Autore: Livio Mario Cortese
Piero Capùla, da Castelsardo (SS), è un personaggio decisamente fuori scala rispetto al sommozzatore comune, ricreativo o profondista che sia. Negli ultimi 30 anni ha costruito la propria fortuna con la pesca del corallo…ma fortuna è soprattutto l’aver serbato passione e rispetto per le Acque; qualità che traspaiono tutte dalle sue parole, mentre dimostra una contenuta simpatia unita a gradevolissima umiltà. Tutte caratteristiche non sempre comuni nei professionisti di qualsiasi arte; perché tale è la pesca del corallo, e professionista è Piero.
Piero Capula in assetto da immersione
Nell’ambiente subacqueo si parla qualche volta dei corallari,
soprattutto come di gente che s’immerge in modo inverosimile e sembra sfuggire
alle leggi fisiche insegnate nei corsi…
Invece siamo persone normalissime, che svolgono
un mestiere in via d’estinzione. Qui in Sardegna, la burocrazia ha complicato
esageratamente le procedure per le licenze stagionali (si tratta di pesca
regolamentata, è perciò erroneo confondere corallari e pescatori subacquei di
frodo, n.d.r.), mentre gente sleale ha iniziato a cercare il corallo coi ROV,
poi ad attaccarci qualche rete per la raccolta…io ho usato il ROV un paio di
volte per la ricerca, ma non lo sopporto! Dal punto di vista
socio-assistenziale, siamo pescatori con abilitazione all’immersione: avrò la
pensione di un pescatore, quando deciderò di andarci…ma non ho nessuna voglia di
farlo: a 60 anni sento la stessa energia dei 40. Tra l’altro, l’Algeria resta un
ottimo posto per pescare il corallo…manco da lì da 20 anni.
Che rapporto stabilisce un corallaro col Mare, in questa professione di
caccia-raccolta? E’ mestiere, sfida…?
Non c’entrano caccia e raccolta, e nemmeno c’è
sfida. E’ una ricerca gradevole e soddisfacente, senza l’idea di “prendere”
qualcosa. In immersione lavoro da solo: non è facile spiegarlo, ma solo in
questo modo emerge –per me- il senso del mare, il vero rapporto con lui. Nei
primi anni ’90, in Algeria, si usava immergersi insieme per lavoro, da noi si va
in solitaria. Stretto è, però, il contatto col marinaio che mi segue in
superficie, assistendomi in decompressione. Ho una sintonia perfetta con lui, mi
segue momento per momento sul piano d’immersione.
Ma un corallaro come nasce?
Io…per caso. Negli anni ’70 ho visto gli
allievi di un corso sub e ho deciso di provare. Già da qualche tempo pescavo in
apnea, ed ho capito che la piscina non faceva per me. Allora ho proseguito da
autodidatta. Poi appunto, per caso, un giorno alcuni corallari hanno domandato
se c’era un subacqueo disposto a far loro da marinaio; io ero l’unico subacqueo
di Castelsardo ed ho accettato. Erano i primi anni ’80; ho imparato molto da
loro. Poi, nel 1984, ho lavorato alle Ferrovie, comprendendo che non era il mio
posto: ho resistito 3 giorni! Allora ho investito ed improvvisato, giocando
tutto sulla passione; non ero nemmeno un profondista esperto, al massimo ero
sceso a -50m. Però da allora sono andato avanti. Nei primi anni ’90 si andava a
fare la stagione di pesca in Algeria, facendo base a El Kala, a pochi km dal
confine tunisino. Non era una vita facile, ma riempiva di soddisfazioni:
un’avventura, insomma. Facevo turni di 25-40 giorni per volta; ricordo i 250 kg
di corallo ad Agosto ’92, e la soddisfazione di essere stato il primo pescatore
a totalizzare una tonnellata di pescato in una sola stagione.
In un articolo di Andrea Neri di una decina d’anni fa (dal quale ho
appreso della tua esistenza) si accennava con simpatia al tuo pentabombola e ad
altre attrezzature ugualmente “fuori scala” in un’epoca che standardizza anche
le procedure d’immersione, sposandole con la moda del momento. Me ne vorresti
parlare?
Certo, e ne approfitto per descriverti come le impiego in un’immersione-tipo.
Intanto, come vedi, si tratta di tre bombole da 15 lt e due da 7 lt, tutte
caricate a 240 bar. Le 7 lt –contenenti aria- sono collegate ad un solo
erogatore, guarda: siccome può essere portato a destra o a sinistra, allora ho
innestato 2 fruste al secondo stadio, collegate a 2 primi stadi diversi. Con
loro arrivo a -85, -90: qui passo alla miscela ternaria (30-45% di elio) del 15
lt con manometro. Si, uso un solo manometro; ai 100 bar cambio col 15+15 e ci
respiro sul fondo (lavorando oltre i -100, n.d.r.) finché l’erogatore non
s’indurisce. Allora passo al 15 lt e inizio la risalita. Ai -60 lancio in
superficie questo secchio rosso con la cima: serve ad avvisare il marinaio. Lui
salpa il coppo pieno di corallo e mi scende 30 kg di zavorra. Ai -30m –a 45’
dall’inizio dell’immersione- inizio la decompressione vera e propria, che durerà
circa 1h 45’; ai -24 tolgo le bombole e le mando in superficie: ho un ombelicale
con nitrox, tubo dell’acqua calda e laringofono per comunicare con la
superficie. Ai -12 faccio il “salto” in camera iperbarica: è una tecnica
fattibile, anche se impopolare.
