Il mare che riempie il mio sguardo è, per una volta, di un meraviglioso blu intenso e non, come al solito, burrascoso e grigio metallo; in più oggi è una bellissima giornata di sole, con addirittura 26 gradi. Non che la cosa mi dispiaccia, ovviamente: siamo nel bel mezzo del mese di agosto, e sono stanco di vento e di rapidi assaggi di sole inframmezzati da freddi scrosci di pioggia.
In ogni caso sono contento di indossare un intimo tecnico sotto la mia fida muta stagna di neoprene, anche se su questo gommone BWA sono l’unico a farlo. Starò invecchiando? La cosa è probabile, ma con l’acqua a 16/17 gradi, secondo me la stagna è proprio l’ideale, anche se i subacquei bretoni seduti intorno a me viaggiano decisamente più leggeri.
Ho organizzato questo viaggio in Bretagna mosso dalla mia passione per i relitti, e devo dire che non tornerò decisamente deluso a casa; le acque che circondano la penisola bretone sono infatti piene di navi affondate a causa delle tempeste o delle innumerevoli vicende belliche consumate lungo le sue coste. I diving locali infatti, quando chiedi informazioni sulle immersioni, ti rispondono subito, quasi scusandosi: noi però domani andiamo a vedere “une epave”, ti va bene lo stesso? …Figurati, sono qui apposta…
Oltre alla subacquea, il territorio offre sensazioni forti, sempre legate al mare: paesaggi mozzafiato, fari, scogliere, piccoli paesi meravigliosi con alle spalle una campagna verdissima. La gente è schietta ed un po’ chiusa, come accade di solito in montagna, ed allo stesso modo si apre accogliendoti con sincera amicizia quando comincia a conoscerti. Il cibo, in cui l’elemento marino è predominante, è ottimo e, stranamente per la Francia, anche offerto ad un prezzo modico.
Per le immersioni, a volte vivi qualche difficoltà di accettazione nei diving center, che mal digeriscono brevetti di didattiche americane e (!) la mancata iscrizione alla Federazione Francese di Immersioni, cosa non facile per un italiano. Testardo come sono di natura, al mio ritorno avvierò una conversazione via mail con la FFESSM che durerà mesi, e che sarà improntata alle caratteristiche del teatro dell’assurdo, nello stile di Ionesco:
Salve sono un divemaster PADI e subacqueo tecnico trimix, posso fare immersioni in Francia?
Certo, senza problemi, i suoi brevetti sono riconosciuti in tutto il mondo.
Allora perché ad agosto alcuni “centres de plongée” in Bretagna mi hanno fatto storie, adducendo come motivazione la mia mancata iscrizione alla FFESSM?
Perché lei, appunto non è iscritto alla FFESSM.
Ok, perfetto, mi voglio iscrivere, come faccio?
Ah, no, lei è italiano, non può iscriversi alla FFESSM.
Ok, ma allora, il mio brevetto di Divemaster non è valido?
Certo che è valido, ma i diving vogliono l’iscrizione alla FFESSM.
Perfetto, come faccio?
Ah, ma lei è italiano, la FFESSM è la federazione dei subacquei francesi.
E così via…
Le volte (e sono la maggioranza) in cui però sono riuscito a superare questa difficoltà, ho trovato strutture ottime, guide molto preparate e standard di sicurezza assai elevati, a salvaguardia di subacquei che effettuano immersioni mai facili.
Percorrendo le coste della Bretagna in direzione Nord ed Est, sono giunto nella città di Saint Malo, il cui nome deriva dal monaco gallese Mac Low, giunto qui nel VI secolo per evangelizzare le popolazioni locali.
Nei secoli successivi la città è diventata famosa per la sua marineria ed il sostegno dei reali di Francia che le accordavano patenti di corsa, utilizzando le quali i pirati (pardon, corsari autorizzati) maluini facevano scorrerie contro gli inglesi, gli olandesi e gli spagnoli nei mari di tutto il mondo. Base militare tedesca durante l’ultimo conflitto, fu completamente distrutta dagli aerei americani, ma dopo la liberazione venne pazientemente ricostruita; passeggiando nelle strade dei quartieri centrali, quelli “Intra-Muros”, sembra ora infatti di attraversare una splendida città di mare settecentesca.
Qui ho trovato un ottimo diving, il Saint Malo Plongée Emeraude, il cui presidente Emmanuel Feige è anche uno storico e studioso appassionato dei relitti presenti nell’area. Il programma delle immersioni, effettuate tra marzo e novembre, viene deciso durante l’inverno (!) ed è strettamente legato alle maree, che sono le più forti d’Europa. Viene stampato il programma che indica la zona, l’orario di ritrovo, l’ora esatta dell’immersione e l’ampiezza della marea. Il problema principale è infatti causato dalle correnti fortissime che si creano quando la marea si alza o si abbassa: le immersioni devono quindi obbligatoriamente essere svolte durante il periodo di cavo di marea, quando sta per cambiare direzione.
A parte questo, occorre tenere conto della bassa temperatura dell’acqua, di un bel colore verdastro scuro, e della visibilità normalmente tra i 4 e gli 8 metri: diciamo che le esperienza lacustri aiutano.
