Autore: Corrado Bonuccelli
Come sempre accade con lo spazio a disposizione di una scheda, è impensabile da un lato voler spiegare ogni cosa e dall’altro di avere acquisito tutti i dati necessari. Ancora una volta, miriamo a crearci dei punti di riferimento.
L’idea di usare miscele di gas di composizione differente da quella dell’aria è molto vecchia. Quello che di fatto oggi sarebbe un rebreather a tutti gli effetti esisteva già attorno al 1880, e come l’odierno ARO impiegava ossigeno puro, vale a dire una miscela diversa dall’aria nonché – caso particolare della definizione generale – costituita da un solo gas. Già nelle prime fasi della storia della subacquea, divenne chiaro che azoto e ossigeno divengono pericolosi per l’organismo dopo certi valori delle loro pressioni parziali e si sono cercate alternative all’aria compressa. La narcosi da azoto, ad esempio, iniziò ben presto a mietere vittime e fin dal 1919 l’ingegner Thompson avanzò l’idea che l’elio potesse essere impiegato per evitare la narcosi.
Ci sono in rete buone storie dell’immersione e segnalo solo che già nel 1937 Max Nohl stabilì l’allora record mondiale nel lago Michigan, con la bella cifra di 140 metri di profondità, ovviamente, respirando elio-ossigeno. La vera ‘rivoluzione’ per i sub sportivi avvenne molti anni prima dell’introduzione del trimix nel nostro settore, ovvero quando Albert Bühlmann decise di rendere pubblici i valori necessari al calcolo di tabelle trimix. Il nome di Bühlmann è giustamente inseparabile da quello di Hannes Keller con il quale sviluppò le idee – tuttora alla base delle odierne procedure decompressive – che portarono all’utilizzazione pratica delle miscele con elio, azoto e ossigeno. Ma non c’è solo il ‘trimix’ al contrario, un altrettanto ricco e importante settore è quello del nitrox, ovvero miscele di azoto e ossigeno ma in proporzioni diverse da quelle con cui sono presenti nell’aria.
Nel complesso, con le miscele respiratorie artificiali si cerca di porre rimedio ai limiti della tradizionale aria compressa, sia in termini di profondità che di tempo di fondo. Vediamo.
NITROX
L’immersione in miscela, se anche un domani verranno scoperti altri venti gas utilizzabili dai subacquei, inizierà sempre da una solida conoscenza del nitrox né potrà mai altrimenti essere. La ragione è che i gas sono gli stessi a cui ogni sub è abituato (e quindi c’è già un punto di partenza familiare) ma il fatto che se ne possano variare le percentuali apre tutto un mondo. Tutti, dico, tutti i problemi che si possono presentare con qualsiasi miscela si presentano con il nitrox. Ovvio che occorre prendere questa affermazione con intelligenza: evidentemente i problemi tecnici dell’immersione in se e per sé sono diversi. Con il nitrox non si può scendere, che so, a 65 metri mentre con il trimix sì; quindi, tecniche di immersione, uso delle attrezzature e gestione di problemi ed emergenze sono in linea di massima più complessi “con il trimix” o addirittura alcune problematiche sono proprie solo del trimix. Ciò, però, in quanto miscela inseparabile da certe immersioni e non tanto per gli effetti sulla fisiologia. Ma dal punto di vista dell’approccio alle cose, l’approccio che vede la miscela come una parte dell’attrezzatura da scegliere e configurare come il resto in funzione di cosa si deve fare, ebbene, quello si impara benissimo con il nitrox e solo con esso.
