I resti di un’imbarcazione su un fondale di circa 40 metri sono stati l’oggetto di una ricerca nell’ambito di un programma di IANTD Expeditions Training svoltosi in Croazia sull’isola di Cherso.
L’isola di Caisole in Croazia
Da una parte natura intatta, immensi panorami, una bella spiaggia di ciottoli bianchi, graziose casette e un mare con acqua limpida e turchese; dall’altra, in cima a una collina, immersi tra il verde, un grappolo di case, una chiesa e un campanile. Questa è Caisole, in croato Beli, un insediamento del comune di Cherso, in Croazia. Il nome in italiano deriva da Caput Insulae, nome dell’insediamento al tempo dei romani, mentre il nome Beli sembra derivi da Béla IV, monarca ungherese del XIII secolo che fuggendo dai Tartari trovò rifugio sull’isola di Cherso.
In questa splendida cornice, durante lo scorso mese di luglio, si è tenuta una coinvolgente sessione di IANTD Expeditions Training, organizzato dal Vicenza Sub di Grumolo delle Abbadesse, IANTD Technical Training Facility, in collaborazione con il Diving Base Beli, un rinnovato centro d’immersioni a gestione italiana situato a due passi dalla spiaggia.
Come si arriva all’Isola di Cherso?
Beli si trova nella parte nord-orientale dell’isola Cherso, in croato Cres. Per raggiungere l’isola bisogna prendere il traghetto in località Brestova, in Istria, sulla terraferma e sbarcare a Porozina sull’isola Cres. Porozina dista 26 km da Beli alla quale è collegata da una strada panoramica con vista mozzafiato sul mare del golfo del Quarnaro, ma che in alcuni punti attraversa l’ombra di un ricco bosco: attenzione alle pecore che vi accompagneranno lungo tutto il percorso!
IANTD Expeditions Training
Ma torniamo all’inizio del 2021, quando la IANTD ha rinnovato i suoi corsi per accedere al livello di Expedition Member. In passato questa formazione impegnava una intera settimana d’internato durante la quale, oltre alle normali lezioni teoriche e pratiche, si simulavano tutte le attività di una spedizione. Questo corso dava la possibilità di essere selezionati per partecipare in seguito ad una vera spedizione. Viste le attuali problematiche il corso è stato ristrutturato utilizzando la didattica a distanza ed in seguito svolgendo le attività d’addestramento e d’immersione finalizzate agli obbiettivi di una spedizione simulata. Il corso è stato denominato IANTD Expeditions Training ed ha riscosso il significativo successo di partecipanti provenienti da svariate parti d’Italia, indice dell’attrazione che questa attività di formazione esplorativa riscuote. L’istruzione teorica si è tenuta con il metodo della didattica a distanza sviluppando le seguenti materie: basi di archeologia subacquea e storia della navigazione, classificazione e struttura delle navi, cenni di archivistica e ricerca documentale, tecniche di rilevamento e misurazione, procedure nautiche e stazioni decompressive e per ultimo protocollo di spedizioni di esplorazione subacquea. Le lezioni sono state tenute da Massimiliano Canossa, Fabio Ruberti, oltreché dal sottoscritto, con l’apporto scientifico dell’Ing. Giuliano Franceschi e del Prof. Tiziano Camagna. La base concettuale del corso, unico nel suo genere nel panorama subacqueo, è quello di istruire ed addestrare subacquei competenti alla reale consapevolezza delle loro attività nel campo dell’esplorazione e dello studio di relitti di navi in ferro o acciaio, cioè di epoca contemporanea.