Oggi siamo partiti da Saint Malo e stiamo navigando in direzione nord ovest, verso il relitto del pattugliatore e dragamine tedesco M4600, affondato durante la Seconda Guerra Mondiale di fronte alla cittadina di St Lunaire, vicino agli scogli chiamati Buharats.
Le truppe del III° Reich entrarono vittoriose nella regione di Saint Malo il 20 giugno 1940; la sconfitta della Francia e la disfatta di Dunkirk costringeranno gli inglesi ad una guerra difensiva che si protrarrà per almeno 3 anni, durante i quali i tedeschi saranno i padroni del tratto di mare compreso tra Brest e Cherbourg, lungo il quale si trovano le Isole del Canale, strappate ala Corona Britannica. I tedeschi organizzarono quindi per i rifornimenti una rete di convogli scortati da naviglio di piccolo cabotaggio, armato talvolta da un cannone da 88 mm, ma più spesso solo con cannoni antiaerei da 37 mm e da cannoni-mitragliatrici da 20 mm.
Le navi scorta, un insieme raccogliticcio di imbarcazioni recuperate nelle zone conquistate, vennero organizzate in flottiglie di pattugliatori e dragamine; fra queste la 46esima, costituita l’08 dicembre 1941 con base a Saint Malo e formata da 25 eterogenei battelli, fra i quali l’M4600: di questi ne sopravviveranno alla guerra solo 7, rifugiandosi nelle Isole del Canale.
L’M4600 venne costruito nel 1925 nei cantieri Smith’s Dock Co. Ltd (South bank) di Middlesbrough, nell’Inghilterra nord orientale, per conto della compagnia Neale & West Ltd di Cardiff, che lo battezzerà FV Fuji. Nel 1936 venne poi venduto alla De Marezaten – Polderman Johannes di Ijmuiden in Olanda e ribattezzato Marie van Hattem (IJM-1), dove rimase fino alla conquista da parte delle truppe del III° Reich che lo requisirono e lo affidarono alla Kriegsmarine.
Il battello era un grosso peschereccio di 39,6 metri x 7,3 di larghezza, di 297 tonnellate di stazza lorda, mosso da un motore a vapore a tre cilindri a triplice espansione, che gli conferiva una velocità massima di 10 nodi.
Al comando del tenente P. Hubner, il 29 marzo 1944 l’M4600 stava svolgendo una missione di scorta, ma la “marea” bellica era cambiata: gli alleati erano diventati molto più attivi sulle coste francesi e stavano preparando l’invasione del continente. Improvvisamente l’esplosione: il battello navigando aveva innescato una mina magnetica, normalmente rilasciate da un sottomarino o da aerei appositamente modificati. Le altre due navi di scorta, l’M4601 e l’M4606 cercarono di trainarlo verso la costa per farlo arenare, ma il cavo non resse ed il Marie van Hattem venne abbandonato al suo destino. Miracolosamente, non ci fu nessuna perdita di vite umane.
Ritrovato negli anni ’80, le immersioni ricreative vennero interdette dalle autorità militari tra il 1988 ed il 2012, salvo permessi particolari, a causa della presenza di esplosivi, e quindi fu “lavorato” abbondantemente dai subacquei della Marina.
Considerando l’esplosione, l’opera di bonifica e le correnti spesso violente nella zona, il relitto è ancora in discrete condizioni: la prua è praticamente scomparsa, tranne un cannone da 20 mm, ma rimane in ottime condizioni la zona poppiera, a patire dalla caldaia fino all’elica. Sono ancora presenti delle munizioni, dalle quali è meglio rimanere lontani, ed è considerato dai subacquei locali come uno dei relitti con la migliore visibilità (si fa per dire…).
Sceso lungo la sagola, arrivo sul fondo a 25 metri di profondità e mi diverto a fotografare e filmare i numerosi abitanti del relitto: grossi astici che sembrano arrabbiatissimi quando li illumino con le lampade, enormi granchi e granseole, nuvole di Tacaud, i merluzzetti striati di cui è pieno l’Atlantico a queste latitudini.
Ad un certo momento vedo con la coda dell’occhio un subacqueo che mi sorpassa veloce sulla sinistra: mi giro per capire il motivo di tanta fretta, ma mi accorgo di essere in errore, perché non si tratta di uno dei miei compagni, ma di un grongo gigante lungo oltre due metri e mezzo che si infila in un anfratto del relitto dal quale poi mi guarda curioso. Mi avvicino per fotografarlo un po’ intimorito, e lui rimane lì, a fissarmi senza troppi problemi, permettendomi di farmi un’idea delle sue dimensioni: circa 20 centimetri di diametro, un vero mostro marino!
Quando risalgo sono molto contento: la Bretagna continua ad offrirmi emozioni e belle sensazioni.
A questo proposito, mentre sono fermo lungo la sagola per una decina di minuti di decompressione, sento che mi sta venendo un po’ di appetito: in effetti la cucina di pesce bretone, dalle moules frites (le cozze alla marinara servite in pentola con le patatine fritte), alle ostriche, ai crostacei, alle zuppe di pesce è veramente deliziosa.