Pubblichiamo la triste testimonianza di Vladislav, sub russo disperso in mare con gli amici, l’unico del gruppo che si è salvato e che vuole darci la sua testimonianza nella speranza di avere notizie dei suoi amici e per far riflettere sull’importanza della sicurezza durante le immersioni.
Autore: Vladislav Lukyanchenko
Immersione al reef di Elphinstone
C’erano 8 persone nel nostro gruppo: Pavel, Julia, io, Dima, Lena, Michel (dall’Olanda) e 2 Andrea ( padre e figlio).
Tra le persone che si immergono al reef di Elphinstone, Dima ed io stavamo completando un corso AOWD (guidato da Lena), Michel era un AOWD. Lena era istruttrice certificata in parecchie scuole di immersione. Ci era rimasta solo una notturna per completare il corso. La notturna era stata programmata alla fine di quel giorno. Lena aveva chiesto a Pavel e Julia di non venire con noi a causa delle loro insufficienti capacità di immersione.
Sabato, 6 gennaio, noi programmammo 2 immersioni al mattino a Elphinstone, situato a 10 km dalla costa, un’altra dopo pranzo, e una notturna. La partenza dal campeggio per la scogliera era alle 5.45 a.m. e si sarebbe svolta solamente con condizioni metereologiche soddisfacenti.
Quando ci alzammo alle 5.30 e andammo a bere il caffé, il vento era debole ed il mare sembrava abbastanza tranquillo. Noi non vedemmo nessuno del personale del campeggio. Avendo aspettato fino alle 6.00 e non avendo visto nessuno dei locali, andammo a cercarli. Finalmente apparve un Arabo e dichiarò, che lui era stato informato della partenza alle 6.15. Dopo aver brontolato un po’, ritornammo alle nostre case per scaldarci. Non è caldo di mattina neanche in Egitto, con una temperatura diurna media a gennaio di 17°C e il vento.
Indossammo le nostre mute dentro le case, era più caldo andare in macchina con su le mute. Indossavamo tutti mute da 5 mm. Lena aveva la propria, Dima l’aveva affittata a Mosca, Michel ed io l’avevamo affittata nel campeggio. Lena lasciò la sua muta supplementare da 1mm a Julia, così solamente Michel indossava la seconda muta da 1mm. Io decisi di chiedere al personale del campeggio un cappuccio, ma dissero che non ne avevano. Bene, pazienza. Dima aveva anche i guanti. Anticipando le domande, vorrei dire che io non so che muta avesse la guida (il suo nome era Mahmud), ma lui aveva il cappuccio e i guanti.
Credo che tutti cominciammo a uscire e a caricare la nostra attrezzatura in macchina solamente verso le 7a.m.. I racket e le bombole per le immersioni erano state preparate dalla sera prima. Alle 7.15 quando stavamo per partire, Emad, direttore e proprietario di questo campeggio (Beach Safari) era venuto da noi e stava gridando al personale che eravamo in ritardo.
La barca era a Egla beach, 2-3 km a sud del campeggio. Era a 20-40m dalla costa e mentre Mahmud stava nuotando verso di lei per portarla a riva, noi saltavamo sulla spiaggia per scaldarci. La barca era per 6-8 persone al massimo, era un pezzo singolo (non come gli Zodiac con i bordi gonfiabili). Avendo portato tutta l’attrezzatura e le bombole supplementari e di ricambio alla barca, noi cominciammo a navigare lentamente. Era un divertimento saltare sulle onde per i primi 5-10 minuti, ma poi era come essere sulle "montagne russe", perché stando in piedi nella parte anteriore della barca alla sinistra del conducente (il suo nome era Ibrahim) ci si doveva continuamente asciugare l’acqua dalla faccia e io potevo solamente vedere che saltavamo verso l’onda successiva. Per non cadere dalla barca dovevamo ammortizzare con le gambe. In barca era tutto bagnato, anche la nostra colazione che è stata nascosta nella prua della barca. Qualche volta i ragazzi arabi scambiavano qualche parola, e Lena mi aveva detto che loro potevano tornare indietro. Posso dire che Ibrahim stava guidando la barca piuttosto bene, rallentando opportunamente ed accelerando per non sbattere la barca contro le onde.
Ci stavamo dirigendo verso nord-est. Davanti si vedeva una barca abbastanza grande (yacht), non lontano dalla scogliera (il reef sembra una linea di onde di schiuma bianca). Essendo arrivato al reef io avevo notato 2-3 Zodiac che navigavano intorno e, da quel che ho capito, aspettavano che i loro sub tornassero. Ibrahim e Mahmud scambiarono alcune parole con i conducenti di questi Zodiac.
