La subacquea e le immersioni sono sicure? Il dibattito è aperto.
Queste sono domande ricorrenti nel mondo dei sub:
È sicuro immergersi col rebreather? È meglio immergersi a quote ricreative col rebreather o a circuito aperto? È sicura l’immersione in caverna? È sicura l’immersione in circuito aperto a 18 m?
La risposta più facile è: dipende. Vogliamo portare una serie di argomenti pro e contro per permettere al lettore (e subacqueo) di decidere da solo, perché alla fine è il subacqueo a decidere volontariamente di andare in acqua e accettare il rischio. L’articolo prende in esame alcune definizioni basilari per aiutarvi a definire la responsabilità, e come distinguere un’attività sicura da una pericolosa.
Nota: le statistiche provengono dal regno unito, come l’autore dell’articolo.
Definiamo la sicurezza in generale
“Sicurezza” da vocabolario è “la condizione di chi è protetto da un pericolo o rischio di riportare ferite, o di causarne a terzi”. Un concetto semplice, che però si complica quando parliamo di subacquea, perché manca una definizione chiara dei termini “rischio” o “pericolo”, e di quale possa essere un livello accettabile di pericolo. “Pericolo” è “la possibilità che qualcuno sia ferito o ucciso”. Essere sott’acqua significa essere in un ambiente insicuro, perché senza assistenza tecnica o meccanica la maggior parte delle persone annegherebbe a meno che possa raggiungere la superficie in uno o due minuti.
Gestione del Rischio in Diversi Settori: Aviazione, Energia Nucleare e Medicina
Negli ambienti dell’aviazione, dell’energia nucleare, della medicina, ci sono definizioni chiare del livello accettabile di rischio. I valori sono di solito stabiliti a un livello più alto di quello fissato dalle singole organizzazioni coinvolte, attraverso leggi o standard a cui bisogna adeguarsi per ricevere la certificazione di “sicuro”. Per ottenere questa certificazione si confronta il numero di incidenti reali con il livello standard definito per legge, per esempio un evento catastrofico ogni determinato numero di ore di volo.
In aviazione la determinazione della frequenza di incidenti è relativamente semplice, perché esiste un monitoraggio continuo dei passeggeri e delle ore di volo per ogni apparecchio. L’obiettivo dovrebbe essere zero incidenti, ma si accetta che questo non sia possibile, in quanto non è possibile predire e porre rimedio a ogni possibile incidente. Il fatto stesso che degli umani, fallibili, siano coinvolti nei controlli preventivi, implica che qualcosa possa sfuggire.
Analisi Economica del Rischio: Valutazione dell’Accettabilità
Alla fine definiamo come ragionevolmente fattibile un’impresa se il costo necessario per ridurre il rischio sarebbe di molto superiore (da 2 a 10 volte) all’impatto economico del rischio stesso, qualora si materializzi. In altre parole, se ci si aspetta che un’impresa provocherà la morte di una persona, e consideriamo il costo di questa perdita pari a circa 350.000 euro per ogni anno di vita che rimarrebbe, qualora il costo necessario per ridurre il rischio superi i 700.000 euro per gli anni di vita attesi l’azione sarebbe giudicata fattibile (solo relativamente ai costi connessi con la perdita di vite umane).
Veniamo alla subacquea sportiva, definita qui come subacquea ricreativa (circuito aperto) o tecnica (circuito semichiuso o chuso), che esclude la subacquea militare o commerciale (palombari, campane) ma include prestazioni professionali di istruttori. Fondamentalmente non esiste un’organizzazione onnicomprensiva che gestisca globalmente l’addestramento dei subacquei sportivi ed elabori statistiche di incidenti. Inoltre molte attività hanno luogo al di fuori di strutture capaci di supervisionare, quindi non ci sono dati su queste immersioni.
In assenza di un’organizzazione e di una legislatura che definisca il livello di rischio accettabile, sorgono alcune domande senza risposta:
- Come possiamo definire un livello ragionevolmente accettabile di rischio, se non abbiamo statistiche accurate?