L’immersione
Al termine delle lezioni teoriche e dopo una fine settimana di addestramento nelle acque del laghetto di Godego in Veneto, durante il quale si sono svolte immersioni di affiatamento tra i partecipanti dei team del Sub Delphinus Ravenna e Vincenza Sub, l’oggetto di studio e analisi subacquea finale è stata un’imbarcazione di identità sconosciuta affondata davanti alla spiaggia di Caisole. La carovana, partita all’alba da Vicenza e Ravenna, arriva sull’isola di Cherso e nel corso delle prime ore vengono allestiti la stazione di ricarica gas affiancando un utilissimo booster al già presente compressore, l’area di ricarica batterie per scooter subacquei, il banco con gli strumenti per l’analisi dei gas e i moduli per la registrazione. I protocolli utilizzati per le immersioni sono scelti in funzione di una profondità massima di 40 metri e un tempo di fondo tra i 30 e 45 minuti, pertanto le configurazioni sono quelle dell’immersione tecnica con un bibombola ricaricato con best mix nitrox 28% e una o due bombole decompressive con nitrox 50% e ossigeno puro. L’ingresso in acqua può avvenire direttamente dalla spiaggia, in alternativa con il passo del gigante saltando in mare dal molo adiacente. I resti dell’imbarcazione si trovano sulle coordinate geografiche a circa cinquanta metri di distanza dalla spiaggia, tuttavia, è preferibile iniziare l’immersione subito vicino al molo e seguire il profilo del fondale che degrada in modo repentino. Le condizioni meteo marine sono favorevoli, ottima la visibilità e la temperatura dell’acqua intorno ai 24°C. Nel corso della prima immersione di addestramento, un team di supporto, provvede a stendere con un reel una sagola guida e collegare direttamente la superficie ai resti del relitto che si incontrano già a 32 metri di profondità. Oltre a questo primo incarico, il team si occupa di posizionare lungo il tragitto bombole di decompressione di emergenza e a fare una prima ricognizione per mettere in sicurezza il relitto da eventuali cime o lenze che possano creare ostacoli e difficoltà ai team successivi. Della struttura dell’imbarcazione è rimasto solo il telaio, che giace parzialmente sepolto sotto il fondale sabbioso. Si distingue sotto la sabbia la linea della chiglia, lungo e robusto elemento centrale come una spina dorsale dello scafo. Sono inoltre facilmente riconoscibili le ordinate o costole che fuoriescono dalla sabbia. Una seconda squadra, incaricata della misurazione del relitto, si occupa di eseguire le rilevazioni dell’imbarcazione con rotelle metriche: 15,30 metri la lunghezza e 2,80 la larghezza. L’albero maestro, steso in parte sullo scafo e in parte sul fondale a fianco dell’imbarcazione ha una lunghezza di 5,30 metri. Una terza squadra ha il compito di indicare tramite segnalatori galleggianti alcuni dettagli, affinché possano essere documentati fotograficamente per diventare oggetto di studio e identificazione. Nei giorni seguenti, infine, un team esegue un’ispezione dell’area circostante spingendosi sino ad una profondità di 50 metri alla ricerca di altri dettagli utili grazie all’utilizzo di scooter subacquei. Insomma una vera e propria analisi di tutti i particolari.
Le ricerche documentali
Nell’ambito dello studio successivo, grande interesse ha suscitato il rinvenimento di alcuni mattoni sparsi sul fondo al centro dei resti della nave. Documentati e misurati hanno le dimensioni 30 centimetri di lunghezza, 20 di larghezza e 10 di spessore, ma la cosa più singolare è la stampa su una faccia: 1657:C9 STABBARP. Da qui iniziano le appassionanti ricerche documentali da parte dei partecipanti all’addestramento. Indagini non solo di carattere subacqueo quindi, ma anche analisi storico, culturali, tecnico e scientifiche che hanno caratterizzato e contraddistinto le IANTD Expeditions sin dalla loro nascita nel 2003. E così si scopre che Stabbarp è una piccola città nella contea di Skane, nella parte meridionale della Svezia. In questa cittadina nel 1867 furono scoperti giacimenti di carbone, che portarono alla costruzione di una miniera fuori dal villaggio. Per poter trasportare le merci dalla miniera, intorno al 1875 fu costruita una linea tranviaria tra la miniera e la stazione ferrovia di Eslöv. Stabbarp Gruva ebbe la sua stazione ferroviaria nel 1898 quando fu completata la linea ferroviaria che, transitando per la città di Eslöv, conduceva le materie estratte sino al mare, nei porti di Landskrona e Helsingborg dove veniva imbarcata per l’esportazione. E ora arriva la parte che ci ricollega al ritrovamento dei mattoni con la scritta stampata della cittadina svedese: oltre all’estrazione primaria del carbone, veniva estratta anche un’argilla refrattaria presente in grande quantità nel terreno. L’argilla veniva ridotta in mattoni nelle fornaci del villaggio! La fornace fu chiusa nel 1903 e i lavori all’interno della miniera terminarono l’anno seguente. L’estrazione dell’argilla venne in seguito ripresa per alcuni anni, sino al 1920, quando l’azienda venne chiusa definitivamente. Quale potrebbe essere il motivo di un mattone refrattario sul carico di un’imbarcazione a Caisole? I materiali refrattari sono materiali che resistono alle alte temperature senza fondersi o deformarsi. Mattoni oppure blocchi prefabbricati sono utilizzati come rivestimenti di caldaie, forni e reattori. Il loro scopo è proteggere la costruzione sottostante dal calore e dall’abrasione, ma anche ridurre al minimo le perdite di energia.
