Autore: Andrea Neri
Nel 1989 uscì nelle sale cinematografiche un film classificato nel genere “Fantascienza”. Imperniato su episodi subacquei, presentava una sequenza particolare nella quale si vedeva un sub in immersione che, per raggiungere profondità elevatissime, respirava un liquido invece di particolari miscele di gas. L’idea apparve di per sé originale e degna appunto di un film di fantascienza, molti subacquei rimarrebbero sorpresi nell’apprendere che l’idea di James Cameron, regista di “The Abyss” possiede aderenti similitudini con ricerche scientifiche reali.
L’immersione subacquea ha molti condizionamenti imposti dalla comprimibilità dei gas, se fosse possibile sostituire i gas con miscele respiratorie incomprimibili queste problematiche potrebbero venire risolte. Attualmente gli unici composti dotati di tali caratteristiche sono i liquidi anche se, ovviamente, il problema che consegue al loro utilizzo per la respirazione e l’annegamento. E’ noto come nella dinamica dell’annegamento avvenga un passaggio netto di acqua e soluti attraverso le pareti degli alveoli polmonari (per processi di diffusione e osmosi) che determina danni tissutali ed alterazioni del volume e della composizione biochimica dei fluidi corporei.
Se una soluzione, contenente sali con concentrazione simile a quelle che si trovano nel plasma in condizioni normali, viene introdotta nel polmone non si dovrebbe verificare un passaggio di acqua o soluti attraverso la barriera aria/sangue. Riferendosi alla legge di Henry è noto che la quantità di gas disciolto in un liquido è direttamente proporzionale alla Pressione Parziale (Pp) del gas che si trova in equilibrio all’interfaccia gas-liquido. Appare teorizzabile che dovrebbe essere possibile evitare la morte per ipossia (Pp dell’ossigeno insufficiente ai fabbisogni cellulari), facendo respirare al subacqueo un liquido iperbaricamente ossigenato.
La prospettiva della respirazione liquida non è stata considerata attivamente fino al 1961 ed anche se è difficile prevedere gli sviluppi di tali ricerche, è interessante osservare i progressi ottenuti sia sugli animali che sull’uomo. In alcuni esperimenti effettuati su ratti e cani completamente immersi in soluzioni saline equilibrate e perfuse di ossigeno iperbarico, sono state registrate tutte le normali funzioni vitali per tempi fino a 18 ore. Gli animali sommersi in una soluzione alla quale era stato aggiunto un tampone di anidride carbonica (THAM) vivevano più a lungo che non in una identica soluzione priva di tampone.
In un ratto tracheotomizzato immerso in una soluzione salina semplice ossigenata iperbaricamente, la pressione arteriosa del biossido di carbonio era 75 mmHg e il Ph arterioso di 6.61 dopo 30 minuti, mentre in un altro ratto che, in condizioni per il resti identiche, respirava una soluzione salina alla quale era stato aggiunto lo 0,4% di THAM si misurarono, sempre dopo 30 minuti dall’inizio dell’esperimento, una PpCO2 di 50 mmHg ed un Ph di 7.00. Nei cani anestetizzati, intubati o tracheotomizzati che respiravano spontaneamente immersi in una soluzione ossigenata iperbaricamente senza tampone, le analisi di gas del sangue (emogasanalisi) arterioso rilevarono una ossigenazione adeguata ma anche una ritenzione dell’anidride carbonica (Kylstra & Tissing 1964).
Le fluttuazioni della pressione intratoracica presenti in questi animali che respiravano soluzione salina riflettevano lo sforzo richiesto per muovere il liquido invece dell’aria. La pressione nell’atrio destro variava da 40 mmHg sotto la pressione atmosferica a 15 mmHg sopra di essa, e l’espirazione durava il doppio dell’inspirazione. Clark e Gollan (1966) usarono per primi un idrocarburo fluorurato (FX-80) come liquido respiratorio. La solubilità dell’ossigeno in questo liquido è di circa 20 volte maggiore di quanto non avvenga in soluzioni isotoniche senza tampone, anche se la solubilità dell’anidride carbonica è considerevolmente maggiore (circa 3 volte la norma). Sass ed altri (1972) riuscirono a mantenere la Pp del CO2 arterioso in cani anestetizzati e ventilati meccanicamente con liquido fluorocarbonio FX-80 fra i 16 e i 40 mmHg anche se il Ph del sangue arterioso diminuiva progressivamente fino a valori prossimi al 7.00 dopo 4 ore di respirazione liquida. Un aspetto particolare di questi esperimenti è dato dal rapporto Sopravvivenza/Recupero degli animali trattati: Modell rilevò che tutta una serie di 36 cani che erano stati ventilati per un’ora con Fluorocarbonio ossigenato liquido, sopravvissero. Per molti giorni successivi la tensione dell’ossigeno arterioso di questi cani rimase inferiore al normale quando respiravano aria. Questo fatto venne fu attribuito al fluorocarbonio residuo nei polmoni. Un esame dei polmoni tre ore dopo che era cessata la respirazione liquida evidenziò una reazione infiammatoria acuta ai bronchioli. Entro le 72 ore successive la reazione acuta era rientrata e il cambiamento prevalente si riscontrava nei macrofagi (elementi cellulari che partecipano alla risposta immunitaria) alveolari, contenenti presumibilmente fluorocarbonio. Dopo 18 mesi i polmoni apparivano normali.
