Negli ultimi due mesi, lungo le coste Atlantiche di Spagna e Portogallo, si sono registrate diverse chiamate di soccorso, sempre per la stessa ragione: “le orche speronano la barca”. È molto strano, gli studiosi non ricordano episodi simili, sembra davvero che sia in corso un aumento dell’aggressività.
La memoria va a un libro che consiglio vivamente di leggere, Il Quinto Giorno di Frank Schätzing, un thriller ecologico in cui una situazione molto simile, con i cetacei che attaccano e affondano sistematicamente le barche, è descritta, nell’ambito di una rivolta generale degli oceani contro l’uomo.
Ma senza arrivare alla profezia di Schätzing, abbiamo pensato di sentire il parere di un’esperta di cetacei, la dottoressa Giulia Calogero, presidente dell’associazione Menkab di Savona che dal 2010 si occupa di varie attività scientifiche e di educazione ambientale.
Giulia, che ne pensi di questa storia? Perché le orche speronano la barca? Rivolta del Mare contro l’uomo, scoperta di un gioco nuovo, o risposta delle orche allo stress, provocato da un eccessivo numero di barche?
È difficile dare una risposta unica e univoca a questa domanda, come spesso accade quando si tratta del comportamento dei cetacei ci sono tanti fattori che andrebbero valutati e analizzati e purtroppo non tutte le informazioni necessarie sono a nostra disposizione. Ammesso che queste possano bastare.
Le orche sono cetacei estremamente intelligenti, con capacità cognitive incredibili, quindi è verosimile pensare che i comportamenti intrapresi siano dettati da scelte precise, ma del resto anche la semplice voglia di giocare è una scelta ben precisa.
Vorrei fare una premessa, come team Menkab studiamo i cetacei da diversi anni soprattutto nel Mediterraneo, ma non mi sento di poterci definire esperti di orche, una specie che nel nostro mare entra più che altro in modo occasionale, come avvenuto lo scorso dicembre. Questa vicenda ha incuriosito però anche noi, abituati a vedere l’interazione dei grandi cetacei anche con la nostra imbarcazione, ma mai di questo tipo.
Prima di tutto bisogna comprendere la vicenda analizzando il “dove” essa si sia verificata.
Nell’area di Barbate, dove si sono verificati alcuni degli episodi, le segnalazioni di orche che speronano la barca sono state molteplici, e dai racconti i cetacei sembrano aver continuato a speronare, spingere e aggredire le imbarcazioni anche per più di un’ora, questo potrebbe anche far pensare che possa non trattarsi di un comportamento dettato dalla semplice volontà di giocare, ma per esserne certi servirebbero descrizioni più accurate del loro comportamento. È possibile che un aumento dello stress nell’area abbia stimolato un certo tipo di comportamento aggressivo, nei confronti di ciò che loro hanno associato a un fastidio particolare, che magari in questo momento non sono più disposte a tollerare.
Alcuni ricercatori della zona hanno ipotizzato teorie differenti: dall’approccio utilizzato come allenamento per la caccia a semplice attività sociale e gioco. Magari la verità sta nel mezzo.
Purtroppo non ci sono osservazioni dirette riportate da esperti o ricercatori che lavorano sul mammiferi marini, e questo rende più difficile una valutazione accurata dal punto di vista etologico.
Le Orche speronano la barca. I precedenti
Non è del tutto vero che episodi del genere non abbiano precedenti. Nel 1978 per esempio la barca di Ambrogio Fogar, navigatore ed esploratore, fu affondata al largo delle Falkland da un branco di cetacei, probabilmente orche, costringendo i due occupanti a una fuga, con deriva di 74 giorni su un canotto di salvataggio. Ciò non toglie che questi attacchi siano sempre stati eccezionalmente rari. Le orche sono animali molto intelligenti, possiamo pensare che si sbaglino e attacchino le barche scambiandole per qualcosa d’altro?
Anche nel 1972 la famiglia Robertson è sopravvissuta al naufragio dopo lo speronamento di un gruppo di orche a largo delle Isole Galapagos. La loro esperienza è stata anche raccontata in un libro, “Survive the Savage Sea”. In realtà gli incontri finiti male tra imbarcazioni e cetacei non sono così rari, solo che molto più spesso è il cetaceo a avere la peggio, finendo ferito oppure addirittura ucciso dalle eliche o dall’impatto dovuto alla velocità. Questo chiaramente capita soprattutto se si considerano navi o imbarcazioni molto grandi, ma la grande velocità che ormai anche le imbarcazioni da diporto possono raggiungere, è un fattore che non si può sottovalutare.
Uno dei metodi per fare ricerca e riconoscere gli esemplari di orche e altri cetacei è la foto-identificazione, che si ottiene riconoscendo dettagli e particolari di ogni animale; spesso questo sistema è tristemente aiutato dalle cicatrici che i cetacei si procurano in seguito ad impatti con barche.
Per quanto riguarda l’intenzionalità o meno dell’attacco, è difficile pensare che un animale così intelligente possa scambiare le imbarcazioni per altro, però la vera domanda da porsi forse è se nella loro azione c’è l’intenzionalità del risultato che ottengono. In alcuni dei racconti di chi ha vissuto questa esperienza, si parla di timoni spezzati e barche con segni di denti, diverse volte anche in altre parti del mondo sono stati osservati pod in fase di gioco, sotto le barche e di fianco, spesso avvicinarsi molto al timone e trattenerlo, ma senza causare danni all’imbarcazione.
