da Jesolo e che, per dormire qualche minuto in più di mattina, ora
si trovano incolonnati in strada sulla corona rocciosa soprastante la cittadina
turistico-balneare. Chi dorme non piglia pesci; mi ritorna in mente il vecchio
adagio popolare mentre inganno il tempo idratandomi con acqua.
Stante l’attesa, la calura e l’arrivo ritardato del numeroso gruppo, si riesce a
partire con ordine con la comoda imbarcazione del diving, questo anche per
merito degli istruttori del medesimo, che sono molto professionali ed
accattivanti nei confronti dei loro allievi.
La nave mercantile da carico Peltastis, lunga sessanta metri e larga otto,
battente bandiera greca e costruita nel 1953, giace ora su di un fondale
sabbioso-fangoso di circa 34 metri davanti l’isola di Krk (Veglia in italiano),
a pochi metri dalla costa, nei pressi della baia di Klimno, che in lingua locale
vuol dire “baia del miele”: da cui
la definizione che certuni hanno affibbiato al relitto.
Il Peltastis era probabilmente carico di legnami e, la notte tra il 7 e l’8 gennaio del 1968, stava facendo rotta verso Fiume-Rijeka alla ricerca di un approdo sicuro. A causa delle pessime condizioni meteo-marine però la nave fu costretta a trovar riparo nei pressi di Pazduhovo, vicino a Dramalj, a due miglia nautiche a Nord di Crikvenica, durante la navigazione ed in un luogo che il suo Capitano aveva ritenuto meno peggiore della permanenza in mare aperto. Le forti raffiche di Bora però strapparono gli ormeggi di fortuna effettuati dai tredici membri dell’equipaggio e neppure le ancore e la forza dei motori riuscirono a trattenere la motonave, che rovinò quindi inesorabilmente e progressivamente alla deriva contro le rocce della costa con tutte le sue 874 tonnellate di stazza più il carico, procurandosi un grossa falla da sfondamento sullo scafo. Nonostante i disperati tentativi del comandante fu dunque impossibile salvare il mercantile, che pare sia affondato in pochi attimi. Quel giorno morirono purtroppo nel naufragio otto persone, tra cui lo stesso comandante, il cui corpo fu trovato mesi dopo, in stato di saponificazione, ancora al proprio posto di comando, come la tradizione di marineria del pianeta impone e certuni han dimenticato. Le spoglie del capitano Belesis ottennero quindi la pace ed un’onorata sepoltura l’11 novembre 1968 presso il cimitero di Kozala a Fiume. Per quel che riguarda il carico della nave al momento dell’affondamento, le notizie in nostro possesso sono imprecise e contraddittorie: infatti secondo taluni trasportava un carico di legname, mentre secondo altri del miele, forse in confusione con il nome della baia poco distante dal luogo dell’affondamento. Sta di fatto che il momento storico consentiva ai subacquei di allora di visitare il patrimonio sommerso ed infatti il relitto fu quasi completamente spogliato, mentre sul Peltastis cominciarono a circolare molte storie soprattutto a riguardo del suo Capitano. |
La prua del cargo è adesso rivolta verso la
costa e la nave giace quasi parallela rispetto al profilo della costa. Il
relitto è sempre pedagnato e la cima di discesa è assicurata all’albero maestro.
Il relitto mostra una discreta integrità delle sue sovrastrutture: si notano
infatti sulla coperta le maniche a vento, le gru, gli alberi, il fumaiolo e,
nella parte prodiera, vi sono ancora gli argani che trattenevano le catene;
dagli occhi di cubia però non pendono più le ancore e le catene di aggancio, in
quanto questi materiali furono nel tempo recuperati e portati quindi a Silo.
Si possono così visitare le ampie stive di prua del relitto: le stesse si
presentano molto ampie, ma purtroppo ora completamente vuote sebbene sovrastate
dal crollo di alcune paratìe, oltre che di alcune parti dell’albero di
trinchetto.
