Molte attrezzature per l’immersione tecnica ci appaiono diverse da quelle usate nell’immersione ricreativa, ma i principi di funzionamento sono gli stessi.
L’unico è il rebreather a rovesciare molte regole di base, togliendo alcuni limiti, introducendo nuove complicazioni.
Di base il rebreather (per gli amici reb) ricicla i gas espirati, eliminando l’anidride carbonica prodotta dalla respirazione del sub. Il vantaggio principale è una maggiore efficienza nell’uso dei gas. Infatti quando respiriamo aria in superficie utilizziamo circa il 4% dell’ossigeno presente per il nostro metabolismo, e espiriamo il resto, assieme all’azoto. In altre parole il 96% del gas utile per la respirazione se ne va con le bolle.
In profondità è ancora peggio, perché con la pressione ogni respiro contiene aria più densa, come se il volume fosse maggiore. A 40 m respiriamo 5 volte il volume equivalente (paragonato alla superficie), a 90 m 10 volte. Ad ogni espirazione il gas prezioso se ne va in bolle: sprechiamo 10 volte più O2. Questo è un motivo per cui nell’immersione a circuito aperto la pianificazione e il ritmo respiratorio sono fattori critici.
Il reb aggira il problema riproponendoci più volte il gas espirato. Gli sprechi sono ridotti e il sub ha bisogno di una quantità assoluta di gas minore. Il suo funzionamento è basato sul recupero del gas espirato, cui viene aggiunta ogni volta solo la piccola frazione di ossigeno effettivamente utilizzata.
Con almeno 3 benefici per il sub tecnico.
Si reduce il bisogno di portare con sé una grande riserva di gas. La quantità di ossigeno di cui il nostro corpo necessita cambia poco con la profondità, di conseguenza l’ O2 durerà lo stesso tempo, a 20 m come a 100 m. L’ O2 espirato è riciclato. Insomma, invece di un bibo da 20+20 l, due bombole da 3 l saranno sufficienti.
Mentre nell’immersione a circuito aperto più andiamo profondi e più dobbiamo aumentare il volume delle bombole, con il rebreather il volume del gas non è più un fattore limitante. L’esaurimento del gas non è il problema principale, i fattori critici diventano la durata della decompressione, la saturazione del filtro che assorbe l’anidride carbonica, la tossicità dell’ossigeno.
Costo con il reb
Uno dei fattori principali che può incidere nella decisione di passare al reb o no è il costo. Con due aspetti contrastanti, il costo di acquisto e manutenzione dell’apparecchio, e il costo di ogni immersione.
Consideriamo che caricare un bibo a trimix può costare da 35 € per una miscela debole, da usare a 40 m, fino a oltre 100 € per una miscela buona per immersioni attorno ai 100 m.
Le piccole bombole del reb si ricaricano a un prezzo molto minore. In altre parole il reb ci fa risparmiare sulle ricariche, però dobbiamo considerare il costo iniziale, che secondo il modello può variare tra 2.000 e 15.000 €. Si può risparmiare comprando di seconda mano.
A questo dobbiamo aggiungere il corso (un altro migliaio di euro), e qualche attrezzatura extra.
Ovviamente ci vuole un sacco di immersioni in trimix per ammortizzare l’esborso iniziale, cosa che la maggior parte dei sub non fa. Il rebreather può diventare conveniente per chi fa oltre 20 immersioni in trimix all’anno. Le immersioni ricreative possono anche costare di più col rebreather. Infatti mentre a circuito aperto pagheresti la sola ricarica di aria, col rebreather anche per un’immersione superficiale hai bisogno di ossigeno puro in una bombola e del filtro per l’anidride carbonica. Ogni anno bisogna cambiare i 3 sensori per l’O2, la batteria va controllata. Insomma, un’immersione ricreativa costa di più a un sub col rebreather.
Logistica più semplice con il reb
La logistica relativa ai gas respiratori risulta notevolmente semplificata dal rebreather nelle spedizioni lunghe. Chi va a circuito aperto dovrà prevedere un bibo 12+12 l, 15+15 l o anche 18+18 l per ogni immersione in trimix. A questo dovrà aggiungere fino a 4 diverse bombole-stage per le miscele decompressive, il che richiede molto elio e ossigeno per ogni giornata, ricariche, spese, consumo di tempo e di lavoro.