Bisogna però essere cauti, prima di parlare di attacco voluto all’uomo o con lo scopo di danneggiare la barca, parliamo di animali grandi che sviluppano tecniche di predazione molto precise e per loro il movimento delle imbarcazioni potrebbe anche risultare un’attrazione. O uno stimolo.
Capita anche con i delfini nel Mar Ligure: spesso è il movimento della barca che li porta a seguire la scia, a prua o a poppa, e una volta se si ferma o rallenta l’imbarcazione gli animali si allontanano. Talvolta invece accade esattamente il contrario e vengono a curiosare ancora più vicini.
Un po’ dipende dalle specie: globicefali e pseudorche tendono ad avvicinarsi con l’imbarcazione a motore spento, come abbiamo potuto osservare durante i nostri avvistamenti, mentre spesso le stenelle seguono la scia della barca per “surfare” nell’onda. Ma a prescindere dalla specie, il comportamento può variare anche dall’individuo, dal gruppo e dalle situazioni al contorno.
Avvistamenti eccezionali per il Mediterraneo
Questo è stato un anno eccezionale anche per il Mediterraneo, a partire dalle orche di Genova dell’inverno passato, che hai raccontato su Scubazone n. 50, per arrivare ai molti avvistamenti di cetacei che raramente si spingono a queste latitudini. Quanto possono entrarci il cambiamento climatico, o il lockdown che ha quasi azzerato la navigazione?
Gli avvistamenti del 2020 per Menkab e per molti altri ricercatori in effetti sono partiti con l’avvistamento delle orche nel dicembre 2019. Un gruppo che abbiamo seguito confrontandoci con i ricercatori presenti nel Mediterraneo per tutto il mese di dicembre, fino all’inizio del lockdown a marzo.
In modo quasi stupefacente proprio di questi giorni è il nostro avvistamento di un gruppo di oltre 20 esemplari di pseudorche (False Killer Whale) che abbiamo identificato appena fuori Savona con i colleghi Biagio Violi e Elia Biasissi, grazie alla segnalazione del nostro collaboratore Nicolò che era fuori in barca a vela.
Così come è stato per le megattere e per le orche prima, non mi piace personalmente definire raro questo tipo di avvistamenti, perché lascia passare un messaggio che dà un’idea di unicità al pubblico. Grazie allo stretto di Gibilterra, è possibile segnalare specie che qui non trovano la loro distribuzione tipica, ma che in modo occasionale possono essere avvistate. Con questo non voglio sminuire gli avvistamenti eccezionali ovviamente, perché lo sono e hanno entusiasmato noi prima di tutto.
Collegare questi avvistamenti al cambiamento climatico o anche al lockdown stesso non è semplice.
Il cambiamento climatico sta condizionando tutto il comparto marino, quindi in senso assoluto il cambiamento climatico c’entra, nella misura in cui variazioni di temperatura, di produzione primaria e altri fattori abiotici e biotici possono subire variazioni che si riflettono sulle abitudini alimentari, comportamentali e riproduttive di tutta la fauna marina.
Quest’estate, ad esempio, abbiamo osservato diverse balenottere comuni (il secondo animale più grande al mondo) sotto costa per periodi ripetuti, ben lontane dalle usuali zone di avvistamento. Difficoltà nel trovare le consuete fonti di foraggiamento al largo? Dovute a cosa? Per poter provare a rispondere e verificare così se le balene in questo caso possano aver subito uno stress maggiore a causa dell’assenza della loro fonte di alimento abituale, che le ha costrette ad avvicinarsi a costa per seguire le mangianze, bisognerà condividere i dati tra enti e comprendere al meglio le forze in gioco.
Un pensiero conclusivo, tornando agli episodi dell’Atlantico e delle Orche che speronano la barca. Cosa pensi che possa insegnarci tutto questo?
Prima di tutto non vorrei che fosse trasmesso il messaggio dell’orca killer, delle orche che speronano la barca per fare del male agli occupanti.
Già gli squali pagano l’immagine sbagliata venduta dal film “JAWS” (Lo squalo) e le orche possiedono già un nome in inglese (Killer Whale) che evoca un certo tipo di attitudine.
L’importante è che questi episodi non conducano diportisti, pescatori e fruitori del mare a reagire in modo sbagliato nei confronti delle orche, che già subiscono nelle aree atlantiche vicine a Gibilterra notevoli pressioni, a causa del traffico marittimo e della pesca effettuata con sistemi non regolamentati o non opportuni.
La popolazione di orche che frequenta le acque di Gibilterra è una popolazione molto piccola (ca. 40 esemplari), perciò altamente minacciata, che si ritrova a fronteggiare la sottrazione di cibo – i tonni – da parte dei pescatori locali.
Più che quello che ci potrebbe insegnare poi, penso a quello che dovrebbe stimolarci a fare: imparare e diffondere sempre di più il corretto atteggiamento da mantenere nei confronti dei cetacei, se avvistati in mare.
Stiamo parlando di specie che in teoria non dovrebbero nemmeno condividere con noi il loro spazio e invece si trovano costantemente circondate da imbarcazioni, e a dover condividere anche la loro fonte di alimento. Per questo ritengo sempre più importante la possibilità di realizzare interventi mirati a seconda delle situazioni che possano sensibilizzare e informare il pubblico, ancora più che imporre limitazioni per brevi periodi. Questo perché penso sia più efficace trasmettere un senso radicato di rispetto e conoscenza della biodiversità marina, piuttosto che pensare a forme di divieto e negazione che hanno un risultato scarso e solo finché sono imposte.