Facendo molta attenzione agli ingombri
circostanti ed ai propri movimenti, che devono essere pertanto necessariamente
leggeri come le ali di una farfalla, ci si può calare, attraverso una porta a
dritta di poppa via e proseguendo il giro sul ponte di coperta, anche in sala
macchine, ove si trovano i motori allineati e scoperti, ingabbiati dalla stretta
passatoia metallica di controllo che il macchinista doveva conoscere come le
proprie tasche.
Sulla sovrastruttura di poppa si trova il ponte
di comando, i cui locali risultano molto ampi e luminosi, poiché nel tempo le
pareti divisorie in legno si sono deteriorate sino a collassare; ovunque pezzi
dei termosifoni, che dovevano scaldare le fredde ed umide notti invernali di
navigazione dell’equipaggio e che erano forse fardello troppo pesante e fatto di
materiale non utile al recupero.
Negli altri ambienti in cui entro rintraccio
resti di lavelli e di cucina, una disimpegno ove vi sono alcuni apparati
elettrici ed intorno il solito sconquasso di un affondamento disperato, stanti i
lavori di ordinamento ed oculato asporto-recupero che seguirono sulla nave dopo
quel tragico 8 gennaio del 1968.
Scendendo lungo la poppa, si raggiungono l’elica e il timone, questi organi
meccanici però risultano in parte sommersi nel fondale sabbioso e quindi poco
fotogenici; nella parte sinistra della poppa è evidente la falla riportata dal
relitto al momento della collisione contro la costa.
In risalita indugio non poco nel blu sulla sovrastruttura trapezoidale della
nave, scenografica e comodo appiglio dei pedagni locali: rifletto così da solo
sull’origine classica del nome di questa nave, che forse pochi conoscono ed a
cui invece la mia ormai antica formazione classica seppe prestar subito
attenzione quando sentii parlare del relitto. Peltastis deriva infatti dal nome
dei fanti mercenari Traci (antico popolo dell’attuale Bulgaria, n.d.r.) armati
di un piccolo scudo, che in greco antico era definito appunto pelta, lancia e
spada e che erano proprio denominati peltasti. Destino cinico e baro per certune
categorie di lavoratori: così fu per i mercenari e certuni marinai.
La visibilità sul relitto è normalmente buona, tuttavia questo dipende delle
condizioni del tempo: i locali mi dicono che a volte anche un piccolo maltempo
può peggiorarla. Indispensabile comunque portarsi dietro adeguata fonte luminosa
ed a prescindere dalla qualità e trasparenza delle acque, trattandosi di un
relitto.
Le linee guida infatti per percorrere i resti
del Peltastis – il più giovane relitto dell’area frequentato dai sub – sono le
seguenti: l’albero di trinchetto si trova a circa otto metri dalla superficie,
mentre quello di mezzana è a dodici. La prua la si trova a circa diciassette
metri, mentre il ponte è a ventuno; timone ed elica sono tra i trenta ed i
trentadue metri.
Questi numeri sembreranno ben poca cosa ai
subacquei, specie se tecnici, ma andrebbero tenuti in diversa considerazione
allorchè capitasse, come al sottoscritto, di ricevere il segno dell’OK con
allegato sorriso beffardo da un apneista che, disceso sino al trapezio di
mezzana, prosegue sin oltre la linea del ponte per guardarsi quel che resta
della motonave con il solo ausilio dei propri polmoni: non sono in tanti a
poterlo e saperlo fare, quindi vanno apprezzati a mio giudizio, come se
rendessero, con quel gesto estremo, onore ai caduti in mare.
Le condizioni ambientali e la struttura complessiva del relitto riservano
comunque degli ottimi spunti fotografici per chiunque: il Peltastis infatti
rappresenta il giusto mezzo per tutti, soddisfacente per gli open water, una
buona palestra per gli advanced (l’elica ed il timone si trovano circa a 30
metri), una meta da rivisitare per chi ancora non conosce ancora le potenzialità
del Nitrox, con un notevole guadagno di tempo di immersione; una bella giornata
infine per chi ci è già stato e ci torna sempre con piacere.
Foto
È assolutamente vietata la riproduzione, anche
parziale, del testo e delle immagini presenti in questo articolo senza il consenso dell’autore.