Qualche volta nella vita è bello provare a guardarsi dentro e tentare di capire noi stessi, le nostre motivazioni. Cosa ci muove. Io, per esempio, ho imparato che la mia memoria è di tipo “cinestesico”: significa che ricordo solo quello che mi dà emozione.
La subacquea fa parte sicuramente della collana delle emozioni della mia vita; fra i ricordi che mi ha donato, non potrò mai dimenticare le immersioni con gli squali, adrenaliniche come poche occasioni della vita, e quelle fatte visitando un relitto. In fin dei conti, cosa esserci di meglio di una visita ad un relitto sommerso per un’esperienza legata alla storia, ad una tragedia, al mare, alla vita sommersa, al piacere della subacquea?
Una nazione ancora poco sviluppata dal punto di vista delle immersioni, ma che chiaramente può offrire tantissimo da questo punto di vista, è la Grecia: le navi affondate nel suo mare sono certo migliaia, di ogni epoca ed una più affascinante dell’altra. Così, quando durante una vacanza in quel bellissimo paese scopro per caso dell’esistenza di un relitto visitabile ad un’ora di automobile, so già che non posso farmelo sfuggire e cerco in ogni modo di organizzare un’immersione. Mi trovo sulla costa, nel nord est della Grecia, in Penisola Calcidica. In realtà si tratta di tre penisole, che, come dita di una mano si protendono verso l’azzurro del Mare Egeo; siamo in Macedonia, nella terra di Filippo II° e di suo figlio Alessandro Magno, che tanta bellezza esportò nel mondo conosciuto. Qui il mare ed i paesaggi sono meravigliosi, ed il turismo subacqueo è solo agli albori: fino al dicembre 2005 le immersioni turistiche in zone con possibile presenza di relitti antichi erano assolutamente vietate dallo Stato greco, per paura che l’industria subacquea potesse favorire il prelievo delle antichità sommerse. Per fortuna un legislatore più lungimirante ha voluto cambiare la situazione e dal gennaio 2006 ad oggi il territorio ellenico ha visto tutto un proliferare di nuove attività di centri immersione. Non essendo ancora stata formata però una vera cultura del turismo sommerso, questi diving center sono tuttora portati a prediligere prove subacquee e corsi di primo livello, sia per il pubblico greco che per quello proveniente dalla Gran Bretagna o piuttosto dai paesi dell’area balcanica, vicina geograficamente.
Trovare questo relitto è stato allora una vera sorpresa, perché assolutamente non reclamizzato in rete e perciò assai difficile da trovare, tranne che per dei filmati che si riesce a recuperare solo se si sa cosa cercare e se ne conosce già l’esistenza. In più, i testi sacri dei cercatori di relitti non ne parlano assolutamente. Una volta scoperta l’esistenza e la fattibilità come distanza e profondità cerco quindi con chi andare, e scopro che l’unico diving che accompagna i subacquei sul relitto è il Dolphin di Porto Kalamitsi (0030 2375041565 – porto@kalamitsi.com), gestito in maniera impeccabile da dei gentilissimi e precisissimi austro-tedeschi in collaborazione con un istruttore greco. Il problema è che pur essendo a bassa profondità, la posizione è sulla punta delle penisola rivolta verso il mare aperto, in un tratto della costa battuto frequentemente dalle medesime correnti che l’hanno fatto affondare.
Organizzare un’uscita non è quindi facile, forse anche perché non sembrano esserci in giro altri appassionati di relitti. Il posto è però meraviglioso, e la nave è una di quelle che non si vogliono rivelare, aumentando così la sua aura di mistero, ed io faccio il diavolo a quattro pur di riuscire a vederla. Finalmente, due giorni prima della partenza per l’Italia, mi avvisano che il mare si è un po’ calmato: la visibilità non sarà il massimo, ma l’immersione si può compiere il giorno seguente, nel pomeriggio. Quando arrivo nella piccola località di Porto Kalamitsi, un vero gioiellino con una bella spiaggia di sabbia ed ottimi ristoranti, trovo un diving center nuovissimo, pulito organizzato con perfetta efficienza teutonica.