La logistica delle ricariche è molto semplificata dall’uso del rebreather. Ovviamente i volumi di gas sono molto ridotti, devo ricaricare una sola bombola da 3 l, diventa facile portare con sé tutto il gas che serve per una settimana di immersioni. Si eliminano gli sprechi, la perdita di elio e ossigeno con le bolle, e la strada da fare per ricaricare le bombole. E pensate se nella zona non ci sono stazioni di ricarica…
Naturalmente sto assumendo che il rebreather non dia problemi. Solo per prevenire problemi col rebreather dobbiamo portare in acqua una bombola di riserva che possiamo usare iniziando dalla massima profondità programmata e che possa arrivare in superficie con una decompressione completa. Il sub con rebreather non userà la bombola di rispetto che in caso di emergenza, ma comunque deve portarla con sé. Se non succedono imprevisti non dovrà ricaricarla.
Decompressione con il reb
Col rebreather la necessità di soste di decompressione è ridotta se facciamo il paragone con la stessa immersione a circuito aperto.
Un sub che usi un bibo deve caricare una bombola in più per la deco con una percentuale di ossigeno più alta, in modo da ridurre la quantità di gas inerte assorbita e da permettere il rilascio veloce del gas inerte assorbito. Però entrambe le scelte (miscela principale e miscela per la deco) saranno il risultato di un compromesso. Il gas principale dovrà essere più ricco possibile, ma con un piccolo margine nel caso l’immersione sia un poco più profonda di quanto pianificato. Ma durante il tempo trascorso a profondità intermedie la miscela non sarà quella ottimale. E allo stesso modo la miscela decompressiva sarà la migliore possibile solo alla profondità prevista per il cambio. Prima del cambio il sub avrebbe potuto respirare una miscela più povera di quella del bibo, mentre durante le ultime soste una più ricca avrebbe permesso una desaturazione più veloce.
Il reb non ha questi problemi, perché aggiusta costantemente la miscela erogata in base alla profondità. Il rebreather (o il sub nel caso di unità manuali) man mano che si sale aggiunge ossigeno, in modo che ad ogni profondità la miscela contiene il massimo di O2, il che accelera la desaturazione e riduce la deco.
Per avere lo stesso risultato il sub a circuito aperto dovrebbe cambiare miscela a ogni metro in risalita. Per questa ragione il rebreather a volte è soprannominato generatore di miscele.
Insomma, il reb ha molti punti a favore rispetto al circuito aperto. Ma ha anche costi addizionali, rischi e complicazioni: non dobbiamo pensarlo come la bacchetta magica che risolve tutti i problemi dell’immersione tecnica profonda.
I contro del reb.
Oltre al costo, già esaminato, ci sono rischi che sono conseguenza dell’uso di un rebreather.
Tutte le volte che espiriamo, oltre all’ossigeno non usato e al gas inerte, emettiamo anidride carbonica (CO2). Se il filtro non rimuove l’anidride carbonica, questa si accumula e può diventare tossica. L’avvelenamento da CO2 è uno dei rischi maggiori. La corretta preparazione del filtro è cruciale, perché in un filtro preparato male la CO2 scorre attraverso senza essere rimossa e si accumula. I sintomi di avvelenamento da CO2 includono mal di testa, difficoltà di concentrazione, svenimento e morte. Il sub colpito può rimanere inconsapevole o incapace a rispondere.
L’esaurimento del materiale filtrante è un’altra causa di avvelenamento, è vitale controllarlo e sostituirlo entro i tempi suggeriti.
Se il sub ha un minimo dubbio di poter incorrere in avvelenamento da CO2 dovrebbe subito passare a una sorgente alternativa di gas (ecco perché i sub con rebreather spesso portano con sé una bombola di riserva a circuito aperto). Molti rebreathers hanno una Bail Out Valve (BOV – Valvola di Salvataggio) che permette di cambiare da circuito chiuso a circuito aperto spostando una leva.
Ovviamente questo esclude il riciclo ma apre il problema di esaurire una limitata riserva di gas: perciò un reb non è la soluzione finale per l’immersione tecnica profonda. Il sub dovrebbe portare con sé abbastanza gas da poter completare la deco, in altre parole la stessa quantità di gas che un sub a circuito aperto porta con sé.
L’alternativa è affidarsi al cosiddetto approccio dell’alpinista, che assume che ogni problema possa essere prevenuto con una manutenzione accurata e gestito con l’unità reb, senza ricorrere al circuito aperto.
L’altro grosso problema può essere dato dalla pressione dell’ossigeno. La pressione parziale dell’O2 viene mantenuta sempre entro i valori corretti per via elettronica o manuale, anche se in ogni caso è sempre responsabilità del sub controllarla. Tutti i reb infatti hanno uno strumento che mostra la pressione parziale dell’O2 nella miscela respirata in ogni momento, detto HUD (Head Up Display). Durante l’immersione la pp O2 deve oscillare tra 1.0 e 1.4 bar. Al di sopra di questo intervallo l’ossigeno diventa tossico, al di sotto invece si può arrivare all’ipossia e allo svenimento (blackout).
