Nel Cuore dell’Haven è un documentario realizzato per la ricorrenza del trentesimo anno dell’affondamento. Il video è stato poi presentato in anteprima all’EUDI del 2022.
Con questo lavoro sono state poste le basi e gli sviluppi per la creazione di un “team” molto affiatato, affrontando problemi come le distanze logistiche, le difficoltà di una pandemia, aspetti meramente economici e la crescita tecnologica video che ha generato investimenti importanti.
Su questo relitto è stato scritto e detto di tutto. Cercare di fare un lavoro che potesse restare nel tempo ed avere un senso compiuto ha stimolato non poco la nostra fantasia. Grazie alla preziosa collaborazione con l’Ingegnere Navale Stefano Gibelli abbiamo acquisito importanti informazioni e curiosità su questo gigante del mare e in particolare sul suo enorme motore.
Quando si parla di relitti (con profondità medie che variano dai 40 agli 80 metri), di penetrazioni e di scarsa visibilità, è difficile trovare un gruppo con diverse capacità ad alto livello che collabori, se non per grandi progetti finanziati.
Come guardare il documentario: nel cuore dell’Haven
Il documentario è disponibile su Youtube:
Il team
Ed è così che Emanuele Loglisci (Lele) e Davide Ciampalini (Ciampa), hanno iniziato a frequentarsi e soprattutto a conoscersi. Entrambi provenienti da didattiche filo DIR, entrambi con una buona esperienza nelle immersioni a tre cifre. Emanuele, per varie ragioni, con maggiore esperienza sull’Haven, Davide con un’immensa conoscenza delle tecniche decompressive. Informazioni che saranno la chiave di volta delle lunghe immersioni necessarie per le riprese e le esplorazioni in luoghi mai documentati. Emanuele proveniva da una brutta esperienza decompressiva che gli aveva causato un’embolia al sistema linfatico ed un’estrema sensibilità alle alte pressioni di ossigeno. Passando al sistema decompressivo memonico, utilizzato da Davide, le “deco” vanno meglio. Sono poi stati coinvolti Matteo Ratto e Massimo Cresti. Quest’ultimo, da toscanaccio DOC, ha la capacità di farti sorridere sempre e ha dalla sua la calma e la serenità.
Insomma, è proprio il bagaglio umano e culturale di ciascuno fa sì che “qualsiasi cosa si faccia, la si fa con il sorriso, sereni, consapevoli della situazione”.
Capitolo a sé lo merita Matteo, subacqueo bresciano con indubbia fama di “grottarolo”. Il primo tuffo insieme è stato su un U455, all’andata silenzioso e sornione, al ritorno, dopo 35 minuti di fondo e qualche ora di tuffo, sorridente e compiaciuto. Matteo rappresenta a tutti gli effetti la zona rossa del contagiri. In tuffi importanti, è colui che per carattere, più di altri, è più attento al contesto fisiologico e temporale.
Primo lavoro
Il primo obbiettivo sull’Haven è stato quello di trovare una via che, dalla parte inferiore del motore, portasse internamente al ponte di comando senza mai uscire. In principio si pensava che le aperture nel pavimento del piano più basso della sala macchine fossero le sentine ma, in realtà, dai disegni e da uno studio più accurato, si è poi compreso che sotto il motore ci fossero dei grossi serbatoi contenenti vari liquidi di servizio. È stato questo il primo passo che ha permesso ulteriori esplorazioni e aperto nuove strade.
Nel 2019, infatti, una manciata di subacquei si muoveva nei corridoi delle bielle, ma dalla parte opposta, verso le pompe Shinko, situate a prua del motore. Non era una zona molto frequentata. Durante la prima immersione in quella zona, il gruppo ha dovuto “rillare”per rientrare sicuro, la “scoperta” delle grosse pompe ha dato grande soddisfazione. Il passaggio che ci mancava nel 2019 era quello interno, dalla sala macchine al castello. Su indicazioni di un nostro amico, siamo riusciti a trovare la scaletta che, di fianco all’officina elettrica, conduceva al piano cucine. Nella realtà esiste un’altra salita, quasi speculare, sul lato opposto della sala macchine. È situata di fianco all’ascensore ma la porta è chiusa al piano infermeria.
Vi sono poi delle scale a singolo rampante che salgono per due piani. Generalmente usiamo quelle di dritta poiché quelle di babordo hanno dei ferri malmessi. Uno dei passaggi più divertenti è la scala collassata. Si tratta di una scala a rampe e pianerottoli con rampe ammassate su un unico piano. Il passaggio non è semplice soprattutto quando si è carichi di bombole di bailout e macchine fotografiche, ma con il tempo abbiamo memorizzato la sequenza dei movimenti e riusciamo a farla agevolmente. Alla fine di questa, lateralmente, c’è un’altra scala ad un rampate che conduce al ponte di comando. Finalmente si intravede l’acqua libera.
Ma, si sa, l’uomo è sempre in evoluzione e come si dice “l’appetito vien mangiando”.
Di fronte ai filmati che il team aveva raccolto, nascevano alcune perplessità. Da qui la voglia di fare ancora meglio.
La svolta
In un incontro, Davide, propose di coinvolgere un suo amico ed allievo, Davide Briccolani alias “ il Brik”, un romagnolo che i video le fa per mestiere.
Senza tanti giri di parole, abbiamo iniziato a raccogliere del materiale, partendo dalle teste del motore. Abbiamo inseguito per tutto il progetto l’obbiettivo della foto totale delle teste, ma ancor oggi resta una chimera. I primi tre tuffi con il Brik li ricordiamo tutti come i “tuffi del lampadario” visto che tutti noi quattro illuminavamo le riprese con più torce possibili, generando grandi fasci di luce.
Il bello del gruppo è che tutt’oggi, anche in nuovi progetti comuni, ognuno fa il suo e non prevarica gli altri. Non esiste il solista, ma esiste il team. Così “Nel cuore dell’Haven” raccoglie le capacità di ognuno al servizio di un obbiettivo comune. Così il Brik si è concentrato sulla regia e la gestione delle riprese esterne con l’aiuto di Massimo. Matteo e Davide si sono occupati degli interni, alternandosi secondo le esigenze e le disponibilità nei tuffi con Lele. Quest’ultimo, essendo il più vicino e pratico di piantine e disegni, si è occupato dell’individuazione e ricerca degli ambienti.
Guarda il Trailer del documentario:
La difficoltà del progetto
Il portare avanti il progetto non è sempre stato facile, ci sono state difficoltà e sicuramente siamo dovuti scendere a qualche compromesso. Il lavoro è un assemblaggio di tanti “venirsi incontro” talvolta anche con qualche confronto acceso. Fare un documentario ha delle regole, dei parametri che abbiamo dovuto imparare e far calzare sul nostro lavoro. Ma il bello è proprio questo: arrivare ad un risultato insieme, mettendo da parte l’ ”Io” e puntando sul “Noi”. Con la speranza che il lavoro possa piacere ai più e possa fornire la base e lo stimolo per approfondimenti futuri, abbiamo deciso di pubblicare il documentario.
I disegni sono stati gentilmente donati al gruppo da Cristina Freghieri a cui va la nostra gratitudine.
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