Autore: Federico Mana
Apnea Statica – L’iperventilazione
Altro elemento che caratterizza una agevole esecuzione dell’apnea statica è la buona ventilazione.
Anche in questo caso voglio fare l’avvocato del diavolo e ricordare che ho visto molti atleti eseguire palesi iperventilazioni prima della prestazione in apnea statica.
Alcuni di essi sono anche istruttori che durante i loro corsi ricordano a propri allievi che non è opportuno e corretto iperventilare.
Con questo non voglio accusare nessuno, ma anche in questa occasione ritengo opportuno analizzare gli elementi che caratterizzano l’iperventilazione cercando di trovare vantaggi e svantaggi.
In questo articolo infatti non prenderò una posizione pro o contro l’iperventilazione, ma mi limiterò ad analizzare vantaggi, svantaggi, fatti e citare alcune interessanti teorie. Questa scelta nasce anche dal fatto che sto ancora sperimentando l’apnea statica con e senza iperventilazioni, ma non ho ancora elementi sufficienti per dire se l’utilizzo è vantaggioso o meno.
Prima ritengo opportuno riassumere in modo schematico che cos’è l’iperventilazione e quali effetti produce la sua esecuzione senza però dilungarmi in spiegazioni funzionali che potrete trovare su ogni buon manuale di apnea.
Iperventilare letteralmente vuol dire ventilare più del normale, quindi anche le ventilazioni lente e molto profonde che vengono insegnate durante i corsi rappresentano delle iperventilazioni rispetto alla normale tendenza respiratoria di ognuno di noi.
Può, infatti, capitare che anche con ventilazioni lente e controllate si presentino i tipici sintomi indotti dall’iperventilazione, ciò solitamente accade quando le abitudini respiratorie sono errate e di carattere molto superficiale.
Variazioni fisiologiche indotte dall’iperventilazione
Aumento del battito cardiaco
La respirazione ed il ritmo cardiaco sono direttamente proporzionali, pertanto l’aumento del ritmo respiratorio induce automaticamente un aumento del battito cardiaco. Un battito accelerato non rappresenta mai, nelle discipline apneistiche, una buona condizione di partenza. La frequenza cardiaca elevata è un aumento di lavoro fisico con conseguente maggior dispendio energetico e perdita di rilassamento
Aumento della pressione arteriosa
Se il cuore pompa più rapidamente a causa dell’iperventilazione dovrà inviare in circolo maggiori quantità di sangue ed anche la pressione arteriosa si troverà a crescere.
Anche questa variazione, correlata a quella sopradescritta, altera in modo svantaggioso il consumo di Ossigeno ed il rilassamento dell’apneista.
Coinvolgimento di molti distretti muscolari toracici
La respirazione frequente e forzata richiede l’utilizzo rapido e reattivo di tutti i muscoli coinvolti nell’atto respiratorio. Diaframma, addominali, muscoli intercostali, muscoli del dorso, muscoli scapolari e tutti i muscoli accessori della respirazione saranno coinvolti in un lavoro intenso togliendo ossigeno e rilassamento.
Anche questo meccanismo indotto dall’iperventilazione è sfavorevole alla pratica dell’apnea
Importante decarbonizzazione
L’iperventilazione induce una forte decarbonizzazione del sangue ovvero riduce in modo drastico la pressione parziale di anidride carbonica.
Il centro respiratorio situato a livello occipitale che analizza costantemente la PPCO2 rileverà una bassa concentrazione di CO2 e non provvederà ad attivare le contrazioni diaframmatiche.
La decarbonizzazione induce pertanto una “apnea confortevole più lunga” in quanto la pressione parziale di anidride carbonica impiegherà più tempo a raggiungere il livello di soglia che innesca le contrazioni.
Questo elemento rappresenta il vantaggio dell’iperventilazione, ed è per questo che molti apneisti utilizzano ancora questa tecnica.
Il rischio consiste in una eccessiva iperventilazione e decarbonizzazione che allontana troppo il momento di innesco delle contrazione diaframmatiche. Se questo accade la sincope potrebbe manifestarsi molto presto rispetto all’inizio delle contrazioni o addirittura prima che queste abbiano inizio.
