Nel 1871 dalla fervida fantasia di Lewis Carroll nasce il libro Oltre lo specchio, il mondo magico in cui si tuffò Alice attraverso la tana del Bianconiglio: la storia è nota.
Purtroppo ieri, sul relitto del VAS a Genova (-47/-52m), io non possedevo la pozioncina magica per ridurmi di volume e passare attraverso tutte le porte e i pertugi del relitto per visitarne il suo interno. Così, quando non riuscivo a passare, infilavo la videocamera cercando di riprendere i luoghi o i dettagli che avevo studiato ex ante l’immersione.
Procediamo con ordine. “Il relitto si trova a circa un miglio davanti alla Lanterna” così comunica Giorgio Coldesina alla Capitaneria per segnalare il punto d’immersione. La navigazione oltre la diga non è molta, una manciata di minuti e siamo sul punto a cercare il pedagno sommerso. Marco Mori ed io abbiamo pianificato 45min di fondo sul relitto. Sono sceso già altre volte con aria o poco trimix e in quelle occasioni mi sono concentrato unicamente sulle parti salienti del relitto: il tagliamare, la mitragliatrice, la bomba di profondità, il grande argano di prua. Questa volta mi addentrerò all’interno per documentarlo. Scendiamo in un’acqua a toni blu, ad altri grigiastra fino a -6m; controllo reciproco, poi con un elastico faccio una bocca di lupo per lasciare la mia stage ossigeno in linea, l’altra con il wetnote e il piano decompressivo la porto con me (la lascerò saltuariamente al mio compagno di immersione prima di entrare nel relitto).
Oltre i -6m l’acqua è color latte e una miriade di nutrienti invadono la visuale riducendola notevolmente. Arrivano i -30m e la situazione non cambia. Mi preparo alle solite condizioni di scarsa visibilità cui sono abituato sul VAS, ma con mio grande stupore pochi metri oltre si apre il sipario di nebbia in cui ero immerso: il relitto è nelle condizioni migliori in cui lo abbia mai trovato!
Sul relitto del VAS
Attendo Marco Mori per un paio di minuti scarsi, nel frattempo mi concentro sul boccaporto di coperta, verso prua. Infilando la testa le scorse volte avevo visto sul lato di dritta, appoggiato allo scafo, un elmetto dell’esercito tedesco sopra la testiera del letto. È rimasto solo lo scheletro della branda, ma è molto affascinante a vedersi. Infilo così prima un braccio con un faro, poi il corpo video e infine l’altro faro: alla cieca faccio del mio meglio per riprendere questi elementi, le concrezioni di ostriche hanno ulteriormente colonizzato la struttura rendendo poco agevole questa ripresa.
Sposto l’occhio sui due elementi principali che si trovano in coperta, lato di sinistra: la mitragliatrice con il caricatore ricurvo “a banana” e il più ambito telegrafo di macchina. Quest’ultimo, se non si conosce bene come è fatto è ben difficile da far emergere dal tappeto di ostriche che ricoprono lo scafo. Lo indico e ne seguo la sagoma, poi con la mano lo pulisco un po’ dalla melma così da rivelare il quadrante in vetro. Ora sì che è emozionante aver portato alla vista questo importante dettaglio e averlo fissato nella mente oltre che nelle immagini che Marco Mori sta realizzando.
Oltrepassiamo il cambio di quota dello scafo. Qui sotto c’è un passo d’uomo che permette di entrare sotto coperta: ci tornerò più tardi, ora mi dirigo vergo la parte frastagliata e distrutta della poppa che è anche la parte più fonda del relitto (-52m). Un certo alone di mistero e una coltre di sospensione aleggia.
Lo scafo scompare nel fango e si ha appena la possibilità di guardare sotto l’antenna centrale del relitto, oggi un grosso dentice e un paio di aragoste hanno scelto questo luogo come tana. Volgendo lo sguardo a dritta fa bella mostra di sé l’imponente bomba di profondità pronta sullo scivolo a essere lanciata; dal lato opposto restano invece solo gli scivoli vuoti e addossata allo scafo, sotto una rete da strascico, si intravede una grande lancia dalla sezione ovoidale.
Torno al centro scafo dopo aver lasciato scorrere una lunga infilata di oblò che permettevano di comunicare con il vano motore durante la navigazione. Di fronte a me due statuari tubi che consentivano lo scambio d’aria e di calore tra interno ed esterno della sala macchine; sotto di me il boccaporto in cui calarsi in verticale per accedere al vano motore.
Scendo piano piano all’interno a pinne pari per non alzare sospensione, l’ambiente è stretto e sporcarlo all’inizio significherebbe non vedere proprio nulla oltre che complicare sin da subito le condizioni di uscita. Appena gli occhi sono al di sotto della coperta si apre a me il mondo fantastico del motore e di tutte le sue componenti, meccaniche ed elettriche. Si scorgono ancora i tasti del quadro elettrico, alcuni serbatoi di raccolta, i volantini sulle mandate/ritorni delle tubazioni e poi, a un certo punto, noto due occhietti timidi e che mal sopportano la luce dei miei fari. È il piccolo grongo “Milo”, custode della sala macchine.
Appena sono fuori, effettuo uno scambio di “Ok” e procediamo in direzione coperta. Vorrei provare a entrare lì e arrivare fino alla prua, alle testiere del letto che ho visto dal boccaporto appena arrivato. Nonostante abbia studiato la tecnica di penetrazione per varcare questo angusto passaggio, purtroppo anche privo di stage non ce la faccio. Il bibo è troppo grande. Ho provato almeno tre/quattro volte piegandomi in tutti i modi, niente. Dovrò accontentarmi di entrare solo con testa e braccia. Un grosso parallelepipedo a mo’ di “stufa” si trova sulla sinistra; poco distante si nota una mensola con alcuni pezzi di ceramica, piccoli contenitori, qualche barattolo, ma non sono così vicino da poter identificare gli elementi distintamente. Sul lato destro appare invece uno spazio vuoto e un po’ tetro con molti cavi che penzolano dal soffitto. Resto un po’ con l’amaro in bocca per non essere riuscito a completare questa parte di penetrazione. Tornerò con una configurazione ulteriormente più leggera.
Abbiamo ancora qualche manciata di minuti di fondo, così ripasso su alcuni elementi che mi avevano colpito e che non avevo ben distinto passando in precedenza. Tra tutti emerge, sul lato di sinistra, una calotta sferica con alcune aperture che sembrano essere degli alloggi per la strumentazione necessaria alla navigazione. Dovrò approfondire successivamente questo elemento, mi ha incuriosito.
Poche pinneggiate e siamo in zona cima di risalita. Non mi arrendo, trovo un boccaporto chiuso ma rotto da un lato, infilo la torcia questa volta perché lo spazio è di appena pochi centimetri: qui si trova la scaletta che portava al gavone dove erano stivate la catena dell’ancora e altra “minuteria” marinaresca.
Il tic tac del profondimetro segna che è l’ora della risalita. Pochi metri e il VAS, Vedetta Anti Sommergibile, scompare nella coltre di sospensione che ora sembra proprio un fiume di latte.