Da ragazzino ero quello che, durante le ore più dure di greco o latino, guardava fuori dalla finestra della scuola perdendosi nei sogni di una vita avventurosa, vissuta pericolosamente in luoghi lontani ed affascinanti. Certo non ero dissimile da molti miei coetanei forse diversi dai ragazzi di oggi, che appaiono molto più presi da una tecnologia che affascina ed ipnotizza le menti.
Così per qualche articolo che avevo letto e che non ricordo assolutamente, immaginai di andare a vivere a Douarnenez in Bretagna per imbarcarmi su un peschereccio, sempre in balia delle onde e dei venti dell’Oceano Atlantico, impegnato a pescare sardine e merluzzi. Molti anni dopo ho coronato questo sogno, ormai quasi svanito dalla mia memoria.
Douarnenez è una cittadina molto particolare, in cui il profumo ed il sapore del mare pervadono ogni momento della vita quotidiana. Sono particolari anche i suoi abitanti, duri ed irriducibili Bretoni del Finistère, la Fine delle Terre: Bretoni, non francesi, che fra di loro si definiscono Penn Sardin (testa di sardina in bretone). Le sardine sono infatti alla radice e nell’anima della città, conosciuta sin dal tempo dei romani per la pesca e per la produzione del celebre Garum, la salsa di pesce di cui nella Capitale andavano pazzi.
Il mare da queste parti era particolarmente ricco di questo piccolo pesce che fece le fortune della città fino alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, quando i grandi banchi scomparvero a causa della pesca intensiva.
Per oltre un secolo a partire da metà ‘800, Douarnenez fu il primo porto francese per la pesca delle sardine: 800 pescherecci catturavano più di 300 milioni di esemplari, conservati e venduti prima in barili sotto sale, poi messi in scatola sott’olio dalle industrie conserviere locali in cui erano impegnate le mogli dei marinai. La vita qui era difficile, a causa del duro lavoro e delle condizioni igienico sanitarie, aggravate da frequenti epidemie; la città divenne così celebre anche per il suo spirito di ribellione ed i primi scioperi fatti dalle donne.
Oggi solo due industrie conserviere sopravvivono sulle 32 originarie, e la città si è aperta al turismo grazie alle regate a vela, al Port-Musée, al centro storico ed alla bella isola di Tristan.
A Douarnenez ho il piacere e l’onore di fare amicizia con il team di Bretoni straordinari che gestisce l’Aqua Club, il diving della città bretone. Difficile fare immersioni con loro: non si tratta di un diving professionale, ma di un gruppo di Penn Sardin con il quale ci vuole del bello e del buono per riuscire a convincerli a portarti sott’acqua. Sono come la gente di montagna: chiusi fra loro, ma con un grande cuore, disposto ad aprirsi per te ma solo se superi le diffidenze iniziali.
Nel 2002 hanno acquistato “La Reine de l’Arvor”, una pinaccia in legno di 14 metri varata nel 1952 ed ormai destinata ad essere smantellata. I subacquei ci hanno lavorato con grande passione per due anni, fino a riportarla allo stato originario ed utilizzarla come barca per le immersioni, ideale quando il mare diventa grosso: l’ultimo fra i vecchi pescherecci ad essere ancora in grado di navigare. Vi assicuro che essere su questa barca in mezzo all’oceano, chiudere gli occhi per sentire il brontolio del motore diesel, l’odore del mare ed il vento fresco dell’Atlantico sul viso fanno dell’esperienza un’emozione indimenticabile.
Dietro il vetro della cabina di pilotaggio, è conservata una vecchia scatola di sardine con l’immagine della Reine de l’Arvor, il battello che non volle morire, che da poco è stato dichiarato monumento storico nazionale, ed in questo modo sopravviverà per molti anni.
La nostra immersione oggi sarà sul Meuse, una nave militare che giace a 33 metri di profondità nella baia di Douarnenez, a quasi 5 miglia dalla terraferma.
Il Meuse, impostato nel 1916, era uno dei primi tipi di Avviso resi necessari dall’estensione della guerra sottomarina: una nave snella e veloce, con compiti di comunicazione ed antisom.
In servizio dal gennaio 1918, le sue dimensioni erano di 78 x 8 x 3,10 metri per 566 tonnellate, mosse da due turbine per 4000 cv capaci di raggiungere 20 nodi; il suo armamento era costituito da 4 cannoni da 100 mm, uno da 75 mm e due antiaerei da 47 mm. L’equipaggio era di 113 uomini, fra ufficiali e semplici marinai.
Alla fine della Grande Guerra venne affidato alla divisione navale del Baltico con incarichi di protezione del commercio del neonato stato polacco ed in seguito destinato alla Scuola Navale di Saint Nazaire. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale vide il Meuse avviato alla demolizione nel porto di Brest: era diventato ormai una nave usurata e sorpassata, non più utilizzabile a fini bellici.
Venne quindi utilizzato come bersaglio dalla seconda corazzata Jean Bart e forse in seguito dai tedeschi. Incredibilmente non sono chiari né la dinamica, né l’autore dell’affondamento: alcune fonti dicono sia avvenuto durante la guerra, altri nel 1945 o addirittura nel 1954.
La preparazione e la discesa sul fondo sono meticolose ed attente come sempre: la sicurezza è sempre ai massimi livelli e tenuta in primo piano dallo staff dell’Aqua Club Douarnenez. In effetti questo è un mare col quale non è possibile scherzare: le condizioni in superficie possono mutare velocemente mentre sott’acqua la visibilità è ridotta a 4/5 metri, la corrente si sente e la temperatura si aggira intorno ai 14 gradi, facendomi sentire felice di aver portato la muta stagna.
I resti della nave giacciono capovolti sul fondo, a circa 33 metri; le forti correnti e le furiose burrasche invernali hanno rovinato molto il relitto, che è abitato da un quantitativo impressionante di organismi marini. Alcuni dei quali da noi sconosciuti, ma abituali nelle immersioni nelle fredde acque atlantiche, come il famoso anemone mano di morto.
I pesci più numerosi sono i merluzzetti bruni (Trisopterus luscus), che, lunghi una trentina di centimetri, qui vivono a migliaia e gentilmente si spostano al tuo passaggio. I gronghi che abitano le cavità delle lamiere sono come sempre numerosi e di dimensioni impressionanti. Ogni tanto passano dei grossi branzini e non è difficile vedere astici e granseole muoversi sul fondo. Un’esplosione di vita.
Le mie guide mi curano con sollecitudine, stupite di vedere un subacqueo del caldo Mediterraneo a suo agio con il freddo e la scarsa visibilità: non conoscono però i nostri laghi, nei quali ho fatto un grande allenamento. Dopo 38 minuti è giunta purtroppo l’ora di risalire, poiché la configurazione è quella ricreativa ed abbiamo già accumulato alcuni minuti di decompressione.
Nuvole grigie ed un pallido sole fanno da contorno al nostro rientro a Douarnenez. Il motore diesel borbotta placido e ci porta lentamente verso casa.
I Bretoni mi hanno finalmente accolto fra loro e, gentili come sempre, mi offrono un’enorme baguette ripiena di Paté Henaff, un paté di maiale di cui sono ghiotti in Bretagna, innaffiata da un bel bicchiere di vino rosso.
Merci, a la santé amici!