Circa 5.000 balene, tra dicembre e aprile di ogni anno, si spostano dal mar Glaciale Artico attraverso lo stretto di Bering lungo le coste della Baja California.
Ma da dove provengono e perché soprattutto queste balene compiono una tra le più lunghe migrazioni che conosciamo in natura?
In Baja California troviamo ben il 30% delle 80 specie di Cetacei esistenti al momento. Un dato davvero sorprendente, soprattutto se consideriamo anche la presenza dell’unica specie endemica di questo Ordine di mammiferi marini conosciuta al mondo rappresentata dalla piccola Focena del Golfo di California (Phocoena sinus). Ma di questo piccolo odontoceto dalla lunghezza di appena un metro e mezzo si stima purtroppo ne siano rimasti solo una ventina di individui e in un altro articolo spiegheremo perché.
Quindi, evidentemente, se troviamo così tante specie tra delfini e balene, si tratta di un vero paradiso per i Cetacei. Le condizioni sono in effetti ideali per vari fattori: poco traffico navale, acque ricche di alimento con grandi appezzamenti di plancton e branchi di milioni di sardine, meno predatori naturali che altrove. Ma non basta.
La specie più consistente tra le principali tre migratorie che visitano le coste della Baja è la Balena grigia, l’Eschrichtius robustus, come catalogata nel 1860 dallo zoologo svizzero Lilljeborg a causa della sua silouette poco slanciata. La Balena grigia è un cetaceo misticeto, dotato cioè di fanoni, lamine di cheratina che funzionano nella bocca come una rete e servono a trattenere l’alimento lasciando fuoriuscire l’acqua. Da adulta raggiunge i 12 metri e le 30 tonnellate di peso, come 6 elefanti per capirci, oppure come 400 persone.
Queste balene a ottobre di ogni anno intraprendono un viaggio ininterrotto di 8 settimane per coprire, come nel caso di alcuni esemplari, una distanza di oltre 10.000 km. Vediamo quali possono essere le ragioni più probabili.
Primo motivo: Le Balene vengono qui per riprodursi o per accoppiarsi, ad anni alterni. In queste due fasi di grande dispersione calorica e maggiore fabbisogno energetico, le acque della Baja California che permangono a circa 19-20 gradi rispetto ai gelidi 5 gradi delle zone di provenienza, garantiscono un risparmio energetico considerevole e permettono una resistenza fisica maggiore. Di fatto, durante la loro permanenza in Baja, le Balene vengono raramente viste alimentarsi, perché non devono produrre molto calore corporeo. La maggior parte perderà oltre il 20% del proprio peso in soli quattro mesi, ancora di più per le madri in allattamento. I neonati invece per le prime 8 settimane di vita aumenteranno di circa 90 kg al giorno nutrendosi di un latte tra i più grassi che conosciamo in natura, con circa il 50% di acidi grassi.
Secondo motivo: alla nascita i balenotteri hanno un assetto negativo, questo significa che in acque aperte faticherebbero a tenersi a galla, con un alto rischio di mortalità. L’alta salinità dell’acqua all’interno delle lagune dove nascono facilita al contrario la loro respirazione in superficie, aumentando enormemente il tasso di sopravvivenza della specie.
Terzo motivo: all’interno delle lagune sul Pacifico, i principali predatori dei balenotteri, cioè orche e grossi squali, non entrano. Se le balene per partorire non si rifuggiassero in queste basse baie protette, l’epoca delle nascite si trasformerebbe nelle acque di provenienza in una vera e propria mattanza operata soprattutto dalle orche, specie che già dimostra di conoscere bene i movimenti stagionali di leoni marini, lontre e mobule di cui si nutrono abitualmente.
Ipotesi, più che motivi, ma tre ipotesi scientificamente molto sensate.
La presenza delle Balene è stata talmente costante e certa nella storia che nella seconda metà del 1800 un baleniere di Boston di nome Charles Melville Scammon navigava per 20.000 km di sola andata dobbiando Capo Horn per venire a cacciarle fino in Baja. Scrisse in un suo diario che era “… facile come sparare a dei pesci in un barile”. Tornava ogni primavera nel Massachusetts con centinaia di barili di olio che venivano utilizzati per l’illuminazione stradale di Boston e New York e come olio lubrificante per le prime industrie nascenti.
Quando oggi guido lungo la bellissima salina che in 70 km conduce dal deserto di Vizcaino fino alle sponde della Laguna di San Ignacio, immagino ancora il puzzo rancido di decine di carcasse di balene private dello spesso grasso sottocutaneo lasciate marcire al sole. C’è un luogo preciso qui dove avveniva questo scempio e dove i fuochi ardevano giorno e notte sotto barili di grasso per fonderlo e trasformarlo in olio. Si chiama “La Freidora”, la friggitrice.
