Beatrice Rivoira, biologa marina e subacquea incallita, è Torinese di nascita ma, fin da piccola ha sempre passato tantissimo tempo al mare.
Vive principalmente fra Piemonte e Liguria, il tutto condito da frequenti viaggi all’estero per motivi legati all’ambito subacqueo e di ricerca.
La subacquea è iniziata come hobby ma, quasi da subito, è stato chiaro che non sarebbe rimasta tale!
Ho colto tutte le occasioni che potevo per imparare ed aumentare la mia esperienza ed ora, 17 anni dopo il mio inizio ufficiale, insegno corsi ricreativi e tecnici, sia in OC che CCR. A questo associo la divulgazione per quanto riguarda la protezione ambientale, lavorando sia con le scuole (i bambini dopo tutto sono il nostro futuro) che con i club subacquei. Nel frattempo ovviamente tento di immergermi in qualunque pozza d’acqua possa trovare: mari, oceani, fiumi, laghi, dighe… c’è sempre qualcosa da imparare e da scoprire.
Sebbene tu sia ancora giovane, hai già un curriculum subacqueo invidiabile. Quando e come hai cominciato?
A dir la verità ho cominciato abbastanza presto. Mio padre faceva immersioni quando ancora non c’erano brevetti o regole e mio fratello ha cominciato a 17 anni. A quel punto io ne avevo 14 e, quando andavano a fare immersioni, ho iniziato a seguirli e ad aspettarli con la maschera in superficie. Ogni volta che si fermavano per fare l’ultima sosta di sicurezza scendevo da loro e mio padre mi faceva respirare dal secondo erogatore. Da lì in poi non mi sono più fermata. Si può dire che è stato amore dal primo respiro!
Tu sei un esempio di giovane che ha bruciato le tappe, in un mondo che, ahimè, annovera forse più anziani che giovani. Che spiegazione hai per questo fenomeno, e cosa consiglieresti a un giovane che voglia intraprendere una carriera simile alla tua?
Purtroppo è vero che l’età media del subacqueo da noi è abbastanza alta e i motivi sono i più diversi. Personalmente non credo di aver bruciato le tappe ma semplicemente di aver cominciato a considerarla molto più di un semplice sport fin dai primi anni di liceo. Ho iniziato a lavorare nei diving center durante le stagioni estive, dove di gavetta ne ho fatta veramente parecchia, e con il club locale durante gli inverni. Gli studi scientifici all’università mi hanno permesso di approfondire le tematiche di fisiologia ed ovviamente di biologia, la passione personale ha fatto il resto. Ho avuto poi la fortuna di conoscere alcune persone in particolare che hanno creduto in me e mi hanno aiutata molto nel continuare la mia formazione a livello professionale. Infine non mi sono limitata all’ambito italiano e ho sempre cercato il contatto con l’estero per apprendere da realtà diverse. In definitiva direi che mi sono dedicata allo studio e alla pratica della subacquea a 360°. Sempre con tanta curiosità, umiltà ed impegno. Credo che sarebbe questo il consiglio principale che darei, oltre al fatto di non fermarsi alla nostra realtà italiana che, per quanto ricca, non è sicuramente l’unica.
Come concili la subacquea tecnica con la biologia? Mi spiego meglio: io da biologo e appassionato a volte mi perdo a osservare fenomeni biologici, e mi dimentico di controllare tempi e consumi… la subacquea tecnica impone un controllo continuo, se durante un tuffo davvero profondo ti trovassi davanti a una specie del tutto nuova, come reagiresti? Prevale il tecnico o il biologo in questi casi?
Personalmente la scelta per me è abbastanza facile perché, rispetto a tanti, ho fatto un passaggio inverso. Per molti biologi un corso subacqueo è una delle conseguenze del loro percorso di studi. Io invece ho scelto di fare biologia marina per la subacquea, per capire cosa stavo vedendo e come funzionava l’ambiente nel quale mi trovavo.
