La Motonave Viminale. Correre incontro ai propri sogni è ciò cui tutti vorrebbero tendere. Sfiorarli è un successo che alcune persone hanno il privilegio di raggiungere. Raccoglierli a piene mani è un dono per pochi.
Il vento della vita soffia spesso in modo incostante e in molteplici direzioni. Capire quale sia la giusta via da seguire richiede uno sforzo analitico importante.
Stati d’animo: gli addii
Lasciarsi alle spalle un relitto è una pratica che richiede coraggio. Voltarsi e decidere che quella sarà l’ultima volta che lo si vede, che si sta con e dentro di lui, è una scelta forte. È un po’ come starsene sulla soglia di casa a salutare chi riparte dopo essere venuto da lontano. Dare un addio implica la fine e impone l’inizio della distanza che sposta quella relazione nel ricordo.
La prima volta che sono sceso sulla Motonave Viminale ho capito che non sarebbe mai stato un addio. L’abbraccio che mi ha avvolto tra le sue delicate lamiere la prima volta, il suo tatto e quella voce fatta di lunghi corteggiamenti a distanza mi hanno così affascinato che non ho potuto smettere di pensare a lei, a quella fascinosa ed elegante nave. Un transatlantico per forma, dimensione, storia e portata ha un carattere unico.
La sua effige trascende la realtà, l’eco del suo mito attraversa il tempo. La sua bellezza e sinuosità di forme rendono il relitto ammaliante, magnetico: una volta che vi poggi lo sguardo non puoi più liberartene.
Il primo incontro non lo scordi mai.
In pochi istanti ti ha già trasmesso il carattere di cui è capace. Il tuo sguardo di imberbe osservatore degli abissi non vuole più fermarsi alla superficie. “In ogni cosa c’è una frattura”, una crepa che permette lo slancio verso l’interno, il luogo in cui delicati mondi si aprono o si chiudono. Dopo un impatto simile non puoi più dire “addio”.
Ricordo le prime e consecutive immersioni sulla Motonave Viminale, un anno fa, dopo aver a lungo aspettato l’incontro. I filosofi dicono che il piacere dell’attesa sia essa stessa il piacere, a volte però, è snervante . Penelope ingannava il tempo nell’attesa di Ulisse, il marinaio annega il tempo tra un porto e l’altro mentre il soldato imbarcato fuma tizzoni di sigaretta avvinghiato nella sua coffa, di guardia.
Lunghi turni di lavoro, tempi dilatati da sembrare fermi e momenti rapidi e fulminei da sembrare una polaroid che si sviluppa a contatto con l’aria.
La Viminale è stato un corteggiamento a lungo inseguito per video, dentro ascolti musicali o in dorate pagine di libro. Imbattersi un giorno nel relitto della Viminale è stata una della più forti e sconvolgenti esperienze di vita.
In quei primi nostri sguardi c’era il passato ma soprattutto la nostalgia del presente.
Guardare la Motonave Viminale richiede molta attenzione, sia che tu stia pensando di guardare la nave sia che tu veda il relitto. Di primo acchito tutti vedono il relitto poi se lo osservi bene e con occhi nuovi appare lei, la fascinosa nave del Lloyd Triestino. Se la vedi non puoi più farne a meno. Vuoi tornare, ancora e ancora e ancora. Il tuo sguardo non sarà mai soddisfatto dalla sua bellezza e dal tuo spirito di conoscenza che ti porta a esplorare i nuovi confini personali. Fare ciò è un duplice corteggiamento, guardante e guardato si amalgamano non più in un sguardo ma dentro un morso deciso, fermo, voluttuoso.
Tutto ciò è come vedere contemporaneamente il volto di una donna che per un istante appare giovane ragazza e immediatamente è donna.
Coesistono due aspetti.
Inseparabili, ma anche così lontani tra di loro se non sai vederli. Il primo corrisponde al relitto, a ciò che tutti osservano quando poggiano lo sguardi su di lei, il secondo invece è il futuro di uno sguardo classico. La donna è invisibile agli occhi perché celata da diverse sovrastrutture che le hanno dato forma, nel tempo. La donna che appare mentre guardi la ragazza è La Nave: “una forza del passato che trova la sua forza nella tradizione” dell’amore.
Amore per chi? Del mare a cui appartiene dal momento in cui galleggia a quello in cui affonda tra le sue onde.
Il fascino della Motonave Viminale è proprio questo. Si tratta di una gemma incastonata in fondo alla punta d’Italia che nel suo nome porta la romanità.
