Autore: Massimo Boyer
Autori foto: Massimo Boyer e Raul Boscarino
“La nave nasce nella foresta. Il primo passo è la scelta della chiglia (lunas): un pezzo unico, un asse lungo 25 m e spesso 60 cm, deve venire da un unico albero, darà la forza per resistere all’impatto dei marosi. La costruzione inizierà solo dopo aver trovato l’asse giusto per la lunas. Poi a fianco si mettono le assi del fasciame, una accanto all’altra, e le murate prendono forma. Solo a questo punto si aggiungono le ordinate. Voi europei le mettereste per prime, le ordinate, qui in Asia si fa all’opposto, e la cosa funziona, da sempre”.
Dicembre 2007. Il taglio del primo asse, che diventerà la chiglia di Aurora.
Il taglio della chiglia (potong lunas) è accompagnato da una cerimonia religiosa.
Hadji Abdullah, costruttore di Bulukumba, Sud Sulawesi, è tra i primi ad arrivare nel cantiere e tra gli ultimi ad andarsene. Il pinisi Aurora cresce sotto il suo occhio sapiente, è lui a suggerire ai suoi lavoratori quando la curvatura della carena deve cambiare. Il progetto è sul suo tavolo, il prodotto finale gli assomiglierà molto, ma solo l’occhio del costruttore sa valutare quando intervenire.
Può essere difficile credere che nel 2008 siano strumenti interamente manovrati a mano e l’occhio del capocantiere a dare forma a un sogno, che nasce come Venere su una spiaggia bianchissima, lambita dalle onde dell’Oceano, ai margini della foresta. Eppure è così: qui in Indonesia, nel più grande arcipelago del mondo, le mani dell’uomo lentamente, con azioni precise, ritmate e sempre uguali da tempi antichissimi, danno forma al legno della foresta, uno dei beni più preziosi di queste terre, trasformandolo in nave.
Strumenti tradizionali: una serie di mazzuoli utilizzati nella costruzione delle navi.
Foto a sinistra: Aurora cresce. Dopo la posa delle prime assi che costituiscono il fasciame, si inizia a mettere in atto il sistema delle ordinate, di rinforzo.
Foto a destra: Tutte le rifiniture e i lavori di carpenteria sono eseguiti a mano.
Le tavole della carena sono unite tra loro mediante perni di legno, detti pasak, inseriti nel margine dell’asse. Viti e bulloni di acciaio inox si sono aggiunte per rinforzare le connessioni con le ordinate dove serve avere una maggior forza, ma i pasak sono rimasti e assicurano una grande coesione al fasciame, che torna utile dopo l’avvento della motorizzazione. Sono fibre vegetali derivate da una palma e resine estratte da un albero ad impermeabilizzare in modo efficiente, più elastico dei composti epossidici, le fessure tra le assi.
Bulukumba, sud Sulawesi. Il cantiere sulla spiaggia.
Bira. Un cantiere sulla spiaggia.
Bulukumba, sud Sulawesi. Il cantiere sulla spiaggia.
E la tradizione si riaffaccia prepotente nelle cerimonie del potong lunas (il taglio della chiglia, che segna l’inizio della costruzione) e del varo, sottolineate da offerte e da riti che conservano un che di pagano e misterioso, dove l’aroma del té e degli incensi si mescola all’odore del legno tagliato e a quelli più prepotenti degli oli usati per impermeabilizzarlo.
Un asse del fasciame di una piccola barca viene messa in posizione. Sono solo i perni di legno (pasak) a tenerla insieme, per ora.
Aurora sta prendendo forma: ora la carena è praticamente completa.