Parlando con loro del relitto, mi dicono che l’ipotesi più probabile è che si tratti di un piroscafo chiamato Lorelei, dal nome della famosa roccia sul fiume Reno, dato in omaggio dal Kaiser Guglielmo II° al Sultano Turco all’inizio del secolo scorso. In quegli anni la presenza economica tedesca nell’Impero turco era molto forte e si stava concretizzando nella costruzione della ferrovia che portava fino a Bagdad. Dal punto di vista militare, nell’incertezza della situazione con la Gran Bretagna che poteva sfociare in un conflitto europeo, la Turchia risultava inoltre un alleato meridionale estremamente importante ed in difficoltà, dopo una guerra perduta contro l’Italia e la rivolta dei popoli balcanici a lei assoggettati che diede luogo alla prima guerra balcanica. La cessione a titolo gratuito di alcune navi, civili e militari, unita all’arrivo di ufficiali addetti alla formazione delle truppe assumeva così un senso ben preciso: penetrazione economica e militare. Secondo le informazioni a disposizione del diving il Lorelei, un mercantile a vapore lungo circa 70 metri, incappò nell’inverno del 1912 in una tempesta che gettò la nave violentemente contro le rocce della costa vicino a Porto Kalamitsi, in maniera così forte da spezzare la nave in due tronconi e da non lasciare superstiti.
Le parole lasciano poi il posto all’azione, e dopo una perfetta preparazione effettuata all’asciutto, usciamo con il gommone in una giornata estiva particolarmente bella, con il solito mare macedone dagli eccezionali colori pastello. Quando però arriviamo nella zona dell’affondamento, la superficie è diventata di colpo di uno strano color blu metallo, che non fa presagire nulla di buono, soprattutto se si osserva il montare di onde poco regolari; in più l’ancoraggio, a causa della probabilità di forti correnti è esattamente sui resti della nave, molto molto vicino alle rocce che l’hanno affondata. Vista l’incertezza della situazione subacquea, saremo due sub con due guide: il mio custode si chiama Jorn, ed è un tedesco di Wilhelmshaven, famoso porto militare del regno di Prussia. Scendiamo velocemente sott’acqua viste le condizioni in superficie, trovando però una visibilità certamente migliore delle aspettative; così grazie ad essa ed alla mia torcia Giosub, riesco a scattare molte fotografie del relitto. La prua è in condizioni pessime, e ne rimane solo lo scheletro metallico appoggiato sulle rocce, mentre la parte poppiera leggermente inclinata su un lato è assolutamente piacevole da guardare e da riprendere, a forma di coppa di champagne, tipica dell’epoca. Il timone è appoggiato sulla sabbia, ma mancano l’elica ed il motore, segno chiaro che la nave è stata fatta oggetto di qualche operazione di recupero. Malgrado non ci sia molto pesce, come sempre d’altronde in Grecia, l’emozione viaggia a mille, alla vista dei resti della nave affondata.
Una volta tornato a casa, non mi accontento però delle informazioni avute al diving: voglio andare più a fondo nell’indagine sul mistero di questo relitto. Mi affido quindi ai testi ed ai siti che conosco, e che tante volte mi hanno dato soddisfazione durante una ricerca. Quello che scopro è che non si tratta del Lorelei, le cui vicende sono finite in maniera diversa. Allora di quale nave potrebbe trattarsi? È molto probabile che i tempi siano i medesimi, qualcosa ci dovrà pur essere. Continuo a cercare, ma nulla. Niente, zero, nessuna informazione di nessun tipo. Poi mi rammento che i subacquei di Porto Kalamitsi mi avevano raccontato che negli anni passati un gruppo di ricercatori marini legato all’Università Aristotele di Salonicco aveva effettuato delle immersioni e dei rilievi nel tentativo di scoprire l’origine del relitto.
Così, con testardaggine e determinazione, tipiche del mio carattere, sono riuscito ad arrivare all’UST, l’Underwater Surveying Team, ed a Nikolas Sidiropoulos, creatore di gioielli per nascita e professione, cercatore di relitti per passione. Chiedo quindi a Nikolas: cos’è l’UST?