Stati d’animo: quelli che vanno
Follia. Questo è stato il mio secondo ritorno sulla Viminale l’anno scorso. Partito all’improvviso con una telefonata quasi incredula e poi, eccomi di lì, di nuovo. La rividi pieno di entusiasmo e concitazione, capii che avrei voluto far nascere il bianco del miei capelli con lei, quella fascinosa Nave dallo sguardo magnetico che solo un pazzo avrebbe lasciato alle proprie spalle.
Mentre mi decomprimevo pensavo a quando avessi potuto scendere di nuovo da Lei. Gli anemici, come i fabbri, amano il ferro. A volte il tuo destino è di stare all’incudine, altre al martello: ma sempre nel ferro sei avvolto.
Ricordo con vibrante emozione quei giorni fatti di languidi tramonti tra rovine dal profumo classico e pensieri sul domani. Il futuro è la reinterpretazione della Storia, bisogna saper attraversare la porta e lasciarsi sorprendere dal Cappellaio Matto.
Quelli che vanno sono l’altra metà di quelli che restano.
I tuoi occhi sono pieni di sale
Gioia viva! Ecco spiegato il sale di quelle lacrime. Inarrestabile e sorprende gioia di condivisione. Ricordo la prima volta che mi sono immerso su PreContinente II in Sudan. Quella volta non so quanti svuotamenti di maschera ho fatto di fronte a ciò che restava della stazione dell’esploratore dal berretto rosso, Cousteau. Essere di fronte a ciò che aspetti da lungo tempo può darti emozioni così forti che reagisci in modo del tutto inaspettato. È stato così, anche molti anni dopo, anche di fronte al filo del tagliamare alla Viminale.
L’ho già scritto altre volte, ma l’urlo di gioia che feci di fronte alla Nave a -107m è ciò che mi ha fatto innamorare di questo relitto. Fino ad allora avevo visto soltanto la ragazza, poi d’improvviso apparve la Donna.
Le mani di Bonatti erano spesse ma nonostante ciò tagliate dal freddo. Le mani di chi va per relitti tastano, accarezzano, tirano con foga o delicatezza. Le mani per noi relittari sono più che occhi, sentono, guardano, percepiscono. A volte affondano come i polpastrelli di marmo di Psyche dentro Amore.
Il tocco è energico ma conoscitivo. Le mani si avvinghiano, le dita si stringono come in una danza di pianista. Il pollice passa sotto …
Voglio arrivare dove l’occhio umano si interrompe, dove il relitto finisce nella delusione di una poppa senza eliche per iniziare il racconto di una storia nuova, diversa e inaspettata.
Le parole dipinte
I giorni romani che hanno preceduto la mia discesa a Palmi mi hanno dato finalmente l’occasione che aspettavo e forse in cui ormai credevo poco.
Mi è capitato di svegliarmi nella notte con la stessa quantità di luce che il cristallino percepisce in profondità. Quando guardo la superficie dal fondo, qualche volta intravedo il lontano bagliore della superficie. Talvolta un raggio di luce colma la distanza che separa il relitto della vita. Allora mi brillano gli occhi perché improvvisamente sono reso partecipe di un evento straordinario, quella delle bellezza al naturale. Non serve più illuminare nulla, è già tutto lì.
Ho lasciato casa mia alle spalle, qualche giorno fa, dopo aver caricato nel Wreck Van tutto ciò che ho ritenuto indispensabile per questo nuova avventura. Non immaginavo che avrebbe potuto trasformarsi in viaggio interiore.
Questa volta il pesante pedagno da 45kg. l’ho caricato con me nell’abitacolo, sentivo che non meritava il freddo cassone posteriore. Guardandolo ho avuto l’idea che questa volta sul fondo non sarebbe sceso nudo. Servivano delle parole dipinte per accompagnarlo.
Tracciare morbide linee a smalto bianco da un lato e lettere latine dall’altro. Non poteva che essere così, l’inizio di una storia d’amore, aprire una fessura in ogni cosa, perché tutto cambi.
Il primo impatto ha cambiato il corso degli eventi in modo del tutto inaspettato.
Ho preso un pennello per scrivere “nel ferro del cerchio di un anello” la data di sigillo. Ho scritto sul tuo fianco THAT’S AMORE perché laggiù è così che scendo.
Ogni uomo e ogni nave attraversano tempeste, barra del timone e nocchiero fanno la rotta, indissolubilmente uniti anche se visivamente lontani tra loro.
“Resta con me e la tempesta cesserà”.
Come te, nessuno. Mai
Foto in superficie: Paola Lazzerini
Foto subacquee: Marco Mori