L’identità della nave mercantile ungherese Pozsony, affondata nel corso della Prima Guerra Mondiale lungo la costa albanese, svelata grazie al riconoscimento dello stemma della società armatrice, rappresentato su piatti e bottiglie venute alla luce dai resti del relitto.
Nell’ambito di una serie di immersioni lungo le coste albanesi, svolte ad agosto 2013 con alcuni istruttori e subacquei IANTD dell’associazione Acquelibere Sub Padova e battezzate con il nome di “Albania Shipwreck Exploration”, esplorai il relitto di una nave affondata a due miglia dal porto di Durazzo, senza però conoscerne l’identità.
In quell’occasione, incontrammo scarsa visibilità e ciò non agevolò il nostro obbiettivo di raccolta di documentazione fotografica del relitto. Al termine dell’immersione, tuttavia, trovammo sul fondo una bottiglia di vetro e un piatto di ceramica, entrambi marchiati con uno stemma rappresentato dalle lettere U e C, ai lati di un’ancora.
La vicenda incominciava a farsi interessante e così, al rientro dal viaggio in Albania, pensando che si trattasse di un relitto appartenente a una nave italiana, focalizzai l’attenzione sulla pagina internet di un interessante sito che offriva un servizio di identificazione dei marchi e delle ceramiche. Per giorni confrontai centinaia di marchi e stemmi senza risalire, tuttavia, ne ad uno stabilimento di ceramiche italiano, ne a una compagnia di navigazione, che mi avrebbero consentito di risalire all’identità della nave.
In seguito, fu Ilir Çapuni, un amico e istruttore subacqueo del Montenegro, a rivelarmi di essersi immerso sullo stesso relitto nel mese di luglio 2013, casualmente qualche giorno prima della nostra immersione, e di aver anch’egli trovato una bottiglia con la medesima sigla. Al termine di alcune ricerche documentali e grazie alla collaborazione con József Horváth, ufficiale di marina ungherese e appassionato di storia, Ilir stabilì che la sigla U.C. doveva appartenere alla Società di Navigazione Ungaro-Croata.
Le ricerche d’archivio hanno stabilito che il marchio UC, raffigurato sopra bottiglie e piatti rinvenuti all’interno del relitto, identifica una compagnia di navigazione Ungaro-Croata.
La storia della Società Ungaro-Croata
La Società Ungaro-Croata venne fondata nel 1891 a seguito della fusione di piccole compagnie marittime di Fiume (Rijeka) e Segna (Senj). Aveva sede a Fiume ed era rappresentata da una bandiera rossa con una stella bianca a sei punte al centro. L’attività principale della compagnia era il trasporto di merci e di passeggeri in Adriatico, ma percorreva alcune rotte anche nel resto del mondo. Nel corso degli anni la società si ingrandì, acquisendo nuove navi, fino a diventare una delle maggiori compagnie marittime dell’Impero austro-ungarico cosicché, nell’agosto 1914, allo scoppio della Grande Guerra, la flotta della Società di Navigazione Ungaro-Croata poteva contare quaranta sette imbarcazioni.
La conformazione del mar Adriatico, a bacino chiuso, permise di mantenere in sicurezza i trasporti marittimi nei primi anni del conflitto ma, nel maggio 1915, con l’entrata in guerra dell’Italia, lo scenario mutò e si dovettero sospendere gran parte delle attività commerciali anche nelle acque dell’Adriatico. Avendo firmato un accordo che prevedeva che tutte le navi fossero rese disponibili al servizio di guerra, trentasei navi della Società Ungaro-Croata vennero requisite per scopi bellici, otto piroscafi furono usati per scopi civili, mentre tre stazionarono, dall’inizio del conflitto al suo termine, a Cittanova (Novigrad). Nel 1916 la compagnia noleggiò alla Direzione Trasporti di mare di Fiume i due piroscafi con maggiori dimensioni, l’Hrvat e il Pozsony.