Adesso e’ possibile ventilare un polmone dell’uomo con della soluzione salina mentre l’altro viene ventilato con ossigeno. Una simile procedura viene usata occasionalmente per curare pazienti affetti da varie malattie del polmone. Generalmente, i pazienti tollerano abbastanza bene il riempimento completo e la conseguente “ventilazione” di un polmone per volta, con una soluzione salina fisiologica a temperatura corporea normale. Dopo un lavaggio, i pazienti in genere ricevono dell’ossigeno aggiuntivo per molte ore tramite maschera, ma il giorno successivo possono riprendere le normali abitudini. Ramirez inizialmente effettuo’ il lavaggio del polmone in pazienti svegli; soltanto la laringe e la trachea venivano anestetizzate localmente. Kylstra osservò che un volontario sano la cui laringe e trachea erano state anestetizzate per facilitarne l’intubazione, non avvertiva sensazioni spiacevoli derivanti dal fluire del salino dentro e fuori dai suoi polmoni o dalla presenza di liquido residuo nel polmone post-lavaggio. Una complicanza della respirazione liquida e’ pero’ determinata dalla ritenzione del CO2. Questo sembrerebbe impedire una applicazione pratica della respirazione liquida, dal momento che un sub, al fine di svolgere un lavoro utile, dovrebbe essere in grado di aumentare la sua produzione di CO2 senza incorrere nell’iperventilazione incontrollata o peggio ancora nella perdita di conoscenza (ipercapnia).
L’eliminazione del CO2 attraverso i polmoni riempiti di liquido dipende dalla solubilità del CO2 nel liquido alveolare, dalla Pp del CO2 nel sangue e dall’effettiva ventilazione alveolare che può essere definita come Volume Virtuale del liquido esalato in cui la Pp del CO2 nei tessuti eguaglia quella del sangue arterioso. L’aggiunta di THAM alla soluzione di sale inspirato aumenta sensibilmente l’effetto tampone del CO2. La massima ventilazione alveolare efficace in un uomo che respira nel liquido sarà sempre inferiore al suo massimo volume di ventilazione. Di quanto sia inferiore dipende dalle dimensioni dello spazio morto anatomico, dalla frequenza respiratoria, dalla distribuzione del flusso del liquido inalato e del sangue nel polmone; a questo si deve sommare la presenza o assenza dei gradienti di pressione dei gas all’interno delle unità di scambio gassoso riempite di liquido.
Un altro problema deriva dalla tossicità dell’O2 se respirato in iperbaria. Se l’uomo dovesse respirare Fluorocarbonio FX-80 il suo consumo di ossigeno sarebbe di 315 ml al minuto. Una Pp di 02 inspirato inferiore a 1 Bar sarebbe sufficiente, ma l’assunzione di ossigeno basterebbe a soddisfare solo le fondamentali necessità metaboliche e non lascerebbe spazio per attività fisiche produttive. In generale il biossido di carbonio che porta le capacità delle soluzioni THAM sarebbe idoneo, ma la solubilità dell’ossigeno nelle soluzioni acquose è così bassa che sarebbero necessarie pressioni parziali proibitivamente alte dell’ossigeno stesso. La solubilità dell’ossigeno nel liquido al Fluorocarbonio è abbastanza alta (0,683 ml/litro per mmHg a 37° ma la solubilità del biossido di carbonio nel FX-80 (2,105 ml/litro per mmHg) non lo e’ quindi, anche a riposo totale nell’acqua, il sub che respira FX-80 potrebbe soltanto mantenere una pressione parziale arteriosa del biossido di carbonio normale mentre respira alla sua massima capacita’ ventilatoria. E’ ovvio che una combinazione dei vantaggi di un liquido al Fluorocarbonio e del THAM rappresenterebbe la soluzione ideale ai problemi derivati dalla comprimibilità dei Gas.
Bibliografia:
- The physiology and medicine of diving di Bennett, Elliott – The Physiology and Medicine of Diving
- Diving Medicine – Bove & Davis
Ringraziamo Andrea Neri per l’articolo fornito.
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