Ogni volta che rivedo un regolamento di un concorso fotografico mi cruccio per capire fino a che limite accettare rielaborazioni delle foto.
Credo, ho già scritto e ribadisco, che pochissime foto siano perfette in origine ma quasi tutte abbiano avuto una rielaborazione, più o meno accentuata, in post produzione.
In un precedente articolo (formula per le foto belle) ho sfidato chiunque a smentirmi. E qualcuno non si é fatto attendere troppo come il sig. Massimo Boyer, uno dei massimi esperti italiani di fotografia subacquea e biologia marina, nonché mio caro amico.
Massimo non la pensa come me e puntualizza che per lui la postproduzione si limita di solito a “un aumento del contrasto e a quei piccolissimi interventi che rendono vedibile un file RAW, che di suo sarebbe scialbo e sbiadito”. Massimo é rimasto legato a quando “il supporto sensibile era una pellicola invertibile, e la diapositiva te la tenevi come te la inviava il laboratorio”.
Lo so, lui é un purista e un perfezionista. Mi cazzia sempre anche quando scrivo male i nomi scientifici dei pesci.
Ma, nonostante l’autorevolezza di Massimo, sono convinto che l’elaborazione, il fotoritocco o la post-produzione fotografica , comunque la vogliamo chiamare, sia una fase importante quasi quanto lo scatto.
Le frasi come ‘ma allora é ritoccata‘ sono delle banalità talmente semplici che son convinto si estingueranno presto quando l’ammissione dei best photographers sfaterá questo taboo.
C’é un limite all’elaborazione delle fotosub?
La mia risposta é si, certamente, ma solo quando l’editing rende la foto visibilmente artefatta, in negativo.
Il limite d’altronde o c’é o non c’è , non credo nei ‘piccolissimi interventi che rendono vedibile un file RAW’, piccoli é relativo e non quantificabile. I ritocchi si fanno o non si fanno, secondo me si fanno ma non vanno fatti vedere, non vanno svelati ma nemmeno taciuti.
Questo non vuol dire che non ci dobbiamo più impegnare a ricercare scatti perfetti in origine, anzi.
La postproduzione é quella che i nostri antenati, ai tempi della pellicola chiamavano sviluppo ed effettuavano in una camera oscura invece che dalla camera luminosa di Adobe.