Lena parlò un po’ con Mahmud in inglese; io non ascoltavo la conversazione. Poi lei ci disse in russo che stavamo programmando di fare la prima immersione lungo il muro della scogliera orientale, cominciando dalla sua parte centrale, profondità programmata: – 25 metri. Nella parte settentrionale, probabilmente avremmo potuto vedere gli squali. La barca sarebbe andata alla deriva con la corrente e ci avrebbe raccolto appena tornati in superficie. Indossammo l’attrezzatura a fatica (maschere, pinne, jacket con le bombole) e con più grande forza ci mettemmo lungo i bordi della barca, cercando di non cadere troppo presto dalla barca che barcollava piuttosto seriamente. Ibrahim aveva portato la barca più vicino alla scogliera, contò "uno-due-tre", e noi lasciammo tutti insieme la barca. Dopo un po’ noi eravamo sott’acqua. Erano le 9 di mattina.
Guardando il reef, capimmo subito che la corrente era forte ed andava verso nord, nella direzione opposta alle onde. Io mi rilassai e tentai di valutare la velocità: era approssimativamente 0.5 metri per secondo. Guardai la guida. Mahmud tentò di agganciarsi al reef e di togliere il jacket per aggiustare qualcosa. Io imprecai con me stesso, perché un giorno prima durante l’immersione del mattino alla House Reef io avevo visto che lui stava facendo la stessa cosa rimanendo in piedi sui coralli e schiacciandoli. Continuando l’immersione osservavo i pesci e notai che Dima stava facendo fotografie a qualche cosa. Qualcuno, secondo me Michel era nella direzione opposto alla scogliera. Avendo guardato là, io vidi forme di qualche grande pesce nel blu, apparentemente squali. Mahmud si tuffò a parte dalla scogliera, andando più in profondità. Seguendolo, io guardai verso l’alto. 3-5 m sopra c’era Lena che stava facendo cenno a tutti noi di salire e non di andare più in profondità. Come lei disse più tardi, lei era a 40m di profondità ed ecco perché faceva cenno di non scendere più giù. Avendo guardato intorno, io trovai tutti coi i miei occhi. Avendo guardato verso il basso, io vidi un ramo della scogliera ad una maggiore profondità, e non potevo vedere il digradare dalla scogliera stessa. Per un po’ di tempo continuammo l’immersione lungo questo ramo, per quel che capivo, cercando di raggiungere la parete. La profondità era di circa 25m. Cercai di nuovo tutto il gruppo. Vidi Michel 5 m sopra di noi. Lui stava ondeggiando con la mano e stava indicando il suo manometro. All’inizio mi sembrava che lui stesse chiedendo quant’aria era rimasta nelle bombole, ecco perché io attirai l’attenzione di Lena e Dima verso Michel e guardai al mio manometro. Quando guardai di nuovo Michel, lui stava già respirando dall’octopus di Dima. Io li raggiunsi e guardai il manometro di Dima, aveva solamente 50 bar. Indicai a Dima che io avevo 150 bar ed allungai il mio octopus a Michel. Lui comunque non lo vide e loro (Michel e Dima) stavano risalendo piuttosto velocemente. Avendo raggiunto insieme a loro la profondità di 3-4m, io mi fermai e, essendomi assicurato che loro erano in superficie, ritornai giù da Lena e Mahmud. Quando li raggiunsi, Lena si stava ruotando un dito intorno alla tempia. Vidi che i due erano emersi. Mahmud cominciò a srotolare il pallone di segnalazione di posizione e ad emergere. Io mi stavo tenendo a Lena, e noi cominciammo ad emergere seguendo i dati del suo computer di immersione, dopo aver fatto 2 fermate di sicurezza e aver tentato di tenerci vicini alla nostra guida. Mahmud era affiorato molto più velocemente di noi. Quando noi risalimmo, erano circa le 9.30.
Essendo riemersi in superficie noi, prima di tutto, stavamo vicini e ci tenevamo per mano. Solamente Mahmud stava a galla separatamente col pedagno gonfiato a 5-10 metri di distanza. Non si vedeva nessuna barca. Alla distanza di 300-400 metri, ne era visibile una, molto probabilmente quella che avevamo visto prima. Dopo aver nuotato un po’ verso di lei e dopo aver gridato, noi capimmo che ci stavamo allontanando da lei. Ci orientammo un po’ e decidemmo per non gelare di nuotare lentamente nella direzione della spiaggia (era visibile) per essere trovati. Anticipando la storia, vorrei dire che quel giorno non vedemmo affatto alcuna barca di salvataggio.