Ma dopo 10 anni di caccia, le Balene nelle Lagune di Bahia Magdalena, San Ignacio e Ojo de Liebre erano quasi scomparse e Scammons per fortuna non fece più ritorno in Baja California. L’incremento delle nascite riprese progressivamente fino ai nostri giorni.
Oggi, durante le prime due settimane di marzo, quando si registra il maggior numero di esemplari adulti e piccoli, vengono censite circa 120 balene nella piccola Laguna di San Ignacio e altre 3.000 distribuite nelle altre due immense lagune. Questo grazie anche al governo messicano che tra i primi al mondo, nel 1946, proibì definitivamente la caccia alle balene.
Curiosamente però l’attività di Scammons produsse, con la pubblicazione del suo libro The Marine Mammals of the North-western Coast of North America, il primo testo di carattere scientifico che descriveva anatomia, biologia e comportamento delle balene. Il sezionamento delle carcasse permise di scoprire i primi segreti di questi animali così misteriosi ancora oggi ed è ancora tra i testi più interessanti dell’intera letteratura disponibile.
Immergersi con le bombole nelle acque delle lagune richiede un permesso speciale dalla procedura laboriosa e l’esito incerto. Più facile se ad immergersi sono note compagnie di produzione di documentari o fotografi professionisti di comprovata abilità.
Ma immergersi nelle acque fredde e torbide delle Lagune non offre sicuramente le stesse emozioni che si vivono vedendo le balene dalla superficie.
La presenza innocua dell’uomo in queste acque durante gli ultimi 75 anni ha fatto si che le balene acquisissero fiduca piena nei confronti dei pescatori. Anni fa ho conosciuto a San Ignacio Pachico Mayoral, un pescatore locale considerato il primo ad aver vissuto un contatto diretto con una balena. Successe a metà degli anni ’70, Pachico stava recuperando a bordo delle nasse quando a poppa della sua barchetta una grossa balena grigia emerge con la testa dall’acqua e lentamente la appoggia sul bordo facendo pericolosamente inclinare l’imbarcazione. Pachico esita di fronte all’enorme balena, la vede guardarlo, si avvicina e lentamente l’accarezza. La balena si intrattiene, si immerge, riemerge e cerca quel contatto sempre più frequentemente e sempre più fiduciosa. Tornando nei giorni seguenti, lo strano comportamento si ripete puntualmente. La balena lo cerca. E lui l’accoglie.
Pachico Mayoral non lo sa ancora, ma quel giorno inaugura una dinamica per da 40 anni costituisce una sana fonte di reddito per tutti i pescatori delle lagune sudcaliforniane che d’inverno cessano la pesca e si trasformano in operatori turistici. Oggi viene obbligatoriamente impartito loro un corso federale annuale per apprendere e rinfrescare nozioni fondamentali sulla specie e viene rilasciata una certificazione per evitare che l’iniziativa di persone non autorizzate possa disturbare le balene. Un altro lodevole esempio di introito economico attraverso la conservazione.
Oggi questo incredibile evento è diventato talmente frequente che le balene, una volta partoriti i loro piccoli e trascorse le prime 4-5 settimane di vita, li avvicinano con il muso alle imbarcazioni perché possano familiarizzare con questa presenza amica nelle fasi primordiali della loro vita. In natura questo comportamento si chiama imprinting e in questo caso si tratta di presentare degli amici e non dei pericoli.
Alla Laguna di San Ignacio, la mia preferita e quella dove mi sento di casa, si arriva di pomeriggio con l’auto coperta di fango e sale e si dorme in un campo tendato a pochi metri dalla spiaggia. Ferdinando sorride per salutarmi, ci abbracciamo forte e ci diamo due pacche rumorose sulla spalla sinistra, come si usa qui. Vengo qui da 10 anni e ho portato con me almeno 400 viaggiatori. Il suo viso è una carta geografica, parliamo come se ci fossimo visti il giorno prima, ma è passato un anno o anche più. Ci sediamo guardando il mare che sembra un lago, mi aggiorna parlando a voce bassa su numero di balene, novità del campo, storie locali, meteo del giorno dopo. Poi quando il cielo diventa di un tono cobalto scuro, come avviene lontano da fonti luminose, compaiono le stelle e alziamo il bavero. Sul Pacifico d’inverno la temperatura di sera scende sui 12 gradi. Allora entriamo nella mensa di legno al calduccio, c’è profumo di buona cucina di mare, sui tavoli ci sono tante macchine fotografiche. C’è una bella atmosfera. L’accampamento è frequentato ogni inverno da documentaristi e biologi marini di tutto il mondo che qui si radunano per studiare le Balene grigie in ottimali condizioni di avvicinamento. Studiosi e fotografi chiaccherano con i 20 visitatori ammessi. È il miglior luogo al mondo per avvicinare le Balene. Con i miei gruppetti quando siamo qui effettuo almeno due uscite in barca per ammirare questi mansueti giganti del mare.