A dispetto dell’uso massiccio della tradizione, il pinisi ha una storia piuttosto recente e deriva da una fortunata contaminazione tra oriente e occidente. Il primo fu costruito attorno al 1840 in Malesia, su commissione del Sultano Baginda Omar e su disegno di un marinaio francese o tedesco (su questo dettaglio la storia non è precisissima) che aveva sposato una ragazza locale. Il sultano voleva una nave costruita nello stile degli schooner occidentali, i costruttori fusero l’innovativo disegno europeo con le antiche tradizioni asiatiche e nacque il pinisi. Il nome, che si può anche scrivere phinisi, pinisiq o pinissi, deriva probabilmente da una storpiatura di pinasse, che tanto in francese quanto in tedesco indica un veliero di taglia media.
Foto a sinistra: Il sistema delle ordinate segue l’inclinazione del fasciame a prua.
Foto a destra: La “pancia” di Aurora, con il secondo fasciame all’interno.
La preparazione dei perni (pasak) che manterranno la coesione del fasciame.
Foto a sinistra: I perni (pasak) sporgono dal fasciame, in attesa di essere tagliati.
Foto a destra: L’impermeabilizzazione si ottiene con fibre di origine vegetale.
Il nome fa riferimento alla velatura, composta di 7 o 8 vele distribuite su 2 alberi, ma spesso nel linguaggio comune viene associato alla tipica forma dello scafo, slanciato a prua e panciuto nel centro e a poppa. I costruttori di Sulawesi, modificarono il disegno originale rifacendosi a un antico modello detto palari (lari significa correre), con prua più appuntita e slanciata che rendeva più veloce la navigazione a vela. I timoni tradizionalmente erano due, laterali, fissati verso la poppa.
Una considerazione economica è alla base della forma: data la difficoltà crescente nell’approvvigionarsi di legno buono, uno scafo largo e panciuto assicura una grande capacità di carico in una barca relativamente corta. L’oculatezza del mercante asiatico in questo caso si sposa con l’ecologia: il risparmio di legno è garanzia di sfruttamento sostenibile per una risorsa che il restringimento delle foreste tropicali rende purtroppo sempre più rara e preziosa.
Al teak, scelta iniziale che non gode qui di grande considerazione, anche per facilità di approvvigionamento i costruttori Indonesiani preferirono da subito il legno chiamato kayu besi o ironwood (Eusideroxylon zwageri) oppure il kayu bangkirai (Shorea laevifolia).
Si lavora, sempre a mano, sulla struttura della barca, ormai in crescita.
La “pancia” di Aurora, con il secondo fasciame all’interno.
Aurora continua a crescere, la sezione di poppa è quasi completata.
La “pancia” di Aurora ora prende forma, con un ponte interno.
Foto a sinistra: Un momento importante, il motore viene issato a bordo (ovviamente a mano) per essere calato nella sala macchine.
Foto a destra: La prua quasi completa di un pinisi sulla spiaggia di Bira.
Sebbene tra i migliori costruttori di pinisi vegano di solito indicati gli esponenti dell’etnia Bugis della zone di Makassar, furono e sono tuttora i Konjo (anche loro dei Sud di Sulawesi, della zona di Bira) ad avere la maggiore influenza sulla costruzione tradizionale e sulle successive evoluzioni.
Foto a sinistra: Aurora è pronta per iniziare a navigare. Una breve cerimonia precede il varo.
Foto a destra: Si lavora ormai sul ponte superiore di Aurora.
Un’immagine del ponte di Aurora, che sottolinea la sua nascita dalla foresta.
Novembre 2008. Aurora è pronta per iniziare a navigare. La cerimonia che precede il varo.
Novembre 2008. Inizia il varo, tutto manuale, che richiederà complessivamente un mesetto per trainare la grossa nave lungo un binario fino ad acque abbastanza profonde per galleggiare.
Il pinisi è spesso associato al traffico delle spezie (pepe, noce moscata, chiodo di garofano, cannella, zenzero, anice stellato), che fu una delle voci più importanti della produzione Indonesiana nel periodo coloniale. In realtà il periodo d’oro del traffico delle spezie si situa nel ‘6-700, mentre come abbiamo visto il pinisi sarebbe nato solo a metà dell’800. Erano i suoi antenati a solcare le acque dell’arcipelago navigando rigorosamente a vela con il loro carico di preziose spezie da vendere ai mercanti portoghesi o olandesi: perahu (barche) chiamati palari e padewakeng, sempre costruite nel sud di Sulawesi.
