Durante un caldo pomeriggio autunnale io, Oscar e Maurizio, mentre parlavamo di eventuali ricerche storiche e spedizioni che potevamo organizzare, mi tornò in mente un lontano ricordo dei racconti che faceva mio nonno Giuseppe.
Egli fu fatto prigioniero dai tedeschi in un paese vicino a Pisa durante i rastrellamenti. Tutti gli uomini venivano portati via dalle loro famiglie e condotti nei campi di lavoro in Germania. Insieme a suo cognato Carlo finirono nel campo di concentramento di Dachau, in Polonia. Mio nonno raccontava sempre che entrambi erano stati molto fortunati perché vennero classificati come prigionieri politici e non vennero uccisi come invece succedeva in altri casi. La maggior parte degli uomini detenuti nei campi erano invece soldati italiani che vennero catturati proprio perché ignari dell’armistizio e della deposizione di Mussolini da parte del re. Gli altri, dopo la repubblica di Salò, furono obbligati al campo di lavoro come unica alternativa al combattere a fianco dei tedeschi.
Essi venivano rastrellati in virtù di un ricatto: se il soldato non si fosse presentato le milizie repubblichine avrebbero compiuto dure ritorsioni contro la sua famiglia. L’Italia settentrionale e centrale erano, all’epoca, ancora occupate dalle truppe tedesche e i nuovi reparti fascisti repubblichini le stavano abilmente controllando. I soldati italiani che preferivano non combattere furono rinchiusi nei campi, obbligati a compiere diversi lavori per i tedeschi, come quello di riaggiustare le linee elettriche e telefoniche che i bombardamenti alleati distruggevano. Intanto la posizione della Germania peggiorava. Gli alleati stavano liberando l’Italia e avanzavano verso le Alpi, i russi sfondavano ad est e gli americani ad ovest.
Mi raccontava che il lavoro era massacrante: ogni giorno uscivano dal campo per ripristinare le linee interrotte, sempre sotto il controllo delle guardie. E ricordava purtroppo di un soldato italiano che si era inginocchiato piangendo, supplicando “non ce la faccio più”, al quale fu sferrato un colpo sulla nuca col calcio della pistola. Stramazzò davanti ai compagni. Mi disse che erano diventate immagini indelebili nella sua memoria. Si nutriva spesso di chiocciole crude, o pomodori fatti crescere nello sterco umano. Ma ricordava anche situazioni divertenti. I prigionieri facevano spesso i loro bisogni dietro un muretto circondato da alberelli.
Una di quelle volte mio nonno gettò avventatamente il sacchetto col contenuto al di là del muro dove stava passando una sentinella tedesca…seguirono imprecazioni rabbiose e qualche colpo di pistola che immediatamente lo indussero a capire cos’era successo, e a pantaloni abbassati, scappò di corsa, evitando una vendetta sicura.
In una fredda giornata di Novembre, sentite alla rinfusa alcune notizie sulla condizione belligerante tedesca, decise che era giunto il momento di evadere dal campo. Parlò così a suo cognato e a tre loro compagni:
“noi prigionieri siamo in tanti, i tedeschi che ci controllano sono pochi. Qui è giunta notizia da parte degli ultimi arrivati che la situazione per i nazisti è ormai tragica, gli americani sono già a ridosso delle Alpi e quindi i tedeschi dovranno lasciare il campo, retrocedere e poi organizzarsi su altre linee difensive. Se restiamo qui ci faran fuori tutti, sarebbe troppo rischioso da parte loro lasciarci in vita o in libertà, fosse solo per paura di ritorsioni da parte nostra. Tentiamo!”
La notte misero in atto la ponderata fuga: si sarebbero ritrovati dietro il muro dei bisogni, protetti anche dalla vegetazione. In fondo a quello si intravedeva il bosco e una volta raggiunto si sarebbe aperta qualche consistente speranza. Certamente, scoperta la fuga, sarebbe iniziata una caccia all’uomo, ma tra il rischio di venire ripresi, come era successo ad altri, ed una morte quasi certa, non v’era tentennamento né proporzione: valeva la pena comunque tentare! E fu così che il gruppo scivolò furtivamente dal campo da un buco fatto nella rete e riuscendo ad eludere la sorveglianza delle sentinelle raggiunse il bosco, poi di corsa verso i cespugli e le sterpaglie, verso la vegetazione sempre più fitta. Anche se esausti e denutriti decisero concordi i turni di guardia in modo da potersi lasciar andare ad un dormiveglia di qualche ora. Continuarono a camminare per ore e giorni e all’alba di uno di questi, con loro agognata sorpresa, si accorsero che il traguardo era quasi divenuto realtà :
“ce l’abbiamo fatta ragazzi!!”