In immersione non posso ignorare gli aspetti biologici, è un mondo magnifico e credo che ogni subacqueo dovrebbe dedicare del tempo a questo genere di studi. Ma la mia sicurezza, e quella degli altri, in acqua rimane sempre al primo posto. Grotte, relitti, pareti… non vanno mica da nessuna parte! Posso sempre tornare un’altra volta. E nel caso degli organismi… cosa c’è di meglio del brivido della ricerca e della scoperta? Se devo interrompere un’immersione, semplicemente ci sarà un secondo round.
Per cui non ho dubbi, un buon connubio ti permetterà di trarre il meglio dalle tue immersioni ma, alla fine, deve prevalere il “tecnico” in termini di sicurezza.
Devi averne viste di tutti i colori sott’acqua: raccontaci qualcosa, un’esperienza strana, particolare, che ti ha entusiasmato.
Oh ci sono tante esperienze che mi piacerebbe raccontarvi… tra quelle a cui sono più affezionata però ce n’è una che mi è capitata pochi mesi fa.
Ero in Scozia, più precisamente a Scapa Flow, a fare immersioni sui relitti presenti nella baia. La prima settimana stavamo facendo un tuffo sul relitto della SMS Cöln ed eravamo tutti divisi in coppie autonome.
Quel giorno quasi tutte le coppie si dirigono verso la poppa del relitto, mentre io e il mio buddy decidiamo di andare verso prua. La visibilità non è male e dopo poco vediamo un banco di pesci che si apre all’improvviso ed un cormorano che nuota a pesca (a circa 25 m di profondità). Poco dopo il banco comincia ad aprirsi di nuovo e dall’interno del relitto spunta una grossa sagoma scura che comincia a nuotare velocissima, era una foca. Inutile dire che starle dietro era sostanzialmente impossibile e, pur avendo una action-cam con noi non siamo riusciti a riprenderla.
Sempre più decisa ad avere qualche immagine ravvicinata, sia quella settimana che la successiva, ci siamo avvicinati ad una colonia di foche che si trova nei dintorni. La prima settimana non ne abbiamo trovate molte ma, vi assicuro, rimane sempre un incontro magnifico. La seconda invece credo che me la ricorderò molto bene ed a lungo.
La colonia era decisamente più numerosa e, per non disturbarle, sono rimasta a pelo d’acqua dopo essermi avvicinata un po’. Ovviamente tentando di rimanere immobile il più possibile ed aspettando, con la action-cam nascosta sotto la superficie. Se si ha la giusta dose di pazienza infatti dopo un po’ saranno loro ad avvicinarsi. Così a un certo punto… un cucciolo incuriosito si è avvicinato alle pinne di uno degli altri ragazzi che erano con me, poi si è girato ed ha cominciato a nuotarmi incontro. Mi è arrivato a 2 spanne dal viso respirando rumorosamente e con due occhioni neri luccicanti che scrutavano tutto intorno. La sua testolina era a pelo d’acqua e ha cominciato a sbirciare sopra e sotto la superficie. Inutile dire che stavo a malapena respirando pur di rimanere ferma! Dopo quella che a me è sembrata un’eternità ha deciso di averne avuto abbastanza e si è allontanato con un semplice colpo di coda. Ha continuato a girarmi intorno per qualche minuto, ma l’incontro vis-a-vis così ravvicinato è stata un’emozione bellissima.
Hai scritto un interessante libro di biologia marina, hai tradotto altre cose. Stai preparando qualcosa di nuovo?
Ebbene sì, lo ammetto. Quest’anno siamo usciti con il secondo volume di una trilogia dedicata alla subacquea scritta da Simon Pridmore e stiamo ovviamente lavorando alla traduzione dell’ultimo.
Nel calderone però c’è anche la partecipazione ad un altro volume in lingua inglese, ricco di aneddoti subacquei da parte di professionisti di tutto il mondo e non solo. Siamo ormai alle ultime fasi di correzione delle bozze. Vi terrò informati.
Qual è la tua immersione preferita?
Questa è una domanda difficile perché, ovviamente, non ce n’è una sola e sarebbe forse scontato dirti “l’immersione dalla quale rientri senza problemi”, per quanto sia vero. Nel complesso però direi che una delle mie preferite è Little River, una grotta che si trova in Florida. Non ha qualcosa di particolare nel profilo o nella morfologia ma ci sono legata e rappresenta un tuffo molto personale.