Nel corso della Grande Guerra, la compagnia perse cinque unità, mentre altre quattro vennero seriamente danneggiate. La Società Ungaro-Croata fu una compagnia di grande successo con risultati d’esercizio positivi fino al 1919, quando, con la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico, cessò l’attività e divenne Società per Azioni Croata di Navigazione Marittima a Vapore, sempre con sede a Fiume. Nel 1922, infine, la società si fuse con altre compagnie e divenne jugoslava assumendo il nome di Jadranska Plovidba Dioničko Parobrodarsko Društvo e spostando la propria sede a Susak.
Una serie di immersioni svolte su alcuni relitti, affondati lungo la costa albanese nel corso della Prima Guerra Mondiale, proprio nella ricorrenza del Centenario della Grande Guerra, hanno dato un valore storico/archeologico riconosciuto al viaggio.
Immersioni in Albania
Partii nuovamente alla volta dell’Albania l’agosto scorso, assieme a Federica, Mauro, Michele e Stefania, istruttori e subacquei tecnici della IANTD, ai quali si aggiunsero Ilir Çapuni, componente della IANTD Expedition Regina Margherita 2005, Igli Pustina Presidente della Federazione Subacquea Albanese e componente della IANTD Expeditions Regina Margherita 2016 e Denis Nova, titolare del Nova Diving Center di Durazzo. Il progetto era quello di svolgere delle ricerche nel golfo di Shengjin, nel nord del Paese con l’obbiettivo primario di studiare l’area in cui affondarono due sommergibili, uno italiano e uno francese, nel corso della Grande Guerra, tra la foce della Boiana (in albanese Buna), il fiume che segna il confine tra Montenegro e Albania, e la foce del Drin, il fiume che attraversa la parte centrale della penisola balcanica.
Nonostante gli sforzi per offrire una logistica efficiente da parte di Denis, Igli e Ilir, le prime giornate in mare furono impegnative. Sia l’avverso stato del mare che rese difficoltose le ricerche con Side Scan Sonar, sia le pessime condizioni di visibilità incontrate nel corso di alcuni tuffi di fronte alla foce dei fiumi, non portarono ad alcun risultato e mi indussero a stravolgere l’obiettivo della spedizione in corso d’opera.
Per dare tuttavia un valore storico/archeologico riconosciuto alla nostro viaggio e affinché i risultati dell’attività fossero adeguatamente divulgati, dirottai l’obbiettivo della missione sull’esplorazione di alcuni relitti, affondati lungo la costa albanese nel corso della Prima Guerra Mondiale, proprio nella ricorrenza del Centenario della Grande Guerra. E così iniziammo con le immersioni nel golfo di Shengjin (ex San Giovanni di Medua), prima sul relitto del piroscafo postale italiano Brindisi affondato il 6 gennaio 1916 e dopo sul relitto del piroscafo ungherese Andrassy affondato il 31 marzo 1916.
Terminata l’attività nel golfo di Shengjin ci spostammo a Durazzo presso il Nova Diving Center, un nuovo centro d’immersioni inaugurato nel giugno scorso. Da qualche giorno lo staff del diving era in fermento poiché, nel corso di un’immersione aveva rinvenuto una bottiglia con la scritta U.C. su un relitto a due miglia dalla loro sede. Ilir allora rivelò non solo l’appartenenza della nave alla Società di Navigazione Ungaro-Croata ma, dopo approfondite ricerche, svelò anche l’identità del relitto: si trattava del piroscafo ungherese Pozsony, affondato il 19 agosto 1916.
La posizione del relitto, l’accertata appartenenza alla Società di Navigazione Ungaro-Croata e il profilo dello scafo hanno confermato che si tratta del Pozsony, affondato nel 1916.
La storia della nave
Costruito per conto della Società Ungaro-Croata, il piroscafo misto Pozsony, venne completato nel 1908 negli stabilimenti del Howaldtswerke A.G., il più grande cantiere navale di Kiel in Germania, dove, nel corso della Grande Guerra, vennero realizzate numerose unità per conto della Marina imperiale tedesca.