La prima neve dell’autunno li aveva aiutati, le tracce erano state coperte. Si diressero verso il confine italiano. Passarono per vie solitarie ed impervie, tra le creste dei monti, trovando perfino aiuto da una famiglia contadina che dette loro cibo e riposo e il cui buon senso li salvò dalla follia fascista dell’epoca. Ormai erano arrivati a Bolzano ma la loro guerra non era ancora finita. Si trovavano infatti in un paese privo di sicurezza perché non era stato ancora liberato dalle forze alleate. Degli altri compagni del campo poi non si seppe più nulla.. Il gruppo infine si separò, mio nonno e suo cognato si diressero verso la Toscana, gli altri in altri luoghi di altre regioni.
Si diressero a piedi verso casa e, scendendo verso il centro si imbatterono nelle rive del lago di Como. Qui si fermarono e furono accolti di nascosto da famiglie del luogo per qualche giorno. Mi nonno continuava con il suo racconto lucido e vivo e mi diceva come fosse dura la vita in quel periodo: non c’era da mangiare, la gente più fortunata aveva ancora qualche moneta e forse qualche gioiello, nulla più. Mi raccontava di come molte famiglie che vivevano sul lago di Como avessero l’uso di nascondere, in sacchi legati con lunghe cordicelle, i pochi soldi e i pochi averi rimasti, quelli di grande valore, che poi gettavano dalle finestre di casa nel lago, per non farli trovare dai Tedeschi o dagli squadristi fascisti durante le ormai diffuse incursioni nelle case. Quest’ultimi prendevano qualsiasi cosa che gli capitava a tiro per poterla rivendere al mercato nero. A questo punto Oscar, in qualità di profondo conoscitore della storia del territorio di Como, sbalordito mi disse che spesso, durante le sue immersioni nel lago, trovava dei sacchetti di juta legati con un cordino, vuoti per lo più ma altre volte riportavano all’interno poche monete dell’epoca. Collegammo così i fatti e nacque l’idea di poter cercare una testimonianza scritta di ciò che a me era stato raccontato da mio nonno e di quel che Oscar aveva trovato. Così ci siamo messi subito al lavoro.
Dopo alcune settimane son saltati fuori, nella immensa e districata rete di internet, alcuni racconti fatti da persone di quel periodo che, ancora oggi ricordavano quello che noi stavamo vivendo.
Ecco le prove!! Quelle che cercavamo ….
ELIA ASCOLTA CATERINA
Nel 1943 avevo 15 anni. Erano momenti brutti, c’era la guerra tra partigiani e fascisti , i ragazzi di 18 anni venivano caricati sui treno merci, ed una volta arrivati a destinazione alcuni venivano fucilati, mentre altri messi ai lavori forzati,con dietro guardie tedesche e, i prigionieri, alcune volte erano lasciati senza cibo. Verso la fine della guerra venivano a prendere anche donne e bambini. Non c’era cibo e per ottenerlo bisognava dare un bollino allo spaccio, non c’erano neanche soldi e quei pochi che avevamo erano nascosti in piccoli sacchettini di tela e legati con un pezzo di corda e buttati nel lago per paura che i tedeschi li portassero via.
Nella scuola non c’erano molti insegnanti e all’età di 15 anni già non ci andavamo più. Gli unici divertimenti erano le lunghe passeggiate. Durante la guerra c’erano fascisti che vendevano cibo a prezzi carissimi, essi venivano chiamati la borsa nera. Non c’erano ne scarpe ne vestiti,cercavamo poi di fabbricarli da soli e di confezionarli in casa; per le scarpe c’era ilcalzolaio ma per non spendere troppi soldi noi costruivamo da soli zoccoli di legno di tiglio. Le persone anziane portavano sempre pantaloni bianchi e neri di cotone rigati e loro usavano tutto l’anno, alle donne era vietato portarli, loro vestivano grembiuli solitamente scuri di cotone; chi invece aveva delle pecore filava la lana e faceva maglie, calze, berretti e sciarpe. Per non avere tutti gli indumenti bianchi si faceva bollire le ghiande della pianta di carpano e si intingeva dentro l’acqua bollita in questo modo, la lana da tingere.