Respirazione superficiale
L’iperventilazione induce un ulteriore svantaggio in quanto determina una respirazione più superficiale. La ventilazione forzata e rapida fa si che il passaggio dell’aria nella trachea crei delle turbolenze che riducono il passaggio dell’aria, esattamente come se dovessimo respirare tramite una trachea di diametro più piccolo.
Il riempimento polmonare risulta meno profondo e la riserva d’aria per l’apnea sarà meno consistente.
Vantaggi dell’iperventilazione
Viene da chiedersi quindi perché così tanti atleti di vertice praticano abitualmente l’iperventilazione prima delle loro performance.
Personalmente ritengo che sia molto complicato definire il confine che distingue le respirazioni che rappresentano una iperventilazione e quelle che sono invece corrette.
Ogni tipo di respirazione più profonda del normale induce in modo più o meno rilevante delle riduzioni della PPCO2.
Questo è dimostrato perché anche eseguendo ventilazioni lente e profonde possono manifestarsi i tipici sintomi dell’iperventilazione. Questo accade solitamente quando non si è abituati a gestire grandi volumi di aria.
L’abitudine e la consapevolezza respiratoria permettono infatti di variare i ritmi ed i volumi respiratori senza necessariamente percepire alcun indizio di vertigine o formicolio.
La sperimentazione graduale e la conoscenza critica del proprio corpo possono permettere agli atleti di gestire l’iperventilazione in modo accurato senza arrivare a decarbonizzazioni potenzialmente rischiose.
Svantaggi dell’iperventilazione
L’iperventilazione diventa rischiosa quando interpretata come una scorciatoia per fare il “tempone”.
Il pensiero rischioso è: “Se iperventilando un po’ il tempo di apnea aumenta iperventilando di più in miglioramento sarà ancora maggiore”.
Questa convinzione è assolutamente RISCHIOSA perché oltre certi limiti la pratica può falsare la pratica lucida e rilassata dell’apnea.
Considerazioni su come utilizzare l’iperventilazione
Quanto affermato non ha nessuna rilevanza scientifica, ma rappresenta solamente un pensiero dato dalla pratica e dalla sperimentazione.
L’iperventilazione potrebbe essere utilizzata subito dopo un’apnea per decarbonizzare più rapidamente ed “un po’ più profondamente” in sangue.
Eseguendo questa metodica nella prima parte del tempo di recupero si riesce a ridurre rapidamente il livello consistente di CO2 accumulato durante l’apnea precedente.
Dato che l’iperventilazione induce, come appena visto, una respirazione superficiale, un significativo coinvolgimento muscolare, un aumento del battito cardiaco e della pressione arteriosa, sarà opportuno far seguire una respirazione lenta, profonda e con espirazioni molto lunghe in modo stimolare in modo appropriato il sistema nervoso vagale (o parasimpatico) quindi in rilassamento.
La respirazione secondo Buteyko
“L’ossigeno deve arrivare, in giusta quantità, nei tessuti e negli organi; non basta introdurlo nei polmoni per farlo arrivare alla sua meta finale!”
Ecco ciò che sostiene lo scienziato Ucraino che cura l’asma con un metodo innovativo.
Ho preso spunto dalle teorie di K. P. Buteyko che ha dimostrato la veridicità dei suoi studi attraverso sperimentazioni in doppio cieco ed ha dimostrato come una bassa PPCO2 riduca in modo molto significativo la capacità del corpo e delle cellule di metabolizzare l’ossigeno.
E cultura comune ed anche apneistica pensare che per godere delle proprietà vivificanti dell’ ossigeno (O2), sia sufficiente introdurlo in grandi quantità nei polmoni con la respirazione.
La teoria è: “più ossigeno introduciamo nel nostro organismo migliore sarà l’apnea”.