Le ipotesi
A quali forni dovevano essere dedicati questi mattoni? Da un’indagine storica scopriamo che in passato, nella parte settentrionale dell’isola di Cherso, presso le località di Caisole e Dragosetti, erano presenti diversi giacimenti di bauxite, il minerale più usato per la produzione di alluminio. Nel ciclo di produzione la bauxite, dopo essere estratta dalle miniere, viene frantumata e ridotta in piccole parti. Dopo essere stata frantumata viene lavorata con soda ad alta temperatura e sotto pressione. Attraverso questo procedimento si ottiene una sostanza intermedia chiamata allumina, dalla quale a seguito di un processo di elettrolisi viene estratto l’alluminio liquido. Nel 1886, casualità lo stesso anno in cui vennero scoperti i giacimenti di argilla nella miniera di Stabbarp da cui provengono i mattoni ritrovati, l’americano Charles Martin Hall e il giovane scienziato francese Paul Heroult, scoprirono contemporaneamente, seppur in modo indipendente, il primo processo di fusione elettrolitica per la produzione di alluminio metallico dall’allumina. Le casualità non finiscono qui: i due scienziati erano nati lo stesso anno, brevettarono insieme le loro scoperte e morirono lo stesso anno! Il loro metodo consentì la produzione di elevati quantitativi di alluminio a basso costo dati anche gli enormi progressi avvenuti nella produzione di energia elettrica dovuti alle moderne dinamo. Il metodo di Hall – Heroult, è ancora oggi il sistema utilizzato per la produzione di alluminio ed è stato migliorato dalle successive scoperte, quale quella dell’austriaco Karl Bayer, che nel 1888 brevettò la tecnica per l’estrazione dell’ossido di alluminio dalla bauxite. Ecco che quindi possiamo ipotizzare che i mattoni dovessero servire a ricoprire i forni dedicati alla prima fusione dei frantumi di bauxite. Da testimonianze raccolte sul posto apprendiamo che in passato, per ovviare al dislivello di centotrenta metri tra il gruppo di case di Caisole e il porticciolo, veniva utilizzata una teleferica, presente in alcune fotografie ritrovate presso “Beli Visitor Centre”.
Conclusione
Le ricerche documentali per arrivare ad un’identità certa dell’imbarcazione sono ancora in corso, mentre lo studio del relitto sarà oggetto dei prossimo IANTD Expeditions Training in programma presso il Diving Base Beli. Hanno partecipato alla formazione in veste di allievi Andrea Arabi, Matteo Caccaro, Paolo Emiliani, Francesco Grassi, Alessandro Pellizzaro, Giorgia Santinello, Evelina Toniolo, mentre lo staff istruttori e addetti alla logistica era costituito da Cesare Balzi, Alessio De Marchi, Wladi Barbara De Marchi, Mauro Pazzi (fotografo) e Barbara Tolio (gas blender). Il debriefing finale ha visto la partecipazione di Carla Binelli e Fabio Ruberti, Presidente IANTD Srl e fondatore del marchio IANTD Expeditions. Le immersioni di alto spessore addestrativo e valore culturale hanno entusiasmato tutti gli allievi riscuotendone grande soddisfazione.
Articolo pubblicato su ScubaZone 59
Foto subacquee di Mauro Pazzi