Come la gemella Brassŏ, la nave aveva lo scafo realizzato in acciaio, era lunga circa cinquantadue metri e larga sette, aveva una stazza di quattrocento tonnellate ed era dotata di macchine a triplice espansione, che gli consentivano di raggiungere la velocità di dodici nodi. Nel corso della sua attività, venne impiegata principalmente per il trasporto di merci e passeggeri sulla rotta Fiume-Trieste. Al suo interno poteva ospitare diciassette passeggeri in cabine di prima classe e sei passeggeri in cabine di seconda classe, oltre a sedici uomini di equipaggio.
Il 28 febbraio 1912 il Pozsony, in navigazione lungo la costa occidentale dell’Istria, a causa di una densa nebbia, si incagliò sulle rocce dell’isolotto di Figarola Grande. A seguito di questo incidente, il piroscafo riportò diversi danni. Una volta ripristinato riprese la normale attività, fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Dapprima la nave venne utilizzata per la mobilitazione delle truppe in Istria, tra Fiume e Pola, successivamente venne requisita dalla Kriegsmarine, la Marina imperiale austro-ungarica, per essere armata e utilizzata per il trasporto di uomini e di materiali lungo le coste dell’Adriatico.
Il 19 agosto 1916, mentre si stava dirigendo a Durazzo, urtò una mina, a circa due miglia dal porto di arrivo e affondò. Al momento dell’incidente la nave trasportava un carico di gasolio, legna e altro materiale, oltre a centosettanta uomini, dei quali centotrentanove si salvarono, mentre trentuno perirono nell’affondamento. Alla proprietà del piroscafo vennero consegnate 220.498 corone per la perdita della nave, sufficienti solo per una parziale sostituzione.
I resti del relitto del Pozsony sono oggi segnalati da una boa e si trovano adagiati su un fondale sabbioso di ventitré metri, tre miglia al largo della città di Durazzo.
L’immersione.
Dopo le immersioni a Shengjin, ora ci trovavamo a Durazzo presso il Nova Diving Center e fu proprio la possibilità di essere i primi a realizzare una documentazione fotografica sul relitto del Pozsony a rianimare l’entusiasmo e riaccendere l’interesse di tutti i componenti della missione. Ai membri, in funzione delle necessità, vennero assegnati i compiti specifici necessari a portare a termine l’obiettivo con successo: Mauro e Michele addetti alle fotografie, il resto dei componenti divisi tra addetti alla sicurezza in mare, trattandosi di un relitto non conosciuto, ricco di lamiere, reti e lenze, e addetti all’assistenza di superficie, trovandoci in un paese in cui i protocolli d’emergenza possono differire dai nostri.
Nonostante la bassa profondità, decisi di utilizzare la miscele nitrox EAN30 in bibombola e una bombola decompressiva con miscela EAN50, per prolungare il tempo di fondo e avere il maggior tempo per raccogliere informazioni sul relitto.