Mahmud ci disse di buttar via le cinture dei pesi e noi lo facemmo. Parlammo un po’ della malattia di decompressione e dei suoi sintomi. Pensai che Dima e Michel si sentivano peggio degli altri perché loro erano risaliti molto velocemente. Alla domanda di quello che era accaduto sott’acqua, Michel rispose che stava finendo la loro aria e, lui non sapeva perché, il suo GAV poteva non essere stato gonfiato. Lui aveva paura di scendere giù ed era caduto nel panico. Dima disse, in russo, che Michel aveva respirato molto veloce, e Dima aveva chiaramente sentito che l’aria stava uscendo dalla bombola. Lena ci disse che noi eravamo scesi troppo. Noi rimandammo tutte le discussioni a più tardi, perché il compito prioritario era uscire da questa situazione. Mahmud, stando a galla non lontano da me come mi era sembrato, aveva gettato via il pedagno. Lena ed io l’andammo a prendere, Lena lo prese e lo riavvolse.
Ci fu la proposta di buttar via le bombole. Dopo aver discusso un po’, decidemmo di provare. Lena non riusciva a toglier l’erogatore dalla mia bombola e questo è il motivo per cui io avevo tolto prima il suo, poi quello di Michel. Le bombole avevano assetto positivo. Avendo cercato di nuotare a dorso senza la bombola, i ragazzi decisero che non era così conveniente, ecco perché misero di nuovo le bombole ma con gli erogatori staccati.
Il sole stava scaldando da sud, il tempo scorreva impercettibilmente. Ci tenevamo per mano e nuotavamo col dorso in avanti, a volte guardandoci indietro nel tentativo di vedere il punto più vicino della costa ed nello stesso tempo riposarci. Le onde erano alte 1-2 metri. Era difficile tenere continuamente il corpo in posizione di seduta. Gli addominali si affaticavano molto. Michel stava nuotando a dorso, ed ecco perché era difficile capire la sua condizione, ma, mentre nuotava, usava sempre le gambe. Noi chiacchieravamo, scherzavamo sul fatto che, se fossimo morti, eravamo almeno in buona compagnia. Decidemmo che ognuno avrebbe avuto bisogno di un computer sub se qualcuno avesse avuto intenzione di fare degli allenamenti per le immersioni più o meno seriamente, e che Dima ed io lo avremmo comprato subito appena usciti da questa situazione.
Verso mezzogiorno noi vedemmo una barca di sub. Stava navigando dal nord al sud, a circa 500 m ad est da noi. La barca non rispose al nostro schiamazzo, scuotevamo le pinne e i pedagni. Chiesi a Lena, cosa ne pensasse se tentavamo di raggiungere la spiaggia senza l’attrezzatura. Lei disse " togliamo l’attrezzatura". Avendo nuotato 50m, io persi di vista la barca. Quando la vidi sull’onda successiva, purtroppo era già lontana. Aveva acceso il motore e si era allontanata. Dovetti tornare dagli altri. Noi continuammo a nuotare verso la costa. Mahmud stava ancora nuotando separatamente. In breve nuotò verso di noi e ci chiese di unirsi alla nostra catena. All’inizio lui nuotava alla fine della catena a sinistra di Michel, ma poi, quando lui cominciò ad addormentarsi, lui fu messo tra Michel e Dima.
Continuando a nuotare nella direzione della costa, io tentai di fissare un punto sulla costa e di nuotare direttamente in quella direzione. Notai il pilone di un’antenna abbastanza alto sulla costa verso il quale cominciammo a nuotare usandolo come una meta. Cercai di mostrare a Mahmud (lui stava perdendo la direzione continuamente e si stava addormentando) dove nuotare, ma lui non capì sia perché non conosceva bene la lingua inglese, sia a causa della stanchezza. La costa si stava avvicinando, e si respirava un certo ottimismo. Io dissi a tutti in inglese che, molto probabilmente, noi avremmo raggiunto la costa in 4 ore. Michel rispose a voce bassa, "Allora senza di me" e ciò mi disturbò fortemente.
Il sole si stava già alzando all’orizzonte alle nostre spalle. La nostra nuotata si faceva molto più debole, e cominciò a sembrare che la costa non si stesse più avvicinando e che noi stavamo sempre nello stesso luogo. Era psicologicamente duro comprendere che le ultime forze ci stavano lasciando. Ci fece arrabbiare il fatto che non vedessimo nessuna operazione di salvataggio. Stava diventando molto più difficile da pensare. Il sole era tramontato, ma mentre era chiaro, cominciammo a vedere luci sulla costa. Era visibile anche una torretta vicino al palo dell’antenna; sembrava un faro con una lanterna rossa ed intermittente.