Bombole a parte, mi pare di vedere…un abisso (è il caso di dirlo) tra
l’uso comune delle attrezzature e il tuo.
E’ vero, ma io sono del parere che meno cose si hanno addosso, meglio è. Non uso
zavorra: per scendere più in fretta metto una grossa pietra nel coppo; il GAV lo
fisso al contrario sulle bombole, utilizzandolo il meno possibile, anche perché
mi ha creato problemi di microbolle alle spalle. Per inciso, piccoli problemi
decompressivi li sento soprattutto nei polpacci, che sforzo parecchio: infatti
sul fondo pinneggio “a salto”. Mentre lavoro ho assetto negativo, ma in risalita
alleggerisco il coppo con un pallone, mentre a tenere l’assetto mi aiuta il
bidone: quindi il GAV mi serve a poco. Ricarico le bombole per travaso e senza
analizzatore; quanto alla strumentazione, ho sempre orologio e profondimetro. Da
qualche anno mi porto un computer, ma non lo guardo quasi mai. Ti ho detto del
tubo con l’acqua calda: ne metto un po’ sotto la muta prima dell’immersione e
soprattutto in decompressione. Perciò non ho mai usato la muta stagna: qualche
collega la usa, a me non attira proprio.
Si, ma…su che parametri basi la tua decompressione?
Le tabelle mi vengono da quei corallari di cui sono stato apprendista. Una volta
spendevano milioni per farsele realizzare dai medici iperbarici; oggi uso quei
profili, integrati da modifiche personali dovute all’esperienza. I tempi di
lavoro sono più o meno sempre gli stessi, di poco può variare la decompressione.
Tieni conto che il progresso delle tecniche o delle attrezzature non
m’interessa: scelgo ciò che mi si adatta meglio e procedo secondo automatismi
acquisiti in migliaia d’immersioni portate a termine senza incidenti e con
risultati decisamente buoni.
Sempre da quell’articolo di A. Neri si apprende che hai partecipato ai
record di Deborah Andollo, la campionessa cubana di apnea…
Non ho molto da dirti: nel ’97 l’Andollo ha
fatto questo record in Sardegna, io sono stato spettatore e poi assistente
durante gli allenamenti: ero quello che lavorava più a fondo; poi un paio di
volte ho raggiunto il gruppo a Cuba. Lei è un’atleta capace, ma è il record ad
essere soprattutto occasione di spettacolo. Non dice molto, nell’insieme. Invece
mi è piaciuto molto collaborare con Pianeta Mare nel 2008, sai la trasmissione
condotta da Tessa Gelisio? In quel caso hanno documentato il mio lavoro con una
piccola telecamera fissata sul coppo.
A proposito di passione subacquea…in definitiva, che rapporto hai con la
subacquea cosiddetta “ricreativa”?
Beh…l’estate scorsa c’erano qui dei tedeschi:
in confronto alle attrezzature che avevano, io sembravo uscito dalla preistoria.
Ma a me non interessa, come ti ho detto. Poi mi piace moltissimo viaggiare, sono
molto contento di aver potuto girare il mondo. Ho fatto un po’ d’immersioni
all’estero, per esempio in Egitto, ma con poco gusto: ti dicono tutto in
anticipo, non c’è il gusto dell’esplorazione. A Sharm el Sheikh ho fatto due
immersioni, alla terza mi sono accorto di annoiarmi!
Piero ha un modo di fare discreto, misurato, ma
l’emozione traspare dalle sue parole prive di vanto. Potrebbe essere il
personaggio di un romanzo, invece è un lavoratore entusiasta, col potere di
contraddire simpaticamente le esili certezze del subacqueo medio. E questo raro
entusiasmo sembra dar corpo a migliaia di rami in tutti i toni del rosso, o ad
oggetti che definire “artistici” o “preziosi” è veramente riduttivo. Con tali
colori si conclude quest’incontro, insieme a un frammento di quella distanza
che, forse, si risolve soltanto su un fondale difficile da penetrare ma,
soprattutto, da comprendere.
Attrezzi da lavoro: coppo con pallone, torcia e martellina, bidone da
segnalazione
Barca equipaggiata per la pesca al corallo: si notino la camera iperbarica e
i bomboloni di ossigeno ed elio
Maschera in corallo
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