“È un gruppo che collabora con i membri della comunità subacquea per la ricerca, la documentazione, lo studio e la promozione delle particolarità marittime, acquisendo al contempo l’informazione e la consapevolezza del pubblico. I corsi di formazione specializzati e le attività subacquee che i membri UST coordinano od in cui partecipano, mirano a un approccio sicuro e responsabile delle risorse subacquee che si relazionano con il nostro patrimonio naturale e culturale. I mari greci ospitano circa 2000 relitti di navi e aerei (vedi http://www.emodnet-bathymetry.eu/). Questo nostro studio si basa sulla partecipazione volontaria di subacquei e non subacquei. L’obiettivo del nostro progetto è l’impegno responsabile del pubblico nella protezione e promozione del patrimonio culturale subacqueo. Gli obiettivi principali di questo sforzo includono la visita e le immersioni nei siti dei relitti, la raccolta e l’archiviazione dei dati relativi e lo studio della storia dei relitti. Si prevede che i risultati saranno utilizzati principalmente come materiale di documentazione per qualsiasi membro della comunità subacquea con uno speciale interesse per le immersioni sui relitti ed in secondo luogo come potenziale riferimento per ulteriori ricerche sulla storia marittima. Se vuoi saperne di più, il nostro sito è www.wreckhistory.com.”
Allora, qual è il nome di questo relitto?
“Mi spiace, nessun nome. È l’obiettivo della mia vita. Mi sono posto sempre due domande: Che nave era? Che cosa è successo? A queste questioni sono riuscito a rispondere solo in parte.
Abbiamo cercato informazioni dai libri di storia, negli archivi, e dagli anziani del villaggio; quello che abbiamo saputo è che quando i primi immigrati arrivarono dalla Turchia nel 1922 la nave era già lì, quindi è probabilmente lì da più di 100 anni.”
In effetti bisogna sapere della storia travagliata di questa regione. Dopo la fioritura del periodo greco, macedone, romano e bizantino, l’area subì numerose invasioni fino a quella definitiva turca ottomana, che oppresse la popolazione locale per secoli. L’amministrazione locale era curata dagli emissari dei monaci del vicino Monte Athos, che non contribuì allo sviluppo delle zone, diventate semidisabitate tranne che per i contadini che vivevano principalmente nelle povere zone dell’interno. Allo scoppio della prima guerra balcanica del 1912 il territorio era ancora sotto il dominio turco, odiato dalla popolazione greca. La costa venne poi colonizzata nel 1922, con l’arrivo dei greci che abitavano in Asia Minore, espulsi dai Giovani Turchi.
Continua così il racconto di Nikolas:
“La leggenda dice che la nave era turca e che si era incagliata contro le rocce vicino a Kalamitsi a causa di una tempesta. Poiché la tensione tra i due popoli era alta, quando l’equipaggio andò a riva e la gente si rese conto che erano turchi, prese a massacrarli furiosamente. Esiste persino una storia sull’uccisione di alcuni turchi all’interno della chiesa, dove erano fuggiti nel tentativo di salvarsi. Ovviamente puoi capire che grande odio ci fosse. Tutte queste sono storie delle persone anziane del villaggio, quindi non posso garantirne la precisione e quale possa essere il fatto reale e quale il mito. La nave probabilmente finì a riva e vi rimase per anni, durante i quali gli abitanti del villaggio iniziarono a togliere tutto ciò che potevano per guadagnarsi da vivere, prima di tutto le parti in bronzo e di metallo che potessero essere rivendute. Ricorda che l’area era molto povera ed era una delle regioni della Grecia liberate da poco.
La mia convinzione è che la nave, svuotata di molte parti e del carico stava diventando più leggera e, a causa di condizioni meteorologiche avverse ritornò al mare, dove lo scafo si bloccò sulla roccia che sporge dal fondo a circa 5 metri sotto la superficie. Dopo alcuni anni la nave fu spezzata da un’altra tempesta, con una parte più vicina alla superficie, la prua, ed una più a fondo, la poppa.
Dalla nostra ricerca sul posto la nave risultava avere una lunghezza di circa 65-70 metri. Avrai visto la caldaia principale con due fornaci, di 4 metri di diametro e 3,5 metri di lunghezza, che è scivolata dal suo posto sul fondo del mare. Dopo la caldaia si trova un grosso cilindro che assomiglia ad una ciminiera: si tratta di una caldaia ausiliaria usata per spostare la nave quando non veniva utilizzata la caldaia principale. Sul relitto è evidente che l’intero motore è stato portato via, e l’albero di trasmissione è tagliato in maniera perfetta come da un coltello.
Questa nave sta diventando la mia ossessione: prima o poi riuscirò a scoprirne l’identità.”
Te lo auguro di tutto cuore. Nel caso, per favore, facci sapere.