Autore: Raoul Calò
La mia avventura con i delfini
Il luogo è lo scoglio di Lampione a poche miglia a ponente di Lampedusa, siamo nei primi anni ’90, ma non importa!
E’ una stupenda giornata di inizio estate. Mare calmo stile tavola, il sole è caldo ma non fastidioso, l’acqua è eccezionalmente calda e trasparente.
Partiamo in due disperati dal porto di Lampedusa con l’intenzione di arrivare a Pantelleria con una barca piuttosto grossa, un Bavaria da 48 piedi a vela. C’è poco vento, ma che importa, abbiamo tutto il tempo che vogliamo e poi l’atmosfera è magica. Appena lasciamo la costa di Lampedusa già vediamo lo scoglio di Lampione all’orizzonte, comodo, così possiamo puntare la prua a occhio senza guardare la bussola per sapere dove stiamo andando.
Siamo rilassati, abbiamo staccato la spina, i problemi erano rimasti a casa e dovevamo solo pensare a oggi senza preoccuparci di ieri e di domani, il massimo!
Giorgio, il mio partner, è skipper professionista, io sono sub dilettante, ma entrambi siamo amanti professionisti del mare.
La randa e il genoa grande ci fanno avanzare piano ma incessantemente, ogni tanto sbattono, non sarà “velicamente corretto” ma chi se ne frega. Un paio di ore a siamo sotto la costa di Lampione. Mi alzo dal pozzetto, butto lo sguardo altre la falchetta della barca e guardo giù, vedo il fondo, l’occhio corre all’ecoscandaglio, 32 metri! Madonna che acqua! E allora scatta il sub, non riesco a fare a meno di desiderare di immergermi. Fondo all’ancora, muta; quella tre millimetri con il neoprene fra un buco e l’altro, la bombola, già armata, è assicurata con una cima in coperta, butto tutto sul tender che ci segue fedele come un cagnolino, metto in moto il motore e vado sulla costa, trovo un moletto semi diroccato che probabilmente serve ai fanalisti per controllare il funzionamento del faro, do volta alla cima di prua, mi butto le bombole sulle spalle, do un’ultima occhiata alla mia bambina (la macchina fotografica) e mi butto.
Mar Rosso? Ma che è? Lì era mille volte meglio! Giro un po’, fotografo un po’ di pesci e un po’ di ambiente, 37 scatti, 30 minuti sotto, quota massima: 28 metri, eccitazione massima: infinita, ma non è ancora niente!
Risalgo, con la stupenda agilità che mi contraddistingue, riesco in un attimo a riguadagnare il gommone (tempo impiegato circa un quarto d’ora!), metto in moto, mollo la cima a prora e comincio a dirigere verso il Southern Comfort (il nome della barca di Giorgio), e proprio allora mi accade una delle cose più sconvolgenti che abbia mai vissuto.
Si affianca a dritta un delfino, nuota lentamente mantenendosi esattamente al mio fianco a meno di mezzo metro dal gommone. Fermo l’elica per paura di ferirlo, e lui gira la testa, quasi infastidito, mi guarda, da un colpetto di coda, mi passa di prua, mi gira intorno e si ripresenta a dritta, si struscia contro il gommone, io allungo la mano e la faccio scorrere dal muso sino alla coda stringendogli un po’ la pinna dorsale. Non riesco a credere a quello che mi sta capitando. Ho paura a parlare, a respirare, a muovermi. Il nostro gioco va vanti per una mezz’oretta, io mi sto avvicinando alla barca spinto dalla brezza di maestrale, lui mi gira intorno, mi guarda, si fa accarezzare. Urto con la prua la fiancata della barca, Giorgio si sveglia dalla sua dormitina in pozzetto quasi scocciato, il mio Ziggy si gira a pancia in su, mi da una guardata nel profondo degli occhi che mi è sembrato volesse dire : <<Ciao amico, buon vento!>>, da un energico colpo di pinna e se ne va dove io vorrei accompagnarlo.
Poi la barca è ripartita, è arrivata a Pantelleria, c’è stata una settimana, da li è andata a Mazara e via, sempre più a nord, ma il mio spirito è rimasto con Ziggy, in quella giornata magica che, quando la ricordo, mi fa salire le lacrime agli occhi e il cuore diventa piccolo piccolo.
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