L’UJ2208 è stato costruito nel 1926 a Saint Malò presso Ateliers & Chantiers De Bretagne per conto dell’armatore francese Lemoigne Eugène che lo varò come peschereccio d’altura FV Alfred.
La nave aveva stazza lorda di 966 tonnellate, dimensioni pari a 65 x 9.8 x 3.9 m, sistema propulsivo con motore a vapore a triplice espansione che generava 865 H.P. di potenza e un’elica in grado sviluppar e una velocità di navigazione pari a 10,5 nodi, 50 i marinai imbarcati. Nel 1933 il peschereccio è ceduto ai fratelli Jean Baptiste e Victor Pleven che lo terranno fino al 1939 quando prima della scoppio della Guerra la Marina Francese lo requisì e lo trasformò in nave da carico armata ribattezandola Alfred P-31, con questo nome navigò fino al 1942 anno in cui passo di mano alla Kriegsmarine che la trasformò definitivamente nel caccia sommergibili UJ2208. La Marina Francese lo armò la nave con 3 cannoni da 100m, 2 cannoni da 37mm AA, 2 mitragliatrici e ben 24 granate anti sommergibile.
Il 1 marzo 1943 i tedeschi requisiscono la nave ai francesi, prende il comando Oscar Schmidt, affonderà l’anno seguente nel 1944 a causa dell’impatto accidentale con una mina posizionata nel golfo di Genova dalla stessa marina tedesca. Il relitto è diviso in due tronconi separati circa duecento metri tra loro, la parte prodiera misura all’incirca una ventina di metri mentre quella poppiera ha dimensioni maggiori, il corpo centrale della nave è esploso durante l’urto, probabilmente poiché la mina innescò una serie di esplosioni interne dato anche il carico di munizioni che era trasportato nelle stive.
Il team con cui mi immergo oggi è composto da Marco Mori, Armando Frugatta e Andrea Pizzato, il supporto logistico è dato dal Centro Sub Tigullio di Genova.
L’immersione è nuova per noi, mentre il relitto è stato identificato ed esplorato in precedenza dai decani del Golfo di Genova, Domenico Massimo Bondone e successivamente anche da Lorenzo Del Veneziano. La nostra immersione compiuta a soli fini personali è stata possibile anche grazie a chi nei mesi precedenti ha lavorato sulla linea di discesa.
L’immersione sul caccia sommergibili UJ2208
Arrivato a -98m dove inizia il relitto, fisso con una bocca di lupo le due stage decompressive alla linea, poi posiziono la lampada stroboscopica. Oggi la visibilità a tratti non supera i due metri, talvolta tre. Il tempo di concludere queste operazioni e tutto il team si ricongiunge sul fondo pronto a partire per l’immersione.
Orientarsi non è affatto facile, le carenti informazioni a disposizione ex ante l’immersione riferiscono che la prua sia sbandata a dritta con il tagliamare rivolto verso l’alto. Lo sguardo mi dice che non è così. Lo scafo è completamente appoggiato sulla murata di dritta e il ponte è perpendicolare al fondale. Un’ulteriore difficoltà per dare ordine alle immagini che gli occhi colgono. Procedo lungo la linea mediana e a quota -105m si intravedono dei pertugi, la visione è complessa, per distinguere gli elementi è necessario avvicinarsi di molto alla nave. Preferisco in questa fase localizzare degli elementi e prendere confidenza con le dimensioni e la conformazione del relitto stesso. Scendo ancora di qualche metro e mi assesto a quota -108m, il fondo. Scandaglio un po’ i fasciami e le travi che si perdono nel limo poi torno sui miei passi per approcciare il tagliamare. È una linea verticale, impressionante, coricato sul fondo. Percorro i 4m del pescaggio per arrivare al lato opposto della chiglia. La scarsa visibilità in comunione con la profondità mi fanno apparire queste pinneggiate come eterne.
Risaliamo la china poi a metà dello scafo e torniamo trasversalmente verso la coperta. Passo sotto la strobo, ripiego verso destra allontanandomi dalla prua. Qui il relitto si apre in una voragine lasciata dall’esplosione della mina che ne causò l’affondamento. Le possenti putrelle in acciaio sono ritorte e arricciate come da un colpo di spazzola. Il calore della deflagrazione deve averle sconquassate non poco. Valuto le condizioni, sono a -99m e segnalo a Marco Mori che entrerò nel relitto. Proseguo lentamente dato che la visibilità è comunque ridotta. Arrivo fino alla chiglia dove si giuntano le nervature della struttura di quello che fu il peschereccio d’altura Alfred. Lo spettacolo è suggestivo, guardo verso l’esterno in cerca di qualche bagliore dei miei compagni. Mi appare lo scheletro dell’UJ 2208 in controluce, peccato non poterlo gustare appieno a causa di questa sospensione che non ci abbandona mai. Esco a -106m e mi volto per osservare la nave da un altro punto di vista. Seguo la mediana e noto prima un troncone circolare cavo che sporgerà non più di un metro e mezzo dal piano del ponte: è quel che resta della manica a vento prodiera. Poco oltre vedo a distanza di qualche metro l’uno dall’altro due appendici di alberi, in realtà sono i supporti su cui poggiavano le pedane con gli armamenti. Il ponte di coperta in questa zona prodiera si alza di un paio di metri rispetto al piano di calpestio precedente.
Infilo la torcia e la testa all’interno di piccole fessure rettangolari che cadenzate punteggiano la prora. Qui il teak della coperta è completamente svanito e permette di gettare l’occhio all’interno del relitto. Al di sotto si vede un ulteriore ponte ligneo che coincide con il ponte principale. Questo è il primo punto della nave in cui la visibilità (interna) supera i cinque/sei metri. Mi scosto dallo scafo e seguo con la mano e lo sguardo una struttura metallica che dall’albero prodiero si corica sul fondale. Ha tutta la parvenza di essere il braccio di un paranco da carico. “L’UJ2208 sembra qui essere proprio una nave commerciale più che un caccia sommergibili” penso mentre continuo nell’esplorazione. Non è così, l’apparenza inganna. Attraverso il confronto delle immagini storiche che ho rinvenuto, dovrebbe trattarsi del cannone scudato di prua da 100mm, lo scoprirò solo all’emersione.
Qui la nave appare per quel che era prima che diventasse un’imbarcazione da guerra, ovvero uno scafo d’altura destinato al lavoro della pesca, al carico merci e al rifornimento petrolifero. La linea del tagliamare è infatti un rettifilo affilato adatto a solcare il Golfo di Biscaglia, tratto di mare ovunque noto per la tempestività delle sue acque.
Restano non oltre cinque minuti di fondo. Li spendo nel dare forma a un terzo elemento che dalla parte centrale del relitto si stacca e si corica verso il fondo. Da prima noto una struttura tubolare poi una specie di paratia alta all’incirca un metro, anch’essa di forma circolare, che corona e termina tutta la struttura. Ha l’aria di essere la torretta armata con le mitragliatrici binate. La struttura è alta non più di sei metri. Sotto di me scorrono dei grossi cavi in acciaio del diametro di 4cm., nonostante le ostriche li abbiano quasi completamente colonizzati, tastandoli se ne percepisce ancora la loro possenza e funzione di tieniti bene. Mentre mi avvio alla cima un tappeto di gamberi rossi ondeggia su tutto il relitto. È l’ultima immagine nitida che ho della prua dell’UJ2208, poi appena risalgo di qualche metro lo scafo scompare avvolto come in una nube temporalesca.
Foto: Marco Mori