Per andare e tornare dal lago al paese si usava l’asino con la slitta per trasportare la merce.
Mi sono accorta che la guerra era finita perché suonavano tutte le campane e la gente esultava,
nel paese c’era una radio sola, fu messa alla finestra e tutti andavano ad ascoltare la radio che dava informazioni sulla fine della guerra.
DAVIDE ASCOLTA ELENA
Vissi in continua tensione e preoccupazione nel periodo del conflitto bellico poiché le informazioni erano poche e molte volte provai una fitta al cuore in questa interminabile attesa per la fine di una guerra
della quale non riuscivo a comprendere le motivazioni.
Scrissi un gran numero di lettere al mio futuro marito nel lager, ma le risposte che ottenni furono molto minori, anche se mi rassicuravano un po’… era vivo! Ho fatto parte del comitato della Resistenza quando avevo 25 anni e credo di essere stata la prima a Torno (CO) che è venuta a conoscenza dell’imminente liberazione del nostro Paese.
Fortunatamente i miei genitori lavoravano qui a Torno in un negozio di macelleria e salumeria e potevamo permetterci qualcosa di più rispetto ai miseri alimenti imposti dalla tessera annuale. Tutto era controllato dai tedeschi: si potevano acquistare 1 hg di pane e 20 g di margarina al giorno e i pochi soldi che guadagnavo li nascondevo in una pezza di iuta, legato con una cordicella li buttavo nel lago,in posti prestabiliti, evitando che nelle continue perquisizioni fasciste e tedesche me li trovassero e me li portassero via.
Inoltre lavorai al Saprai, un ufficio che provvedeva allo smistamento dei generi alimentari, in Questo modo ricevevo dei buoni e riuscii a spedire di nascosto diversi sacchi di farina ai partigiani che si trovavano in Valsassina o in zone limitrofe. Tutto ciò avveniva con la massima segretezza poiché a Sant’Agostino (Como) era appostato il comando tedesco che voleva conoscere ogni dettaglio della situazione.
Anche se conobbi un uomo, un tedesco che, con una pronuncia italiana pessima,
mi disse di soffrire anche lui per la moglie e i figli rimasti in Germania. Ciò dimostra che tutti erano costretti a vivere questa terribile situazione e a combattere senza motivo, poiché la sofferenza degli alleati o dei nemici è la medesima.
La radio si ascoltava solo quando era possibile e ogni comunicazione veniva dall’Inghilterra.
Attesi con ansia il ritorno del mio fidanzato e finalmente il 27 agosto del ’45 gli andai incontro a Como,
e l’immensa gioia che provai nell’abbracciarlo fu indescrivibile… e ancora oggi mentre ne parlo provo la stessa emozione.
ELISABETTA ASCOLTA MARTINA
Martina nel 45 aveva 20 anni. A quel tempo le donne donavano la FEDE D’ORO che lo stato Italiano aveva loro chiesto. Il Duce aveva obbligato gli imprenditori ad indossare una camicia nera, mentre i ragazzi per fare ginnastica indossavano calzoni neri, e camicia bianca.
Le ragazze dovevano essere vestite con una camicia bianca e la gonna nera. Il CAMPO DUX era un campeggio di ragazzi. Le femmine andavano allo stadio di Como. Per mettersi in fila e formando così la parola DUX=duce, oppure le riunivano davanti alla casa del fascio (oggi palazzo Terragni), dove ascoltavano i discorsi del Duce.
Le amiche di mia nonna studiavano lingue alla Berlitz school a Como.
In questa scuola suonavano l’allarme per avvertire che gli aerei stranieri arrivavano a bombardare, ed esse scappavano. C’era la tessera annonaria, con la quale si potevano comprare vari generi alimentari, quali zucchero,farina, pane… il vestiario veniva acquistato in base alle proprie disponibilità finanziarie. Le scarpe allora in uso erano con il tacco in sughero o zoccoli.