- Cosa si potrebbe fare per ridurre il pericolo, se non conosciamo i rischi reali?
- Quanto possiamo investire per ridurre il pericolo, se non lo abbiamo definito con cura in termini quantitativi?
Sicurezza in immersione, cosa è il rischio?
Una definizione di rischio potrebbe essere “la probabilità che un evento abbia esiti negativi, e una misura di questi”. Il più semplice e ovvio esito negativo è la morte: sicuramente il più facile da definire, fortunatamente anche uno dei meno probabili. I numeri sono bassi: in Gran Bretagna tra il 1997 e il 2014 le morti nella subacquea sono state da 10 a 24 all’anno. Secondo fonti del DAN gli incidenti annuali nel ventennio tra il 1989 e il 2008 sono 89 in media, con valori che oscillano tra 67 e 114 e che includono casi di malattia da decompressione, pallonate, ingarbugliamenti, esaurimento del gas, tossicità da ossigeno, ipercapnia.
Per dare un senso al termine “probabilità” dovremmo avere più dati quantitativi: numero dei subacquei attivi in un anno, immersioni all’anno, ore passate sott’acqua all’anno. Sfortunatamente non conosciamo nemmeno il numero dei subacquei attivi in Gran Bretagna, e comunque statistiche sugli incidenti per subacqueo attivo non sarebbero tanto utili.
Il punto focale è l’esposizione al rischio, che dipende dalle ore di immersione ma è molto diversa tra un’immersione di 10 minuti a 12 m e un immersione con rebreather di 5 ore a 100m in acqua a 3°. E se anche arrivassimo a definire il numero di immersioni/anno, o il numero di ore passate in acqua, non avremmo ancora incluso fattori ambientali che influenzano il rischio.
Analisi dei Rischi: Incidenti Mortali e Patologie da Decompressione nella subacquea
Di conseguenza, non abbiamo delle statistiche affidabili. I grafici mostrano in dettaglio il tasso di incidenti mortali e di casi di malattia da decompressione.
Il tasso di incidenti mortali all’anno per 100.000 immersioni tra il 1998 e il 2014 è basato su una media di 32 immersioni per subacqueo all’anno (su uno studio del British Sub Aqua Club – BSAC). La popolazione dei subacquei britannici è estrapolata tra 70.775 e 67.559 (dati di associazione al BSAC).
Il tasso di Patologie Da Decompressione è basato su dati BSAC per gli anni dal 2000 al 2014. Pubblicazioni scientifiche di quegli anni attribuivano un rischio di PDD pari a 0,293 per le donne e 0,119 per gli uomini ogni 1000 immersioni. Sorprendentemente, riportando i dati alle misure della popolazione di subacquei fornite dal BSAC, questo equivale a un tasso medio di PDD di 1:191,3 per immersione per anno.
Secondo una ricerca condotta dal dr. Andrew Fock, il tasso di incidenti mortali tra gli utilizzatori di rebreather è da 4 a 10 volte superiore a quello dei subacquei ricreativi, ma lui stesso fa notare come la statistica non sia accurata, perché si basa su numeri troppo bassi.
Calcolo del rischio
Anche se possiamo basarci su un tasso di incidenti fatali calcolato di 0,469 – 1,118 ogni 100.000 immersioni e un tasso di casi di PDD pari a 0,092 – 0,204 ogni 1.000 immersioni, dobbiamo ammettere di avere una scarsissima capacità di calcolare il rischio e definire cosa significhi per noi. Noi siamo portati a sottostimare il rischio insito in qualsiasi attività che intraprendiamo. Per esempio, tra i medici che si dichiarano assolutamente certi della diagnosi fatta si rileva un tasso di errore pari al 40%.
Per via del disturbo statistico (la variabilità nel numero di incidenti fatali all’anno), il tasso di mortalità non è una misura attendibile del rischio, come non lo è cercare di capire se il rischio possa aumentare in base al comportamento del subacqueo. Se guardiamo a un altro modo di vedere l’incidente, per esempio l’insorgenza di PDD, le possibili variazioni sono infinite in termini di fattori fisiologici (preparazione fisica, rapporto grasso/muscoli, temperatura corporea, idratazione), fattori tecnici (scelta della miscela, velocità di risalita, algoritmo usato per la decompressione, protezione termica) e fattori ambientali (temperatura, carico di lavoro), tutto influenza la probabilità di insorgenza di una PDD e rende molto difficile valutare in modo sensato il rischio.