Quando esco in mare spero sempre di rivedere alcuni esemplari che già conosco. E a volte accade. Ma non lo dico, perché nessuno mi crederebbe mai. La “Manchada”, la “Gorda”, la “Despechosa”, la “Blanca”, la “Moncha” come le chiamano i pescatori che guidano le lance, tutte riconoscibili per macchie o cicatrici facilmente distinguibili sul dorso o per loro strane abitudini. Si arriva all’interno dell’area di osservazione dopo circa 15 minuti a 20 nodi, si riducono i giri del motore al minimo, si attende galleggiando sulle acqua calme. In reatà non siamo noi a cercarle, ma il contrario. Mai seguire un balena che mostra di non volersi far avvicinare, si immergerebbe scomparendo. D’improvviso le balene grigie emergono intorno alla barca tra la sorpresa e gli scatti dei presenti. Io allora vado a prua, mi sporgo, muovo l’acqua con la mano e ancora una volta il miracolo si avvera. Lentamente le enormi teste ricoperte di balani, denti di cane e altri minuscoli crostacei che vivono sulla balena come fosse un’isola si avvicinano sotto la superfice per riemergere a pochi centimetri. Avviene il contatto, la tocco, la carezzo, la pelle è liscia e tiepida, sembra di toccare un canotto, sotto ci sono 12 cm di grasso adiposo, si scorgono i piccoli peli, retaggio evolutivo del loro antenato terrestre, il Pachiceto. È una sensazione incredibile e indescrivibile: una balena che cerca la carezza di un uomo. È chiaro che qui sanno che non hanno nulla da temere, è chiaro che capiscono telepaticamente i miei pensieri, la mia ammirazione, il mio grande rispetto per la loro grande anima, la mia piena gratitudine. Sono animali saggi, che proteggono da squali altre specie, sensibili, intelligenti, giocherelloni, con lunghissima e acuta memoria, con stretti legami sociali, con vocabolario e dialetti, con personalità diverse. Sono molto più simili a noi di quanto si possa immaginare. Sono intelligenti come i Primati. Una volta ne ho vista una che scorrendo lungo la fiancata della barca ha fissato in quattro tempi diversi i volti di quattro di noi appoggiati al bordo: era pienamente consapevole della nostra individualità, del nostro essere uomini sopra una barca. Ci ha guardati dritti in volto mentre stava pensando a noi.
Ricordo che in alcune occasioni ho avuto le lacrime agli occhi per tanta meraviglia. Malgrado tutto quello che facciamo loro, le balene ancora ci cercano, hanno fiducia in noi, ci vogliono vicini. Siamo mammiferi, il contatto fisico è fondamentale per la nostra vita, amiamo le carezze e l’amicizia. Ne abbiamo bisogno per il nostro benessere psicofisico. Ho avuto il privilegio di avvicinarle anche in acque aperte e anche lì, la stessa relazione: sguardi, movimenti attenti, curiosità, pance al’aria come fossero gattini.
È successo anche lo scorso aprile nel Mediterraneo, quando un giovane esemplare solitario di Balena grigia di poco più di un anno battezzata “Wally” si aggirava inspiegabilmente nel nostro mare distante 10.000 km dal suo areale di residenza. Nuccia Filomena Lucci vede dalle finestre della sua casa di Baia la balena che si aggira nella acque basse del golfo di Pozzuoli, scende al porticciolo con i suoi amici e con un battello gonfiabile cercano di allontanarla dal basso fondale della costa per evitare che si areni, l’affiancano, lei affiora e guarda Nuccia negli occhi che, colta da un istinto primordiale incontenibile, l’accarezza. La Balena di circa 7 metri non mostra alcun cenno di molestia e prosegue navigando per un pò a fianco dei suoi nuovi amici prima di allontanarsi verso le acque aperte. Nuccia mi cerca on line e mi scrive preoccupata dal momento che molti, tra cui tanti esperti, si scagliano su di lei per il suo gesto innocente. Le risposi che con la sua carezza aveva fatto il regalo più bello possibile a una balena solitaria e smarrita.
La confidenza di un animale libero è un dono prezioso, non possiamo tradirlo. Né possiamo pensare che le loro carcasse siano utili all’uomo, o continuare a ignorare che molta carne finisce nelle scatolette di cibo per cani e gatti sotto la dicitura generica di “grassi animali”. In ogni luogo del mondo bisogna opporsi in tutti i modi alla caccia delle balene o alla cattura di orche e delfini per la cattività. Fatelo sempre appena ne avete occasione, anche se solo con una semplice firma on line. Non andate mai più nei delfinari, ma viaggiate per vedere questi meravigliosi animali liberi nel loro ambiente. È possibile anche in Italia. Oppure venite in Baja e capirete immediatamente perché: toccate una Balena e la Balena toccherà il vostro cuore.