Molto brevemente, visto che ormai tutti i sub sanno di che si parla, l’idea è che siccome gli obblighi decompressivi dipendono solo dalla quantità di inerte, se se ne elimina una parte si può fare meno deco oppure rimanere più a lungo in curva di sicurezza. Il concetto cardine del nitrox è quello di effettuare i calcoli relativi alla deco con una profondità detta fittizia, minore di quella reale di immersione, determinata in base all’uguaglianza della pressione parziale di azoto nelle due situazioni: aria alla profondità fittizia e nitrox alla profondità effettiva. Facciamo un esempietto, così per fissare le idee, ma prima dobbiamo sapere che si usa indicare la miscela con la sigla EAN seguita dalla percentuale di ossigeno. Prendiamo un’immersione a 30 metri in cui utilizziamo una miscela al 32 % di ossigeno, ovvero una EAN32. La percentuale di azoto sarà (100-32), ovvero il 68% e la pressione parziale dell’azoto a 30 metri sarà pari ai 4 bar presenti alla profondità moltiplicato 68 e diviso per 100, come immagino tu sappia dai corsi e se non lo sai non importa. Facciamo i conti e otteniamo 2.72 bar. Ora consideriamo la profondità di 24.43 metri a cui corrisponde una pressione idrostatica di 3.443 bar. Se respirassimo aria a quella profondità la pressione parziale dell’azoto sarebbe pari a 3.443 moltiplicato 79 e diviso per 100. Se fai i conti, scopri che il valore è pari a 2.72 bar, come prima. Che vuol dire? Vuol dire che ce ne andiamo a 30 metri con l’EAN32 ma l’assorbimento di azoto è esattamente quello che avremmo scendendo in aria a 24 metri circa. Ho evidentemente costruito l’esempio ma in realtà quel valore di 24.43 metri è determinabile con procedure che si imparano nei corsi nitrox. Ovvio che dal punto di vista decompressivo tutto va esattamente come se scendessimo a 24 virgola qualcosa metri invece che a 30, il che, non ho bisogno di dire, abbrevia la decompressione o, se preferiamo, allunga la permanenza in curva di sicurezza. Bello? Troppo, direi. Il rovescio della medaglia è costituito dalla tossicità dell’ossigeno per il sistema nervoso centrale (SNC). Per fissare le idee, diciamo in prima approssimazione che non si devono superare 1.5 bar pena l’insorgere dell’assai difficilmente gestibile (in immersione almeno) relativa sintomatologia. Consideriamo ora un EAN100, ovvero il particolare nitrox costituito da ossigeno puro. Qui il conto è immediato: respirando ossigeno puro la pressione parziale (e anche totale in questo caso) di 1.5 bar si ha ad appena 5 metri. Ovviamente anche qui l’esempio è facile facile. Nella realtà questo limite di 1.5 bar si raggiunge a una profondità dipendente dal tenore di ossigeno. A spanne: l’EAN21 (ovvero, l’aria) diviene tossica a circa 60 metri, l’EAN100, abbiamo visto, a 5 metri soltanto: i limiti di tossicità dovuti all’ossigeno degli altri “EAN” staranno da qualche parte in mezzo ai due valori visti. Ma questo è meno dell’inizio. Le problematiche di tossicità dell’ossigeno sono complesse, coinvolgono il tempo di esposizione e nemmeno mi sogno di accennarle. E’ invece molto importante sapere che un episodio di intossicazione al SNC è un affare molto, molto serio la cui gestione in immersione non è nemmeno da prendere in considerazione a meno che non si faccia subacquea a livelli stratosferici. Per noi, la sola cosa da fare è far sì che non accada. Anche qui, non intendo spaventare nessuno. Si fanno migliaia di immersioni in nitrox e gli incidenti sono rari. Tutto è questione di corretta informazione prima, corretto addestramento durante e attenzione dopo. E questo, ci introduce alla prossima serie di considerazioni.
Come imparare? Purtroppo, con le miscele usciamo dal consolidato terreno dei “tre livelli”; se oramai l’esperienza ha mostrato che i tradizionali tre livelli di certificazione sono adeguati a un percorso formativo completo per un sub ricreativo, con le miscele siamo in un terreno che, diciamo eufemisticamente così, ciascuno vede a modo suo. Da un punto di vista tecnico, con un corso nitrox ben fatto si può esaurire l’argomento in un weekend lungo e mediamente intensivo, se lo reggi; frazionarlo in diversi livelli può essere un’idea (magari per mancanza di continuità temporale da parte di chi sta imparando) ma non riesco a non pensare che può essere anche molto comodo economicamente dal punto di vista opposto a quello dell’allievo. Non so, vedi tu e decidi; molto dipende dall’istruttore e dall’agenzia. Quel che invece tengo a sottolineare è l’aspetto pratico dell’immersione in nitrox; non mi stancherò di raccomandarti di non metterti mai in condizione di esporti a un episodio di intossicazione al SNC. In soldoni, se fai un’immersione in parete con un EAN36 e sotto di te c’è un fondo di 100 metri (ma era davvero necessario?) i vari scenari possibili stanno tra i due seguenti: 1) il tuo istruttore è stato una una persona coscienziosa, ti ha spiegato per bene tutta la teoria, e ha insistito fino alla noia nella cura del tuo assetto e dei dettagli dell’attrezzatura che lo garantiscono. Tu a tua volta sei una persona coscenziosa che ha ben studiato e assimilato la teoria, hai compreso la gravità dei potenziali problemi e – tramite un costante allenamento finalizzato – hai ormai un pieno e totale controllo del tuo assetto. Lo scenario 2 è, ovviamente l’opposto e nemmeno penso sia necessario delinearlo esplicitamente. In tutti i casi, è sempre bene avere sotto di noi un fondo tale che se anche dovessimo piantarci a mezzo busto perché il nostro compagno d’immersione ci buca il GAV per scherzo, la corrispondente pressione parziale di ossigeno non possa mai dare luogo a episodi di tossicità. Dopo, ovviamente, il compagno lo giustizieremo. Con il tempo e l’attenzione possiamo anche allentare il rigore di questa regola, ma sempre con grande rispetto dell’ossigeno, di gran lunga il più complesso gas che il sub sia costretto a respirare. Un buon assetto, ci servirà anche per il trimix, ma per un problema opposto come tra poco vedremo.