Erano tempi in cui le rotte erano dettate dai monsoni. A marzo, verso la fine della stagione umida per la maggior parte dell’Indonesia, l’intensità calante del monsone da ovest dava il via alla navigazione verso la parte orientale dell’arcipelago. In aprile l’ingresso degli alisei (da est) risospingeva le navi col loro carico di spezie, di cassia, di legno di sandalo verso i porti di Giava, Kalimantan (Borneo) e Sumatra, dove avvenivano le transazioni commerciali. Il ritorno del monsone, a settembre, scandiva la data del ritorno verso i porti del sud di Sulawesi, Makassar, Bira, alla ricerca di un ormeggio sicuro prima delle tempeste di dicembre e gennaio.
Le barche fabbricate a Sulawesi rappresentano storicamente la maggiore flotta commerciale in legno che la storia ricordi. Ancora oggi stimiamo che 800 pinisi siano utilizzati nel traffico di legname dalle foreste del Kalimantan verso Giava. A Giacarta, nel porto di Sunda Kelapa, se ne possono facilmente vedere 200 assieme. L’80% delle mercanzie più svariate, riso, copra, sale, pesce secco, bidoni di kerosene, trasportate da un’isola all’altra viaggia su navi di legno.
La sagoma inconfondibile della prua da pinisi di Aurora, in cammino verso il mare.
Foto a sinistra: Aurora in lento movimento verso il mare.
Foto a destra: La prua di Aurora.
La spiaggia ormai è alle spalle.
La rivoluzione avvenne nel XX secolo con la trasformazione in PLM (Perahu Layar Motor, barca a vela e motore). Con poche eccezioni, quasi tutti i pinisi moderni sono motorizzati. L’inserimento di un motore diesel ha comportato alcuni cambiamenti strutturali (il timone diventa centrale) e ha reso più veloci i traffici. Ha anche comportato alcuni cambiamenti sociali profondi. Bira negli anni ’30 ospitava nel suo porto circa 300 pinisi, su cui lavoravano come marinai 4000 persone. Oggi il porto è quasi vuoto, i marinai sono quasi tutti Giavanesi, la gente di Bira e dei paesi limitrofi si ricicla come costruttori.
La sicurezza e la velocità costante offerte dal motore hanno comportato ovviamente la perdita di molte conoscenze sul clima, le onde, le correnti, le stelle. Al giorno d’oggi sono pochi i marinai che navigano a vela orientandosi con le stelle piuttosto che con una bussola, e spesso lo fanno per nascondere lungo rotte sconosciute e poco battute traffici illegali, come quello di specie rare di uccelli da Papua o dalle Molucche verso Singapore.
Le nostre foto raccontano la nascita di un pinisi di nome Aurora, destinato all’uso come barca da crociera per subacquei.
Aurora ai giorni nostri.
Aurora appena nata, in foto panoramica.
Aurora dopo qualche mese di vita, in foto panoramica.
Ormai Aurora è grande, solca le acque dell’arcipelago Indonesiano da un anno in un programma di crociere subacquee e di esplorazione della biodiversità, lungo rotte note e meno note. Una barca che nasce dalla tradizione per trasformarsi in qualcosa di moderno, di attuale: Aurora è la dea romana che ogni giorno rinasce e si rinnova. Trasporta subacquei e scienziati, prendendo parte a crociere di ricerca nelle zone dove nasce la biodiversità marina. A bordo un piccolo laboratorio biologico permette agli specialisti di identificare organismi, di isolare sostanze tra cui ci potrebbero essere i farmaci del futuro. Turismo e scienza, tradizione e biodiversità, assieme in un progetto unico.
I dettagli al sito www.auroraliveaboard.com
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