Autore: Andrea Lazzeri
RELITTI: LA BARCA DI LEGNO “TURCA” A LAMPEDUSA.
Lampedusa, 9 Settembre 2007, le vacanze volgono al termine e per “premio” gli amici Gianfranco ed Antonio del Tortuga Diving di Lampedusa, ci propongono un’immersione piuttosto particolare, andando a visitare la cosiddetta barca “turca”, fuori dal porto dell’isola un paio di miglia. In realtà abbiamo appurato che la barca non è affatto turca, ma presumibilmente viste le caratteristiche costruttive, tunisina, colata a picco a seguito di un incendio; la definizione “turca” deriva dal fatto che per i lampedusani tutto ciò che è forestiero è detto turco….In realtà, come ci conferma anche Pino il capitano della barca, il relitto dovrebbe appartenere ad un natante tunisino che spintosi a ridosso sotto le coste di Lampedusa per il mare grosso, ha sofferto di un incendio che l’ha fatta inabissare, lasciando in piedi solo lo scheletro. Giunti sul luogo, una mira GPS, altrimenti irreperibile, in mezzo al mare, gettato il pedagno e l’ancora, iniziamo la vestizione per l’ingresso in acqua. Per necessità logistiche, pianifichiamo l’immersione in aria, con un runtime di 11-12 minuti, sufficienti a dare un’occhiata e scattare un po’ di foto, visto che siamo muniti solo di bombole da 15 litri caricate, come detto ad aria.
Appena in acqua iniziamo a scendere nel blu lungo il pedagno, sino a raggiungere la ragguardevole profondità pianificata di 51 metri; già dai 40 si comincia ad intravedere il relitto obbiettivo della nostra immersione, uno scheletro di barca da pesca in legno, avvolta da una quantità industriale di pesce.
In particolare si può immaginare che l’incendio avvenuto a bordo del relitto, si sia sprigionato nella parte calpestabile, al centro dove si trovava l’equipaggio, e dopo aver bruciato le tavole di rivestimento, abbia fatto si che la entrasse acqua a bordo causando l’affondamento e salvando dal fuoco allo stesso tempo la struttura in legno costituente l’ossatura. Certo poi la permanenza in acqua di mare ha ultimato il lavoro consumando dapprima e più in fretta le tavole di spessore inferiore lasciando più integro lo scheletro. Vista da vicino la barca risulta essere di circa una ventina di metri di lunghezza, e lo scheletro è costituito da un intreccio di quadri di legno di circa 10 cm x 10 cm, e si trova adagiata su un fondale sabbioso a 51 metri di profondità in perfetto assetto di navigazione, lasciando immaginare che si sia inabissata continuando a mantenere la normale posizione di navigazione. La parte della prua, specialmente sul lato di dritta risulta la parte meno confusa e meglio conservata, ed è anche la parte dove si ammassavano i saraghi, le occhiate gli anthias le donzelle e tutto il pesce detto di “mangianza” che si aggirava li intorno.
Ci siamo poi spostati verso il castello di prua per ammirarlo anche dal lato opposto e risulta anche li ben conservato e facilmente individuabile, e ad’una analisi del legno, il materiale risulta ancora in ottime condizioni, robusto e ben mantenuto, segno che nonostante i dieci anni dall’affondamento (dato fornito da Pino….. n.d.a.), ancora la salsedine non ha compiuto il proprio compito.
Vista la ristrettezza del tempo a noi concesso per la “visita” dello scafo, da prua ci siamo diretti subito verso la poppa, dove abbiamo potuto accertare che la situazione qui è un po’ più confusa, infatti le strutture risultano un po’ più ammassate e accatastate, pur lasciando sempre comprendere la forma della barca; anche il legno sembra un po’ più indebolito e malridotto…….
Tornando indietro per raggiungere il nostro pedagno, e tornare verso la superficie abbiamo potuto appurare che nella parte centrale della barca c’è ancora il motore, posto leggermente più accostato alla murata di sinistra in posizione rialzata, tipica fattura delle imbarcazioni tunisine; in particolare nonostante le varie incrostazioni è ancora ben visibile il volano e il coperchio dell’albero motore, lì in bella vista.
A questo punto il tempo a nostra disposizione è davvero esaurito e dobbiamo tassativamente iniziare a risalire fermandoci a 6 metri ed a 3 metri per le soste deco che i computer ci impongono, che fortunatamente saranno poi di breve durata, anche perché dover aspettare nel blu senza niente da vedere non è proprio il massimo della vita.
Comunque, come sempre, durante quei minuti di sosta mentalmente faccio il bilancio di questa immersione e sono oltre che molto soddisfatto, anche fermamente convinto che questa sia stata la migliore immersione di tutta la vacanza e che però è anche l’ultima visto che siamo costretti a lasciare questo paradiso. Va beh, pazienza sarà per la prossima volta, magari con un 18 litri, e con un una bombola deco per abbreviare i tempi e magari dedicare alla barca “turca” qualche cosa in più in termini di tempo, dato che di sicuro merita qualche minuto in più anche per poter riuscire a scattare qualche foto di qualità migliore. E’ stata di sicura una esperienza bellissima e molto emozionante: Un sentito ringraziamento a Pino, il comandante, ed alle anime del Tortuga Diving Antonio e Gianfranco.
Andrea LAZZERI
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