TRIMIX
Come forse sai, l’elio non è narcotico, al contrario dell’azoto e quindi deve venire usato per superare il limite narcotico dell’azoto contenuto nell’aria, limite che molto opportunamente il mondo ricreativo trova a circa 40 metri. In effetti i primi esperimenti con l’elio lo vedevano come sostituto totale dell’azoto in miscela; tuttora in campo professionale si fa così, se vogliamo eccettuare immersioni stratosferiche a parecchie centinaia di metri in cui accadono cose talmente strane alla membrana cellulare delle cellule nervoso che si deve introdurre una piccola percentuale di inerte narcotico calibrata al decimo di punto percentuale (per limitare la cosiddetta HPNS). In campo sportivo non si fa nulla del genere; al contrario si cerca di utilizzare i vantaggi di ciascun inerte limitandone gli svantaggi determinando le percentuali in modo opportuno. In ogni caso rarissime sono immersioni sportive in heliox (elio-ossigeno) al quale, dicevamo, viene preferito trimix (elio-azoto-ossigeno). L’elio è molto costoso, anche per quei grandissimi appassionati per cui la subacquea è tutto. Inoltre disperde il calore corporeo più facilmente dell’azoto anche se la recente esperienza della comunità dei sub tecnici seri ha consentito di comprendere che questo problema ha assai meno importanza di quanto abbia in campo professionale. Altro problema dell’elio è la sua molto maggiore velocità di scambio rispetto all’azoto, circa 2.65 volte di più. In parole povere, se accettiamo le classiche 24 ore per la saturazione in azoto (in realtà sarebbero assai di più) con l’elio ce ne vogliono appena poco più di nove. Ovviamente la desaturazione è altrettanto rapida. Una conseguenza di questo è che una pallonata, teoricamente “perdonata” dall’aria non lo sarebbe respirando elio come frazione di inerte. Questa argomentazione – mai dimostrata in modo convincente – è stata utilizzata per giustificare certe scuole di pensiero in merito all’immersione profonda. Se il tuo primo approccio con le miscele è questo scritto, ebbene, sappi che in passato ci sono state liti furibonde protratte per mesi ed anni, con accuse reciproche, strumentalizzazioni anche bieche e così via. Oggi, tutto ciò si è stemperato col tempo; possiamo godere di una prospettiva a cui sono stati aggiunti tanti pezzi mancanti e come tale assai più equilibrata e realistica. Ma questo accenno mi consente anche di anticipare che se l’ingresso nel mondo delle miscele inizia dal nitrox e da una buona conoscenza dell’ossigeno, cose tecniche, insomma, il principale ostacolo nel seguito del cammino è quello di orientarsi correttamente e mantenere una giusta prospettiva mentale. Detto in chiaro, se credi nelle cose sbagliate, le metterai anche in pratica; e se metti in pratica qualcosa è perché ci credi, ma questo purtroppo non ti consente di decidere in merito della correttezza oggettiva. Torniamo all’aspetto tecnico, che è senz’altro meglio.