Si tratta di una grotta il cui ingresso si trova poco sotto la superficie ed è spesso caratterizzata dalla presenza di un forte flusso di corrente in uscita. La prima parte si svolge ad una profondità intorno ai 10-15 m e continua gradualmente a scendere verso i 20 m, fino a quando non si arriva ad una specie di stretto tornante, che loro chiamano “the chimney”, che porta più in profondità intorno ai 30-33 m. La grotta comincia a questo punto a ramificarsi e ad offrire diversi percorsi con passaggi e formazioni rocciose veramente magnifiche.
In terra nostrana invece sono molto legata alle immersioni naturalistiche all’isola d’Elba, soprattutto nella zona di Capo Calvo, Punta dei Ripalti, il Remaiolo… oppure lo Scoglietto di Portoferraio che è sempre magnifico! In tanti anni non mi è mai capitato di rientrare delusa da una di queste.
Come vedi il futuro della subacquea?
Credo che attualmente ci si trovi in un momento importante in cui dobbiamo decidere a cosa dare più peso. La crescita che quest’attività ha avuto negli anni ’90 e l’impatto che la subacquea tecnica ha avuto sul mercato sono evidenti a tutti. Entrambi i fattori hanno prodotto effetti sia positivi che negativi sulla qualità e lo sviluppo della stessa. Personalmente ritengo che si dovrebbe fare un passo indietro, guardare un po’ meno alla diffusione e dare più importanza alla qualità di quello che già esiste. L’età media del subacqueo da noi è alta e non c’è un gran ricambio generazionale. Credo che da un lato manchi molto la figura del mentore (non dell’istruttore) e dall’altra la pazienza e la voglia di spendere tanto tempo ed energie in un percorso tutt’altro che semplice o breve. Siamo nella società del “tutto subito” e “tutto per tutti”, ma personalmente non credo che un simile approccio nella subacquea sia corretto, anzi.
Ad oggi, come anche tanti anni fa, si è innescata questa corsa ai record ed alla visibilità di ogni genere che le moderne tecnologie stanno rendendo molto più veloce e, a volte, pericolosa. Mi auguro quindi che la facilità con cui tante attrezzature e conoscenze sono ormai reperibili non vada a compromettere la sicurezza e la serietà che questa disciplina merita.
Dall’altra parte però ci sono tanti giovani che hanno le potenzialità e la voglia di avere un ruolo in questa magnifica attività e spero che tanti “veterani” dell’ambiente decidano di lasciargli spazio e, soprattutto, che abbiano la voglia di guidarli nel modo giusto.
Come in tante discipline, c’è bisogno di pazienza, umiltà, curiosità e tanto allenamento perché, alla fine,
alla fisiologia ed al mare della nostra passione personale purtroppo non importa un granché!
Facebook e subacquea: cosa ne pensi?
Ritengo che si tratti di una miscela alquanto esplosiva. In effetti, se da un lato abbiamo uno strumento con delle potenzialità enormi, dall’altra non c’è controllo. I social media consentono a chiunque di raggiungere un numero di persone inimmaginabile, con qualunque sorta di messaggio (giusto o sbagliato). La possibilità di condividere foto, video e testi con un semplice click ha ovviamente scatenato una sorta di “gara” che ormai è difficile fermare. Ogni giorno sorgono discussioni lunghissime sugli argomenti più vari e tante invece sempre sui soliti. Purtroppo anche le discussioni che invece varrebbe la pena di portare avanti vengono penalizzate dall’uso “da bar” che spesso di fa dei social.
Quindi, mentre da un lato risultano degli strumenti utilissimi e che ormai usiamo quasi tutti, me compresa. Dall’altro tutto ciò mi fa propendere a sedi e mezzi differenti per la divulgazione ed il confronto su determinati argomenti. Anche se purtroppo, o per fortuna, il numero di chi può parteciparvi risulterà inferiore.
Non per tutte ma, per tante discussioni di “subacquea” che insorgono sui social, continuo a ritenere che la risposta migliore spesso sia quella scritta su un adesivo che mi regalarono al primo viaggio in Florida: Dive More, Post Less (Immergiti di più e “posta” di meno).