Autore testo: Pierpaolo
Montali
Autore foto: Mario Spagnoletti
Domenica 2 giugno 2013, il maestrale non cessa
di soffiare sulla Sardegna.
Mario ed io siamo arrivati già dal 30 maggio, giorno del mio compleanno, che ho
sottratto alla celebrazione in famiglia con un certo qual senso di colpa.
Dobbiamo eseguire almeno una delle immersioni
che ci eravamo preposti di fare grazie all’ottima organizzazione sul posto
dell’amica e collega sub Beatrice Anghileri, titolare della Ichnusa Diving &
Excursions a Pula, attività di servizio e supporto agli escursionisti subacquei
e non, a pochissimi chilometri distanza dal sito dell’immersione. Lei infatti ci
ha dato la possibilità di conoscere ed incontrare un subacqueo coraggioso come
Arrigo Marendino, course director e titolare del centro di formazione alle
immersioni sito all’interno del villaggio turistico Calaserena in località
Geremeas nel comune di Maracalagonis.
Si è deciso di partire senza osservare troppo la regola del mare piano: son
giorni infatti che soffia il vento, ma la fortuna vuole che Arrigo abbia il
diving più vicino al relitto, posato su di un fondale di 57 metri davanti alla
località Torre del Finocchio, nel territorio antistante e corrispondente ai
comuni di Sinnai e Maracalagonis appunto, e pertanto ci si è decisi ad onorare
un impegno reciproco, stanti le difficoltà ambientali.
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La nostra immersione ricorda di oggi, per il
rischio che contiene connesso alle condimeteo generali, quel maledetto giorno di
settant’anni fa, quasi esatti, che vide finire in mare una parte delle speranze
di rivincita di una Marina, che avrebbe dovuto, almeno in teoria, rappresentare
il fiore all’occhiello del sistema di difesa italiano.
Scendendo sulla cima del pedagno, fissato verso la poppa via ed in prossimità
dello squarcio aperto dal siluro che colpì il castello del comando, si comincia
ad intravedere la sagoma del grosso relitto già dai 35 metri circa e stanti le
pessime condizioni dell’acqua rispetto al normale.
Arrivati sul relitto ci si intende e sistema velocemente, non avendolo potuto
fare con tranquillità in superficie per le difficili condizioni meteo marine: le
coppie son divise tra subacquei ricreativi, che faranno un limitatissimo tempo
di fondo, e tecnici, che resteranno di più per poter documentare l’immersione:
la profondità non è eccezionale, ma la prudenza e la pianificazione devono
sempre essere al primo posto nel pensiero degli operatori subacquei in acqua.
Si inizia così la esplorazione del relitto con il notare i locali vuoti del
castello di comando e l’affusto della bussola, o del telegrafo di macchina
ancora incredibilmente fissato alla pavimentazione lignea.
L’enorme sagoma del relitto si staglia sul
fondale turchino del mare rischiarato almeno un po’ dal soprastante sole; a
seguire si nuota verso la poppa della nave, sconquassata dalla tremenda bordata
del siluro proprio sull’elica. Ci si inoltra, ad un rapido cenno di conoscenza
del luogo di Arrigo, sul fondo del relitto e si guarda il cannone da 102
proiettato verso la superficie come se volesse difendere ancora la propria nave.
Le lamiere appaiono contorte e con alcuni evidenti e pericolosi crolli
strutturali, oltre che coperte da incrostanti marini, quasi come silenti
testimoni di una tragedia tra il rossore delle immancabili castagnole guizzanti.
Procediamo quindi vero la mezza via della nave, facendo a zig zag tra i
curvilinei bighi di carico e sul comando in mezzo ad una nuvola di saraghi
pizzuti che ci guardano stupiti, quali fossero consapevoli dell’inaspettata
visita di sommozzatori fuori stagione.
Arrivati verso la prua non possiamo non esser colpiti dall’albero di carico, ora
inclinatosi, ma con in cima ancora quella coffa di avvistamento che fu del tutto
inutile nella tragica sorte finale del naviglio.
Più sotto il grosso argano da manovra delle due
ancore, con le catene tuttora in tensione; quella di sinistra è infatti sempre
alloggiata nel suo occhio di cubìa, mentre quella di dritta giace sotto il peso
della nave sul fondale sabbioso.
Nell’angusto passaggio, che Arrigo ed i suoi hanno individuato negli anni sul
ponte e dopo aver osservato la maestosa proiezione d’immagine del pezzo
d’artiglieria da 102,35 mm di prora, riusciamo ad intrufolarci io e Mario,
scorgendo tra le polveri del mare, alcuni colpi ancora ben impilati dei due
cannoni che la nave aveva in dotazione.
I segni evidenti dei crolli strutturali dovuti alle esplosioni dei siluri ed al
trascorrere del tempo sott’acqua offrono per certi versi un’impressione
desolante, quasi che le urla e la concitazione di quei momenti tragici
ritornassero alle nostre orecchie in questi tutto sommato pochi attimi in
immersione.
Il relitto andrebbe visitato, per le sue rilevanti dimensioni e per i suoi
numerosi anditi, in più immersioni, ancorchè queste effettuate in miscela tale
indicazione varrebbe doppio, ove effettuate in semplice aria.
Al rientro alla base, nel breve tragitto di mare da percorrere, sballottati sul
gommone con tutte le nostre pesanti ed ingombranti attrezzature video-foto-sub,
ripensiamo alla necessità di proporre questa immersione alla valutazione di
subacquei esperti e ben motivati, che abbiano anche un interesse storico ed il
rispetto dovuto verso chi quel 10 aprile del ’43, tra quelle lamiere contorte,
perse la propria vita.
Un saluto finale ad Arrigo ed al suo staff ed un ringraziamento all’ottima
organizzazione logistica di Beatrice ci congedano da questa esperienza sarda,
resa faticosa dalle condizioni generali del mare, ma entusiasmante dalle
immersioni a tutti i costi cercate e poi concesseci, in grotta, come sugli
splendidi e tristi relitti sul fondo del mare.
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