Ricordo che molti nascondevano soldi , monete e i pochi gioielli, ricordi di famiglia ormai rimasti, in alcuni sachettini e legati con una corda li buttavano nel lago, in posti segreti, dove poi venivano ripescati. La gente aveva paura che durante le perquisizioni fasciste gli portassero via i loro poveri averi. Nel 1944 le lezioni scolastiche furono sospese a causa della guerra e gli studenti dell’ultimo a causa della guerra e gli studenti dell’ultimo anno dovettero rimandare gli esami.
Un giorno passò a Lezzeno un carro armato alleato: erano soldati africani. Sulla camionetta era Seduta una signora che aiutava l’esercito italiano.
Sul lago tra Bellagio e Tremezzo fu mitragliato un battello sul quale vi erano dei passeggeri e nelle vicinanze fu bombardato il Grand Hotel di Tremezzo. Benito Mussolini e Claretta Petacci furono giustiziati a Giulino di Mezzegra e i loro seguaci, i Gerarchi, tentarono di fuggire verso la Svizzera.
Il 25 aprile era commemorato nelle pubbliche piazze con canti e sventolio di bandiere.
FRANCESCA ASCOLTANO FRANCESCO
Nel 1943 andai a nascondermi in montagna insieme a miei cinque compaesani,
ma i carabinieri ci trovarono e portarono a Milano: la città era stata bombardata a parte il duomo.
Poi riscappai sulle montagne da solo.
Non c’era cibo e quindi mio padre veniva a portarmi la minestra, di notte non si potevano accendere luci ed ero costretto a dormire sugli alberi perché se i tedeschi mi avessero trovato mi avrebbero ucciso.
Arrivarono i Tedeschi e una volta arrivati presero il bestiame e i vestiti e perquisirono tutta la casa in cerca di monete,
gioielli che per fortuna li avevamo messi in alcuni sacchettini e legati con una lunga corda e buttati nel lago.
Fu cosi che non riuscirono a portare via i pochi soldi che avevamo e noi riuscimmo per un periodo a mangiare qualcosa grazie a quelle monete. Poi arrivarono nei paesi vicini e catturarono dei partigiani all’Alpe di Lemna.
Catturarono anche dei miei compaesani e li portarono in Germania per 3 anni. Gli americani arrivarono anche qui a Faggeto e i partigiani rimasti si unirono a loro per combattere i Tedeschi. Nelle osterie non si poteva discutere liberamente perché i tedeschi sospettavano che si parlasse male di loro ed era addirittura proibito macinare il grano esisteva la tessera per farsi dare il cibo come ad esempio 1 Kg di pane a settimana.
Alla notizie della fine della guerra tutti fecero festa e nelle piazze dei nostri piccoli paesi ci fu festa.
Avvalorati da queste notizie, tra ricordi familiari, racconti storici dati da persone del luogo e poi da la fantastica documentazione trovata in rete, racconti di persone dell’epoca, ci dette la voglia di continuare in questa avventura. Molte volte ci siamo immerse nel lago cercando qualche piccolo segno di un passato remoto e molte volte ci siamo guardati pensando di smettere con tali ricerche infrottuose. Ma non ci siamo mai lasciati prendere la mano, anzi più caparbi che mai abbiamo continuato nella ricerca, ci abbiamo creduto fino in fondo e questa nostra ostinazione ci ha dato ragione. Tutti insieme in un pomeriggio di fine inverno trovammo alcune cose interessanti che ci dettero ragione e ci premiarono di tutto il nostro lavoro e tempo speso, ma felici di aver ancora una volta dato luce a un pezzo della nostra storia .
Il Team Explorer PSAI ITALIA:
Leonardo Canale Responsabile PSAI Italia per le ricerche storiche, Maurizio Bertini Responsabile PSAI Italia
Oscar Lodi Rizzini: Istructor Trainer PSAI Italia, subacqueo fondista, il naso del gruppo colui che dalle asperità del fondale riesce a trovare indizi interessanti reduce da numerose spedizioni
Altre foto
video
Una Croce di Guerra con R.I??? Repubblica Italiana???? Mmmmm, avete trovato un cimelio post-bellico.
Ciao
La croce di Ferro è stata data a mio nonno dalla R.I. dopo la sua detenzione e il suo pericolo ritorno a casa. Non è stata ritrovata in acqua ma solo mnete
Grazie per il suo interesse.
Psai Italia