Con l’elio di mezzo, le cose cambiano molto poco per chi conosce il nitrox; semplicemente si “costruisce” la miscela iniziando dalla quantità di ossigeno tale da non risultare tossica per l’immersione pianificata, si “aggiunge” l’azoto tenendo conto dell’effetto narcotico che si decide di accettare e, finalmente, il resto della miscela sarà quell’elio assolutamente inerte dal punto di vista degli effetti importanti per il sub sportivo. Mi pare inutile fare esempi di calcolo perché tutto questo, che all’apparenza sembra essere il cardine dell’immersione in trimix (assieme alle procedure deco, oggetto di notevoli approfondimenti e discussioni nella comunità dei sub avanzati e tek) in realtà rappresenta quasi nulla nell’economia della faccenda. Se, infatti, si decide che occorre elio in miscela, ciò vuol dire che l’obiettivo è qualcosa di serio, vuoi perché profondo, vuoi per il tempo di fondo in relazione alla necessità di un’assoluta lucidità mentale (e.g. archeosub), entrambe le cose o altro ancora; in tutti i casi poco o nulla a che vedere con il limite in curva di sicurezza a 40 metri. Si aprirebbe un discorso estremamente ampio, complesso e su cui esistono profonde divergenze di opinioni tra gli “addetti ai lavori”. Posso solo dirti che la parte tecnica (miscelazione, etc.) e quella decompressiva sembrano moltissimo ma sono in realtà una parte minima dell’intero contesto. Quasi tutto l’essenziale riguarda la tecnica di immersione, la gestione dei problemi, l’organizzazione di squadra, eccetera. Tuttavia, di questi tempi si sta facendo strada il cosiddetto settore tek-rec, ovvero quel tipo di subacquea che non è più strettamente ricreativa e non è ancora quella avanzata “pesantemente” fuori curva. Da una parte è senz’altro una buona cosa che venga presa ufficialmente in considerazione dalle agenzie quella che è di fatto un tradizione, soprattutto dalle nostre parti; sarebbe stupido negare che i quaranta metri in curva sono spesso stretti per il subacqueo nei nostri mari mentre, al contrario, le immersioni con decompressione sono cosa normale. Dall’altra, la medesima constatazione dell’esistenza di uno stato di fatto che più o meno non crea grossi problemi globali può ben giustificare perplessità su quanto sia opportuno introdurre le relative certificazioni. Comunque la si voglia mettere, è indubbio che elio in miscela è altamente auspicabile dopo i 40-45 metri sia per ragioni – innanzitutto – di sicurezza che di divertimento.
Tutti quelli che hanno provato l’immersione in trimix hanno apprezzato i vantaggi e il divertimento derivanti da una mente lucida. Confesso che ancora ho un ricordo chiarissimo della mia prima immersione in trimix. La narcosi inizia prima di quanto non sospettiamo (attorno ai 30 metri) ma non avendo modo di paragonare situazioni diverse, noi “cresciamo” con una specie di paraocchi di cui non avvertiamo nemmeno più l’esistenza avendolo sempre avuto; quando lo si toglie, è veramente una nuova e bella esperienza.
A questo punto, immagino che vorrai sapere che fare se la cosa ti interessa. Per rispondere, aggiungo l’ultimo tassello al quadro generale, ovvero quella favorevolissima proprietà dell’elio che di fatto condiziona, anzi, non condiziona, tecnica di immersione, scelte eccetera. L’elio è sì più veloce negli scambi rispetto all’azoto; ma è anche meno affine di questo nei confronti dei liquidi. In altri termini, si scioglie e lascia l’organismo più velocemente dell’azoto, ma a parità di tutte le altre variabili, si sciolgono circa metà molecole di elio rispetto all’azoto. A conti fatti, i due fattori quasi si bilanciano e – a maggior ragione per il fatto che non tutta la frazione di azoto viene sostituita con l’elio nel trimix – ne segue che non cambia quasi rispetto a un’immersione in aria. Forse un poco più di deco e una grande attenzione all’assetto: ma il primo fattore è veramente poco infuente se non per tempi di fondo relativamente lunghi mentre il problema dell’assetto non è in nulla diverso da quello che si pone con immersioni in aria. Delle due, al contrario di quanto accade con il nitrox, è necessario stare attenti a non pallonare, ripeto, essenzialmente perché si è fuori curva e non perché l’elio sia pericoloso. Conseguenza di tutto questo è che se non ho alcun dubbio a suggerirti caldamente un percorso didattico completo con il nitrox, con il trimix non sarei così graniticamente certo. Le nozioni teoriche addizionali, da parte di chi è padrone del nitrox possono essere apprese per conto proprio – soprattutto da quando esiste Internet – e l’inserimento in un gruppo di persone valide può ben bastare riguardo alla pratica. Rimane il problema della ricarica, ovvero, se il tuo gruppo non ha mezzi propri per provvedere, in assenza di un tuo brevetto abilitante all’uso del trimix un centro di ricarica potrebbe formalmente rifiutarti una carica anche se tecnicamente con il presente stato di quel che ne sappiamo non riesco a vedere ragioni strettamente fisiologiche e “tecniche” per farlo. Anche qui, quel che maggiormente importa è la tecnica di immersione e questa, in particolare se non ci si allontana troppo dalla curva di sicurezza, ha molto poco a che vedere con il gas usato.
SINTESI
Eccola. Con il nitrox, attento a non sprofondare; con il trimix, attento a non pallonare. Spero che prenderai questa sintesi essenzialmente come una battuta utile a individuare un clima generale; d’altro canto, ad esaminarla bene ‘contiene’, sebbene a un livello latente, parecchie delle tematiche di questo genere di immersione. Divertiti in acqua.
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