L’immersione sul Pozsony, oggi è un tuffo relativamente facile, poiché la profondità massima non supera i ventitré metri nel punto sotto la poppa, la zona più profonda. Il relitto è perpendicolare alla costa, con la prua rivolta verso terra. La discesa avviene lungo un pedagno calato sull’estremità della prua e arrivati sulla coperta della nave si osserva l’argano del gruppo catene delle ancore, a cui è fissata la cima di collegamento alla superficie. Sporgendosi fuori dallo scafo, la prua della nave mette in risalto il filante tagliamare, quasi verticale, alto e dritto come imponeva la cantieristica tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento. Una stretta scaletta sul ponte di coperta conduce ai locali equipaggi e alle cabine passeggeri di seconda classe. Proseguendo verso poppa non vi è traccia dell’albero di maestra, mentre si incontra la stiva numero uno: è qui che, al suo interno, sono state rinvenute le bottiglie di vetro di cui abbiamo già accennato. Più avanti, ci si trova a centro nave, probabilmente nell’allora locale caldaie, per la presenza oggi di numerosi fasci tubieri, ai quali riporre attenzione durante i movimenti. Nella parte alta di questo sezione è visibile la sede tonda che doveva ospitare il fumaiolo con disegnato lo stemma della Società di Navigazione Ungaro-Croata e al suo fianco i bracci che sorreggevano le scialuppe di salvataggio, una per lato. Continuando si incontra la sala macchiane dove è possibile intravedere la sommità delle macchine a triplice espansione spuntare dalla sabbia. La zona centrale è un vero intrico di cavi d’acciaio e tubi contorti, ricoperti da numerose lenze cheli avvolgono talvolta in maniera pericolosa. Superato questo settore si incontra la stiva numero due, prima di raggiungere la zona poppiera. In questo punto le sovrastrutture sono oramai prive della copertura, mentre è visibile la sola intelaiatura, attraverso la quale, scrutando più sotto osserviamo quello che doveva essere il salone di prima classe. In un particolare ambiente sul lato sinistro della nave, che lo schema costruttivo della nave in scala individua con la scritta “pantry” (cambusa), è stato possibile riconoscere, sotto una coltre di fango, altre suppellettili con il marchio U.C., utilizzato dalla Società di Navigazione Ungaro-Croata per segnare le proprie stoviglie. Alcune di queste, una volta recuperate, sono state consegnate al termine delle immersioni dallo staff del diving al Museo Archeologico di Durazzo, sigillando così una proficua collaborazione con le istituzioni locali, interessate alla tutela non solo dei relitti antichi, ma anche di quelli di epoca contemporanea e moderna.
Un alone di mistero avvolge la tragedia del Pozsony, poiché se da una parte l’identità della nave è stata svelata, dall’altra non si conosce ancora l’identità delle trentuno persone che persero la vita nelle circostanze dell’affondamento.
Epilogo.
Se da una parte la sigla U.C. sulle suppellettili ha svelato l’identità della nave, dall’altra parte un alone di mistero circonda ancora questo episodio. Il primo quesito rimasto irrisolto è relativo alle generalità dei passeggeri. Chi erano? Personale civile oppure soldati austroungarici? Per quale motivo una vicenda che ha visto la perdita di trentuno vite umane non ha lasciato una traccia nella storia? Il Pozsony, inoltre, era una nave piccola di cinquanta metri di lunghezza, sette metri di larghezza e quattrocento tonnellate di stazza. Centosettanta uomini su una nave di quelle dimensioni erano tanti, costipati nelle stive e sui ponte di coperta. Visto il contesto storico in cui si inserisce l’episodio dell’affondamento, l’ipotesi è che dovessero essere militari provenienti dai territori austroungarici e diretti al fronte, o forse prigionieri di guerra italiani ai quali rivolgere poco riguardo come nell’oscura vicenda del piroscafo Linz? Nella storia del Pozsony, oltre all’identità, vi sono ancora tante ombre e domande alle quali dare delle risposte, magari a seguito di più approfondite ricerche documentali e attività svolte nell’ambito di future IANTD Expeditions.
I COMPONENTI DEL TEAM
Hanno preso parte alle ricerche e alle immersioni in Albania i seguenti istruttori e diver dell’agenzia didattica IANTD: Cesare Balzi Trimix Instructor Trainer, Stefania Bellesso Normoxic Trimix & Technical diver, Michele Favaron fotografo e Trimix Instructor, Mauro Pazzi fotografo e Normoxic Trimix & Technical diver, ai quali si sono aggiunti sul luogo, Ilir Çapuni, componente della IANTD Expeditions Regina Margherita 2005, Igli Pustina Presidente della Federazione Subacquea Albanese e componente della IANTD Expeditions R
Foto di Mauro Pazzi