Già al crepuscolo avevo notato una barca di media grandezza alla mia destra, cioè a sud. Urlare, ondeggiare le pinne gialle ed i pedagni non servì a nulla. Noi gridavamo "uno-due-tre." Io avevo perso la voce. Avevamo capito troppo tardi, che sarebbe già stato possibile usare il flash della macchina fotografica. Le fotografie della poppa della barca non servirono a nulla. La nave passò a 100 metri da noi e navigò a nord. Lena piangeva. Io non avevo mai visto Lena piangere. Mi sentivo a disagio.
Eravamo di nuovo insieme e cominciammo a nuotare puntando al faro – la distanza non diminuiva. Non saremmo stati capaci di superare tutti insieme questi 3-5 km ed arrivare alla costa. In precedenza già avevo letto sull’inutilità di lottare contro l’efflusso. Circa mezz’ora più tardi parlai con Lena di questa proposta: io avrei nuotato verso la spiaggia da solo e avrei mandato loro le barche. Lei chiese se io fossi sicuro. Dissi che sarei affogato… I ragazzi non partecipavano a quella discussione, perché Mahmud si stava addormentando, Dima e Michel stavano galleggiando in superficie e stavano battendo le pinne molto lentamente. Mi sembrava che fosse l’unica soluzione corretta nuotare verso la costa, perché mi sentivo abbastanza forte per arrivare alla costa, ma non vedevo negli altri quella forza. Io tolsi i GAV con la bombola, misi la maschera e cominciai a nuotare. Erano circa le 18.
Nuotai intensamente a rana nella direzione del faro per un bel po’ di tempo. Una medusa mi punse alla mano destra, cominciò a far male. La profondità nera non causava nessuna emozione. Le onde non stavano ancora impedendo la vista della luce intermittente, e i fari delle macchine che percorrevano la strada principale erano visibili. Ma di nuovo la luce del faro smise di avvicinarsi. E per quanto cercassi di sforzarmi, la distanza non si riduceva. C’era, apparentemente, della corrente. Essendo ormai ridotto a pezzi, rassegnato, cambiai direzione verso il successivo faro a nord, mi misi di schiena, mi abbracciai con le mani e cominciai a nuotare lentamente, guardando le stelle e parlando loro. Voltandomi ogni tanto cercavo di valutare la distanza dalla costa. Dopo circa 2 ore di nuoto solitario, notai delle luci sopra il mare, approssimativamente sopra il punto in cui ci eravamo separati. Dapprima, mi sembrò un proiettore diretto verso l’alto. Pensai subito che qualche barca li avesse trovati, ma in pochi minuti capii che era la luna che sorgeva.
Mentre nuotavo, mi addormentai un paio di volte. Mi inventavo delle ragioni per cui valesse la pena non dormire e vivere, nuotavo con le gambe stanche. Ancora una volta, avendo guardato la costa, capii, che era abbastanza vicina, e che l’avrei raggiunta. Mi misi nuotare a rana e dopo un po’ vidi il fondo del mare. Misi i piedi su una scogliera litoranea con grande sollievo. Dopo aver tolto le pinne ed essendo uscito dall’acqua, mi diressi verso alcune costruzioni. Erano circa le 21.
Sembrò essere Badawia, un hotel abbastanza grande. Trovai un paio di persone nel ristorante e cominciai a raccontare loro tutto. In 10 minuti c’ erano già circa 15 persone del posto, loro mi diedero vestiti beduini. Cambiai i miei vestiti con quelli beduini. Un uomo, per quel che ho capito un poliziotto, chiese se io fossi in grado di andare in quel luogo in barca, io dissi di "sì." Ci sedemmo in macchina, e poi uscimmo fuori per un po’ di tempo, non so perché. Mi diedero un telefono; descrissi ai soccorritori sulla barca i punti di riferimento del luogo, dove noi ci eravamo separati. Emad arrivò, ed invece che in barca mi portarono all’ospedale e mi esaminarono per un’ora. Quando finalmente io insistei di andare in barca, loro mi portarono al porto e dissero che la barca era andata via 10 minuti prima. Io già non ero capace di pensare e mi trovai all’ospedale quando loro mi riportarono là. Mi assicurarono che appena i ragazzi sarebbero stati trovati, loro li avrebbero portati in quel luogo.
Al mattino in ospedale non vidi nessuno. Svegliai il dottore e gli chiesi di portarmi al Beach Safari. Al mio arrivo Pavel e Julia andarono all’hotel vicino a spedire i numeri dei passaporti al consolato (gli originali dei passaporti erano stati presi dalla polizia) e le polizze di assicurazione alle relative compagnie.
Vladislav Lukyanchenko
http://monfornot.livejournal.com
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