Cosa è sicuro?
Abbiamo definito sicurezza come l’assenza o l’efficace gestione del rischio, e visto come la definizione di un livello accettabile di rischio venga da organizzazioni o da individui. Ma alla fine immergersi è sicuro o no? L’accettazione o il rifiuto del rischio da parte di un’organizzazione dipende in linea di massima dal livello di rischio di perdita in termini di reputazione o commerciali che sono disposti a sostenere nel caso un evento fatale o comunque negativo si realizzi.
Questo è un modo di giocare ai dadi, investimento richiesto contro probabilità che il rischio si materializzi.
Un sistema con cui le organizzazioni cercano di gestire il rischio è l’uso di scarichi di responsabilità, che il sub firma attestando che conosce e accetta il rischio, scaricando dalla responsabilità l’organizzazione. In pratica il rischio è trasferito dall’organizzazione al sub. Però, come abbiamo detto prima, definire la probabilità del rischio in termini quantitativi (o anche qualitativi) è impossibile.
Percezione del Rischio Subacqueo: Fiducia, Preparazione e Esperienze Individuali
Un’ulteriore complicazione è il livello personale di accettazione di un rischio. Questo è influenzato da moltissimi fattori, non ultimo l’avversione o l’attrazione per il rischio, fattore a sua volta influenzato dalla fiducia nel compagno, dalla preparazione e dall’abilità di ciascuno. Un sub a cui siamo state mostrate scene tranquille, con pochi fattori di complicazione come scarsa visibilità e pericoli di ingarbugliamento, avrà una diversa percezione del rischio da uno a cui siano state mostrate le conseguenze di una risalita veloce, con PDD seria o un subacqueo morto. Fortunatamente le fatalità sono rare, ma questo non significa che il rischio non esista: casi di PDD, di esaurimento della miscela, risalite incontrollate, sono certamente più frequenti e tutte potrebbero concludersi con la morte, spesso evitata solo grazie alla resilienza del corpo umano.
Un altro fattore influenza la percezione e l’accettazione del rischio: l’omeostasi. La tendenza personale alla ricerca del rischio resta invariata, mentre nuove tecnologie che migliorano la sicurezza sono introdotte. Così, se soluzioni tecnologiche come i rebreather permettono una gestione più efficace del rischio in immersioni profonde e lunghe, la durata delle immersioni aumenta in modo enorme. Pensiamo solo che, rispetto a 15-20 anni fa, adesso immersioni oltre i 100 m di profondità o le 5 ore di tempo non sono inconsuete.
Comunicazione e Collaborazione: Fondamenta per Ridurre il Rischio in Subacquea
Insomma, se la probabilità che un rischio si materializzi può diventare un modello matematico, con punteggi diversi per i vari fattori che contribuiscono, è impossibile calcolare un valore assoluto o definire in modo efficace il livello di accettabilità. Quando mi è stato chiesto se la ricerca fatta per il mio PhD potesse essere usata per sviluppare un algoritmo per calcolare, in base all’inserimento di certi valori di partenza, la probabilità di un evento negativo, la mia risposta è stata: no!
Tutto quello che il sub può fare è gestire il rischio aderendo alle pratiche di sicurezza stabilite per il suo livello di esperienza, e incoraggiare i suoi compagni a fare lo stesso. Gli individui possono facilmente andare alla deriva, abbandonare le norme di sicurezza, ma, se un gruppo lavora assieme nel mantenere le pratiche corrette e fermare quelle scorrette, si riduce la probabilità della deriva individuale.
Come risultato, un team che funzioni bene può assumere rischi più elevati, perché gli individui che ne fanno parte possono comunicare bene e prontamente, hanno un’ottima capacità di gestire le situazioni, confidano nella capacità degli altri di fermare l’immersione se necessario.
