Forse qualcuno ricorderà una vecchia radiocronaca del grande giornalista sportivo Mario Ferretti dedicata a Fausto Coppi. Era il 1949 e si correva il Giro d’Italia e il cornista sportivo così iniziava la sua cronaca sportiva: “C’è un uomo solo al comando; la sua maglia è bianco-celeste; il suo nome è Fausto Coppi”. Ecco, a me piacerebbe parlare di Umberto iniziando con una frase simile: “C’è un uomo solo nel blu sotto di noi; il suo nome è Umberto Pelizzari“. E in fondo perché no, visto che in entrambi i casi si tratta di grandi campioni dalla cui vita si possono sempre trarre insegnamenti come si può scoprire da questa intervista che il mitico Pelo ha voluto concederci.
Quando e come è nato il Pelizzari apneista
Direi che tutto è cominciato a 8-10 anni quando facevo le prime gare di nuoto e, dopo gli allenamenti, mi divertivo a sfidare i miei compagni a chi restava immerso più a lungo o a chi riusciva a percorrere più metri sott’acqua senza riemergere. Direi che la passione per l’apnea è nata così, quasi per gioco, tra una gara di nuoto e l’altra
Non tutti gli apneisti diventano campioni. Tu come lo sei diventato?
La passione per l’acqua è stata determinante così come lo sono state le mie scelte. Ricordo che l’apnea era diventato il mio chiodo fisso. Guidavo e misuravo i chilometri che riuscivo a fare senza respirare. Camminavo e contavo i metri percorsi trattenendo il fiato. Salivo le scale e contavo i gradini. L’apnea da fermo in piscina divenne il mio trampolino nel mondo dei record, ma non mi bastava. Quando arrivò il momento di fare il servizio militare, scelsi di entrare nei vigili del fuoco nel gruppo sportivo e riuscii a farmi assegnare all’isola d’Elba dove incontrai Massimo Giudicelli, un istruttore dei Vigili del Fuoco Sommozzatori. Fu l’uomo determinante per la mia vita da apneista e i miei compagni diventarono la mia prima squadra di assistenti. Sotto la sua guida riuscii a toccare i 50 m e il 10 novembre 1990 a conquistare il mio primo record in assetto costante. Quel giorno nasceva anche Pelo, il mio nome di battaglia se così vogliamo definirlo.
L’apnea è una disciplina. Praticarla può essere anche una scuola o una filosofia di vita?
Credo di sì. Scoprire a poco a poco che puoi fare a meno di compiere (ovviamente per un tempo limitato, ma sempre più lungo) un atto essenziale come respirare ti insegna a dominare i tuoi istinti. Ciò significa imparare a dare il giusto valore a parole come sacrificio e determinazione. Sono tappe essenziali, ma ho col tempo ho scoperto che tutto ciò che lo sport ti dà, poi ti viene restituito dalla vita e questo è un grande insegnamento che cerco sempre di trasmettere a chi si accosta all’apnea non tanto come disciplina, ma come filosofia di vita.
Che sensazioni si provano quando si raggiungono certe quote oppure il record ti costringe a impegnarti e a concentrarti sul risultato senza pensare ad altro?
Quando ti prepari a un record, sei concentrato sull’obiettivo sia durante l’allenamento che nel giorno della gara. Quando riemergi dal lungo tuffo che ti porta a un nuovo record, a qualche metro dal vecchio primato, ecco allora cominci a provare tutte le emozioni accumulate nel tempo. Ma se devo dire la verità, le emozioni più grandi, le provo quando mi immergo senza l’ansia dei record, con l’attrezzatura ridotta la minimo, quando sono a contatto col mare, avvolto da questo immenso mondo d’acqua, a contatto con i suoi abitanti: i pesci, i delfini, i grandi cetacei.
L’apnea è, secondo alcuni, una delle massime espressioni di libertà che siano consentite all’uomo. Sei d’accordo?
Non posso che dire di sì. Quando sei a contatto col mare, provi sempre una grande sensazione di libertà. Non esiste altro che il blu e tu nei fai parte e ti senti l’uomo più felice del mondo.
Sei uno dei pochi campioni che ha lasciato quando forse poteva ancora fare molto. Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto a questa decisione?