“ Vediamo invece cosa succede una volta introdotto l’O2 nei polmoni. Innanzitutto, con dei meccanismi sui quali non ci soffermiamo, l’O2 deve passare dai polmoni al sangue (e, salvo in caso di malattie polmonari o bronchiali, questo passaggio quasi sempre funziona bene). Dal sangue, l’ossigeno deve poi essere assimilato dalle cellule dei tessuti dei vari organi (cervello, cuore ecc.). E qui invece si verificano molto spesso dei problemi. Cosa succede? Succede che le particelle di ossiemoglobina del sangue (la cui emoglobina, dopo avere assimilato l’ossigeno si è trasformata in ossiemoglobina) trattengono strettamente l’ossigeno, rifiutando di cederlo e lasciarlo passare nei tessuti. Succede quindi che i vari organi soffrono di carenza di ossigeno, pur in presenza di un sangue saturo di ossigeno, esattamente come gli organi dei diabetici soffrono di mancanza di zucchero pur in presenza di un sangue saturo di zucchero!
Come mai? Tenetevi stretti che arriviamo al punto centrale del discorso. Perché per consentire il passaggio dell’ossigeno dal sangue ai tessuti è necessaria la presenza di anidride carbonica in quantità sufficiente. In assenza di CO2 nella giusta concentrazione, l’ossiemoglobina nel sangue non può liberare l’ossigeno e lasciarlo passare nei tessuti.
Quello che abbiamo detto sulla necessità della CO2 per il passaggio dell’O2 dal sangue ai tessuti non è una teoria di qualche stravagante scienziato "alternativo"; si tratta invece di una circostanza già scoperta all’inizio del 1900 e comunemente ammessa e conosciuta da tutti gli esperti del settore sotto il nome di "effetto Verigo -Bohr". Stranamente però questo effetto Verigo- Bohr, che pure è descritto in tutti i testi di fisiologia usati nelle università, non era mai stato approfondito e studiato a fondo nelle sue conseguenze, finché, nel 1950, il medico russo K.P. Buteyko non vi si è soffermato, effettuando- con tutti i crismi del rigore scientifico, delle scoperte stupefacenti quanto al ruolo della CO2 nell’organismo umano.”
L’atmosfera che ci circonda contiene una concentrazione di ossigeno del 21%, mentre alle nostre cellule ne serve una pari al 13%; le nostre cellule hanno invece bisogno di una concentrazione di anidride carbonica al 6,5% e l’atmosfera ne contiene una pari solamente allo 0,03%. L’anidride carbonica (CO2) non è soltanto un gas di scarto ma è indispensabile per molte funzioni nell’organismo umano; è tra l’altro indispensabile per consentire il passaggio dell’ossigeno dal sangue alle cellule dei tessuti; in assenza di CO2 questo passaggio non avviene (effetto Verigo- Bohr scoperto fin dal 1900). E’ indispensabile quindi che nell’organismo vi sia la quantità giusta di CO2. Una respirazione eccessiva, profonda e rapida, provoca, con l’espirazione, una perdita eccessiva di CO2, e questa perdita provoca a sua volta degli scompensi nell’organismo.
Da queste righe alcune conclusioni di carattere apneistico:
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L’apnea permette al corpo di metabolizzare meglio l’ossigeno e potrebbe essere un’attività propedeutica al miglioramento della salute di chi la pratica
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L’apnea potrebbe rappresentare una disciplina utile agli asmatici e non un controindicazione
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L’iperventilazione pre apnea può ridurre notevolmente la capacità delle cellule di metabolizzare ossigeno
Spero di aver nuovamente stimolato il vostro interesse
Federico
Federico Mana
www.federicomana.com
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Ma cosa succede se io faccio una iperventilazione diversa, ovvero : all’inizio inspiro lentamente tanto ossigeno ma un respiro dopo l’altro espiro sempre meno, così non butto fuori l’anidride che permette all’ossigeno di andare nei tessuti. L’ho provato e migliora drasticamente la mia apnea, di più dei semplici respiri profondi con volume inspirazione = volume espiazione.
Mi farebbe piacere se Federico Mana chiarisse il tipo di ventilazione attuata da Mayol che – riconosciuto da tutti e con l’assimilazione uomo-delfino – ha spalancato le porte per la conoscenza profonda dei nostri meccanismi interni respiratori, circolatori e psico-cerebrali; insegnamenti ripresi e ben assimilati da Umberto Pellizzari.