Alla fine, l’immersione subacquea è sicura?
La risposta più facile è sì. Ma perché sia sicura come individuo dovrai essere intraprendente sia nel prevedere i rischi che possono presentarsi là fuori, sia nel gestirli attivamente per ridurli a un livello accettabile. Questo significa:
- Prendere le proprie responsabilità. Non confidare sempre che qualcun altro gestisca il pericolo per te, tu sei quello che va in acqua e che deve respirare e tornare in superficie se qualcosa va male.
- Destina una parte del tuo tempo all’allenamento e allo sviluppo delle abilità, per essere preparato quando succede qualcosa di inatteso. Non intendo solo seguire dei corsi, ma allenarsi in modo attivo mettendo in pratica quello che hai imparato.
- Conduci briefing efficaci sul programma dell’immersione e che comprendano qualche imprevisto, qualche “cosa facciamo se…”, per essere pronto alle peggiori evenienze.
- Conduci efficaci debriefing, che mettano a fuoco le cose andate bene,perché, e cosa si potrebbe fare per migliorare ancora la prossima volta.
- Se hai avuto un evento negativo (vedi box) considera di mandare un rapporto al DAN e alla tua organizzazione didattica, perché altri possano imparare dalla tue esperienza. È sempre meglio imparare dagli errori degli altri che doverne commettere in proprio.
- Prepara il tuo team in modo che ciascuno possa aiutare gli altri, non solo in caso di incidente, sempre, prima durante e dopo l’immersione. Che tutti siano in grado di vedere qualcosa che non va e di correggerlo. Il feedback esterno è fondamentale per migliorare prestazioni e sicurezza.
In conclusione, è una tua precisa responsabilità quella di saper riconoscere e gestire i rischi dell’immersione: e a prevenire, che è molto meglio che reagire.
Leggi anche: Le 10 situazioni più pericolose di un immersione subacquea
Definizioni di Incidente subacqueo, quali sono i possibili incidenti
- Esaurire l’aria/miscela respiratoria in immersione.
- Ritonare in superficie con meno di 50 bar nelle bombole (o comunque meno del minimo raccomandato dalla vostra agenzia). Ci potrebbero essre grandi differenze nella pressione finale se ti immergi con bombole indipendenti o con il sidemount.
- Restare impigliato o intrappolato durante l’immersione in lenze, reti, cime, dentro relitti o grotte.
- Risalita incontrollata in galleggiamento.
- Separazione dal compagno non pianificata, che origina una risalita da solo (immersioni pianificate come solo o separazioni pianificate non contano).
- Il subacqueo va incontro a tossicità da ossigeno, o la pO2 del reb supera il limite superiore in modo non richiesto o anticipato dal subacqueo (durante la discesa e la risalita, una pO2 più alta o più bassa potrebbe presentarsi temporaneamente, ma in modo atteso).
- Il subacqueo a circuito aperto respira un gas con pO2 < 0,18 sott’acqua, o il reb respira un gas con pO2 < 0,7 in modo non richiesto o anticipato dal subacqueo (durante la discesa e la risalita, una pO2 più alta o più bassa potrebbe presentarsi temporaneamente, ma in modo atteso).
- Difficile dare una definizione oggettiva, si collega a sintomi o segni di sovraffaticamento, eccessivo ritmo respiratorio.
- Problemi seri con l’attrezzatura, come blocco o ingarbugliamento del pedagno, blocco del sistema di gonfiaggio del GAV, erogazione continua, impossibilità di lasciare la cintura dei piombi se necessario, problema con il reb che costringe a interrompere l’immersione.
- PDD, con perdita di sensibilità, formicolio, debolezza muscolare, dolore, affaticamento, capogiro, problemi visivi, vertigini, nausea, perdita di coscienza, cambiamenti nella pelle.
- Narcosi da N2 o da CO2 con riduzione significativa nelle abilità motorie, consapevoezza e memoria.
testo e foto di Gareth Lock
traduzione di Massimo Boyer
articolo pubblicato su Scubazone n. 32