Autore: Ivan Lucherini
I relitti di Yassi Ada
Yassi Ada, nelle vicinanze di Bodrum, è una piccolissima isola, pressoché uno scoglio, posta fra la costa turca e l’isola greca Pserimos, in quel mare Egeo, testimone di tanta parte della nostra storia antica. Quella zona di Mediterraneo è stata nei secoli sempre temuta dai navigatori e dai marinai che vi si trovavano a passare, per le caratteristiche di pericolosità, che quei tratti di mare presentano ancora adesso. I numerosi relitti, che giacciono in quei fondali, sono i muti testimoni di quegli antichi naufragi. Si deve a Peter Throckmorton e alle sue prospezioni di cinquanta anni fa, la scoperta di numerosi di essi. La bibliografia è particolarmente ricca di notizie sui relitti di Yassi Ada poiché per la prima volta, si effettuarono degli interventi archeologici subacquei, sperimentando tecniche innovative, con un rigore scientifico mai adottato fino ad allora, almeno nel lavoro archeologico sottomarino. Una equipe, proveniente dagli Stati Uniti, esattamente dall’Università della Pennsylvania, composta da membri dell’University Museum, guidati da George Bass, iniziò le indagini sui resti di un primo scafo, giacenti a circa 35 metri di profondità. Le indagini si effettuarono in tre successive campagne estive nei primi anni 60 dello scorso secolo e riportarono, sotto i riflettori della storia, le vicende di una nave bizantina con un carico di circa 900 anfore vinarie.
Fonte: Institute of Nautical Archaeology
Fra i corredi di bordo, e tutto il materiale appartenente all’equipaggio, George Bass ritrovò alcune monete d’oro e di bronzo che gli consentirono di datare il naufragio al 625 d.C., quando sul trono di Costantinopoli sedeva l’imperatore Eraclio (610-641). Come detto in precedenza, le iniziali prospezioni e il successivo scavo furono scientificamente avanzatissimi e per la prima volta, un indagine archeologica sottomarina, vide l’impiego del rilievo stereofotogrammetrico. L’indagine completa, del relitto bizantino, richiese 1244 ore di lavoro, svolto da un team di circa 10/15 subacquei, nel corso di 3533 immersioni individuali, svolte in un periodo di tempo di circa sette mesi, ricompresi fra il 1961 e il 1964. Lo studio successivo dei residui dello scafo naufragato, consentì a Frederich H. Van Doorninck di stabilire le dimensioni dell’imbarcazione, corrispondenti a una lunghezza totale di 18,60 metri per una larghezza di 5,10 metri. Di forma slanciata, questo mercantile poteva vantare, un carico utile, di circa 40 tonnellate. La parte poppiera dell’imbarcazione era occupata da una piccola cabina, dotata di una copertura in tegole. All’interno, una piccola cucina, strutturata con un piano, rivestito di mattoni refrattari.
A solo una decina di metri dal primo relitto, il team di George Bass indagò negli anni 1964/69 lo scafo di un secondo naufragio. Si trattava di una nave di età tardoromana. Anche in questo caso si effettuarono indagini con tecnologie mai provate in precedenza. Innanzi tutto, fu utilizzato un piccolo sottomarino, denominato Hasherah, che alla profondità di circa 40 metri, effettuò il rilievo stereofotogrammetrico. Successivamente durante la campagna di scavo, condotta dal 1967 al 1969 si utilizzarono una camera di decompressione ed una cabina telefonica subacquea, che consentirono di innalzare, decisamente verso l’alto, i margini sulla sicurezza degli operatori subacquei impiegati in quelle operazioni. Occorre sottolineare, che a quel tempo, per uno scavo a quelle profondità, si effettuavano anche due immersioni al giorno, per ogni operatore, di circa 30 minuti l’una, con soste decompressive di oltre un ora per ogni immersione. I tempi delle decompressioni accelerate e dei circuiti chiusi con pressione parziale dell’ossigeno fissata, erano ancora nel limbo delle conoscenze subacquee e i gruppi ara caricati ad aria, erano l’unico metodo adottato. Il carico del relitto indagato consisteva in circa 1.100 anfore di tre tipi diversi. Il corredo di bordo comprendeva lucerne, pignatte, vasi, tazze e vetri che consentirono di datare il relitto alla seconda metà del IV secolo d.C. L’importanza di quelle prime esperienze di scavo stratigrafico subacqueo, di rilievo stereofotogrammetrico, l’utilizzo di camere di decompressione e di cabine telefoniche asciutte, posero le basi per dimostrare, che l’applicazione di un rigoroso metodo scientifico, anche in condizioni estreme come quelle sottomarine, fosse possibile agli archeologi subacquei, rendendo quindi più attenta e precisa, l’analisi a tavolino, dei risultati conseguiti sul campo, a beneficio dell’obiettivo di noi tutti: una corretta interpretazione e ricostruzione storica, attraverso il ritrovamento, il riordino, l’analisi di un singolo frammento, di questa storia del Mediterraneo.
BIBLIOGRAFIA
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