Insomma, un reb utilizza attrezzature complicate, che richiedono cura e precisione in ogni fase. La preparazione richiede più tempo rispetto alla preparazione di una immersione a circuito aperto.
Un problema può insorgere prima dell’immersione (che viene abortita) o durante (caso più serio). Un corso per rebreather copre tutta questa casistica in dettaglio, ma uno dei pericoli maggiori è l’eccesso di sicurezza. Man mano che i sub crescono in esperienza, iniziano a prendere scorciatoie o a trascurare passaggi essenziali per abbreviare le procedure. Tipicamente l’eccesso di sicurezza colpisce i sub che hanno almeno 50 ore di esperienza.
Ma io ne voglio uno
Anche se non mi farà risparmiare denaro né tempo, mi restano altre buone ragioni per prendere un reb. Intanto l’immersione è un hobby, non devo giustificare tutto sulla base dei costi. L’opzione meno costosa sarebbe non immergersi, cosa che non siamo disposti a considerare. Molti spendono soldi per la moto, il cavallo, l’home cinema, la modellistica: perché io non dovrei spenderli in un reb, se lo voglio? In fondo è una sfida, è imparare qualcosa di nuovo.
E tu vuoi passare al reb?
Ci sono pro e contro, o meglio, ci sono sub più adatti di altri per passare al rebreather.
Il reb è complicato: anche se usarlo non è difficile, la manutenzione che richiede è molto maggiore di un circuito aperto.
Il reb non è per chi butta l’attrezzatura nel baule della macchina e ce la lascia fino all’immersione successiva, a meno che questo riesca a responsabilizzarsi nella manutenzione.
Secondo me sono più adatti a possederne uno quei sub che hanno piacere a tenere pulita e a fare una manutenzione regolare della loro attrezzatura. Quelli che traggono piacere dalla manutenzione quasi come dall’immersione, che vedono la cura dell’attrezzatura come una parte del loro hobby. Ecco i tipi da reb.
Il reb richiede disciplina anche durante l’immersione. Ci vuole l’atteggiamento mentale giusto per verificare ogni volta che l’unità è montata correttamente, e che tutti i controlli siano eseguiti. La maggior parte degli incidenti capita a chi non segue le procedure. Incluso non immergersi se si nota un piccolo problema. Ma qui subentra spesso l’eccesso di sicurezza, e molti si immergono lo stesso sapendo che il loro reb ha un problema, confidando nel fatto che lo conoscono e sanno come comportarsi. Ed ecco che un problema imprevisto che si manifesta in immersione, può sommarsi al primo e renderlo irrisolvibile. Ci vuole disciplina per rinunciare a un’immersione, ma ricordiamo sempre che la troppa sicurezza è alla base degli incidenti più gravi.
In immersione il reb va continuamente monitorato. La regola d’oro è: “conoscere sempre la propria pressione parziale”. Non importa se siamo a 10 o a 100 m, il livello di controllo deve essere lo stesso, con il reb non esiste “prendiamo la bombola, andiamo solo a 10 m”.
Il sub con il rebreather deve conoscere e dominare una serie di abilità che vanno oltre quelle della subacquea a circuito aperto, alcune collegate a operazioni di routine e altre a eventi di emergenza. Bisogna fare pratica per mantenerle. Alcune, come il controllo del galleggiamento, vanno reimparate daccapo, il che può essere frustrante ma è necessario. E poi vanno messe in pratica con regolarità.
Alla fine è per queste ragioni che non tutti i sub tecnici sono passati al reb. Per alcuni è una via essenziale per progredire, per altri si porta dietro svantaggi troppo pesanti.
Per profondità comprese tra 30 e 80 m l’immersione tecnica a circuito aperto rimane l’opzione più comoda. Oltre gli 80 m entriamo nel campo in cui il reb diventa la prima scelta. Ci sono motivi personali per scegliere il circuito aperto o chiuso, ma prima devi decidere se hai buone ragioni per usare il reb e poi se hai l’atteggiamento mentale giusto.
Articolo di Mark Powell, pubblicato su Scubazone n. 35 – Traduzione di Massimo Boyer
E vuoi mettere poter fare il figo e atteggiarsi ad usare il reb? Non è vero? Certo, certo 🙂
Articolo interessante.
Avrei integrato inserendo almeno le differenze fra i 2 rebreather più usati:SCR e CCR