Fondamentalmente è stata una scelta ponderata da cui non sono state esenti considerazioni nei confronti dei miei compagni di squadra. All’epoca, siamo alla fine degli anni Novanta, le immersioni con le bombole alle quote che io raggiungevo e avrei potuto superare, non erano così avanzate come oggi e avevo cominciato a pensare che i miei assistenti potevano correre più rischi di me. Mi ero dunque posto l’obiettivo di chiudere in bellezza non appena avessi conquistato tutti e tre i record mondiali nel campo dell’apnea: immersione in assetto costante, variabile e no limits. Nel 2001, il 3 novembre, con 131 metri anche l’ultimo record è mio, un traguardo che compensa 12 anni di sacrifici e avventure che mi hanno portato a conquistare e a superare ben 16 record. Certo, poi non è stato facile vedere altri campioni superare i miei record e resistere alla tentazione di scendere di nuovo in lizza, ma avevo fatto la mia scelta e andava bene così.
Come si sono evoluti l’apnea e il mondo dell’apnea da quando hai cominciato?
Sicuramente molto è cambiato. Se mi guardo indietro e ripenso e quando avevo iniziato ho l’impressione di trovarmi su un altro pianeta. Le tecniche di allenamento che io sperimentavo sono diventate la regola e non basta più avere grandi polmoni. Sono sicuro che i campioni di un tempo, se potessero allenarsi come si fa oggi supererebbero facilmente le loro prestazioni. Bisogna tenere conto delle attrezzature di cui oggi disponiamo: maschere ridottissime, pinne ad alta efficienza, mute morbidissime e così via. A ciò bisogna aggiungere le metodiche di allenamento che danno tanto spazio alla psicologia dell’immersione. Insomma, l’apnea è diventata una disciplina ad alta tecnologia che tuttavia ha sempre l’uomo e soprattutto l’individuo al centro. Senza questo elemento la tecnologia conta poco.
Quanto conta la ricerca nell’apnea moderna?
La ricerca conta tantissimo e ho sempre creduto in questo. Nei primi tempi della mia carriera collaboravo con il centro di medicina dell’Università di Chieti ed oggi io stesso mi trovo in prima fila in qualità di docente presso la Scuola Normale Superiore S.Anna di Pisa, al Master di secondo livello di Medicina Subacquea ed Iperbarica.
Quali sono le doti indispensabili a un buon apneista oltre a saper trattenere il fiato?
Direi che la qualità principale consiste nell’imparare a conoscere bene il proprio corpo, a sentire come reagisce in ogni situazione, ad avvertire come si sta comportando in quel momento il nostro cervello, il nostro cuore.
Pinne e maschera. L’apnea è una disciplina dalla tecnologia semplice, ma è davvero così? C’è stata un’evoluzione anche nei prodotti a disposizione degli apneisti?
Fondamentalmente l’attrezzatura non è cambiata così tanto. Certo, come dicevo prima i materiali si sono evoluti tantissimo. Le monopinne so stanno rivelando attrezzi fantastici, ma alla base di tutto c’è sempre l’uomo. A questo proposito mi piace ricordare come nel 1998 mi sono immerso senza maschera, indossando solo un costume da bagno fino a 100 metri, trascinato verso il fondo da una pietra di zavorra come fece nel 1913 un semplice pescatore di spugne greco, Haggi Stathis, che recuperò l’ancora e la catena della corazzata italiana Regina Margherita nel mare dell’isola di Karpathos, tra Rodi e Creta. Insomma, l’uomo è l’attrezzatura più importante.
Umberto Pelizzari testimonial della Apnea all’EUDI Show 2013. Cosa ci dobbiamo aspettare?
Ho accettato con piacere di essere testimonial di Eudi Show 2013 che ha voluto mettere l’ l’apnea in primo piano. Chi verrà al salone, oltre a trovare me, potrà incontrare il mitico Maiorca insieme a sua figlia Patrizia, assistere a uno straordinario tentativo di record di apnea statica, conoscere la mitica nazionale di pesca subacquea composta da Mazzarri, Molteni, Riolo, Bardi e l’allenatore Giannini, ascoltare le più recenti scoperte e le indicazioni emerse dagli ultimi progetti di ricerca nel campo dell’edema polmonare e del taravana nell’apneista e nel pescatore subacqueo. Insomma, sarà una tre giorni intensa con incontri e approfondimenti che nessun appassionato dovrebbe mancare.
NOTE SU UMBERTO PELIZZARI Umberto Pelizzari è nato a Busto Arsizio (Va) il 28 Agosto 1965. |
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