Stimare l’età di squali e razze è sempre stato un lavoro difficile per il biologo, soprattutto per colpa del loro scheletro, che non è fatto di tessuto osseo ma di cartilagine.
È un lavoro utile, consente a chi cerca di gestire la pesca di avere informazioni sulla struttura delle popolazioni naturali.
Con i pesci ossei la cosa è più facile: il tessuto osseo si accresce lasciando dei cerchi di accrescimento, più o meno come quelli che vediamo nei fusti degli alberi tagliati. Contando i cerchi si risale automaticamente all’età del pesce. Ma nei pesci cartilaginei la cosa è complicata: è vero che le vertebre calcificano, ma nella prima fase dalla deposizione del tessuto sono elastiche, flessibili, non lasciano cerchi di accrescimento così ben leggibili. Il conteggio degli anelli è stato confermato da altri metodi, come la marcatura con coloranti a fluorescenza o il dosaggio del carbonio radioattivo derivato dagli esperimenti nucleari degli anni ’50.
Ebbene, tutti questi metodi stanno rivelando dei vistosi punti deboli. Tanto che il dr. Alastair Hardy, della James Cook University, in Australia, è stato capace di dimostrare che lo squalo nutrice raggiunge facilmente i 40 anni di età, il doppio rispetto a quanto riferiscono i testi, e che l’età dello smeriglio della Nuova Zelanda è stata sempre sottostimata in media di 22 anni. Il suo lavoro è pubblicato dalla rivista Fish and Fisheries.
Una delle conseguenze più importanti è che ritenere gli squali pescati molto più giovani di quanto sono in realtà porta a esagerare le stime sul loro tasso di accrescimento, quindi sulla produttività degli stock sottoposti a prelievo da pesca.
In pratica dobbiamo cancellare tutto quello che pensavamo, e ripensare agli squali come a animali ancora più lenti a crescere e a svilupparsi, quindi ancora più sensibili alla sovrappesca e più lenti a recuperare,