Incontro Roberto Liguori in un diving del Genovese. Conoscevo Roberto di vista, avevamo condiviso il gommone nei brevi viaggi verso i siti di immersione della zona. Mie conoscenze me lo avevano indicato come il “buddy” storico di Del Veneziano, il compagno che aveva condiviso con lui le più importanti esplorazioni, ma avevo nozioni della loro attività solo per via di racconti di terza mano.
Quel giorno eravamo seduti sul tubolare del gommone, in viaggio verso la “secca della Lanterna” e Roberto stava raccontando al suo compagno di immersione di una delle esplorazioni più impegnative che aveva compiuto: ” E poi c’era questo relitto a 160 metri, piantato dentro un buco, una cosa terribile”. Al che mi volto e gli domando: “ma per caso stai parlando dell’Enrichetta?”
“Si, io ci sono stato”, mi risponde. “Ma questa è una storia interessantissima” , rispondo, “ti va di raccontarmela?”.
Così inizia questa intervista. L’Enrichetta viene ritrovata quasi dieci anni fa, il 10 Agosto del 2012. L’idea è di raccontare un’esplorazione che tutt’oggi si colloca agli estremi della subacquea sportiva.
Ciao Roberto, come è iniziata la storia di questo ritrovamento?
Tutto inizia con Massimo Massari. Sub e pescatore appassionato. Questi aveva scandagliato la zona di fronte a Moneglia ed era abbastanza sicuro di aver individuato un relitto. Il punto era in bilico su una fossa, con il fondo a 160 metri, la c’era qualche cosa che staccava dai 120 ai 140, più o meno , poteva trattarsi di un relitto. Si trattava “solo” di andar giù a vedere. Lui aveva il punto e noi avevamo le capacità per scendervi sopra. Una prima esplorazione fu organizzata per il 10 Agosto di quell’anno, il 2012. In barca con Massari c’eravamo io , Del Veneziano e Stucchi. Noi tre saremmo scesi giù a vedere. Oltre a noi erano presenti: Elena D’Amico per il supporto in superficie e Davide Di Marco per l’assistenza lungo la cima.
Come avete organizzato questo primo sopralluogo?
Ti confesso, inizialmente avevamo avuto dati incerti e ci eravamo fatti l’impressione che il relitto fosse ad una quota più “normale” 120-130 metri, come l’U-455 (L’Uboot del Promontorio). E’ così che ci eravamo preparati a scendere, non ci aspettavamo qualcosa di diverso. Andavamo giù in circuito chiuso, io avevo le mie solite 20 litri come bailout, se rivedi i filmati dell’epoca, mi si riconosce abbastanza facilmente.
Inizialmente dovevamo andare per primi io e Lorenzo, ma ricordo che una volta in acqua lui si accorse di un problema alla stagna, un’infiltrazione ad un calzare. Eravamo vestiti di tutto punto, per cui dalla barca mi dissero: “Inizia a scendere che poi ti raggiungiamo”, quindi scaricai il gav e iniziai a scendere
Com’è stata la discesa e il primo contatto con il relitto?
Il pedagno era stato lanciato da Massari e ci affidavamo alla sua precisione per atterrare sul punto giusto. Quel giorno c’era corrente e per evitare che scarrocciasse, la cima era assicurata ad un’ancora. Inizio a scendere tenendomi a quella cima nel blu.
80 metri, 90 metri, guardavo il profondimetro e il relitto non si vedeva. 100 metri, mi rendo conto che il blu si tramuta in grigio. Che strizza, mi stavo infilando in un strato di torbo, la visibilità si stava riducendo e qua non si vedeva ombra del relitto. Continuo a tenermi alla cima e scendo guardando il profondimetro. 110, 120 metri, niente. Continuo a scendere, 130 uno dei due computer si pianta, l’altro che avevo, un HS Explorer continua invece a funzionare. Puoi immaginare l’ansia; ero nel blu che adesso era diventato un torbone grigio, uno strumento mi aveva mollato ed iniziavo ad essere ad una quota superiore a quella attesa.
Penso quasi di fermarmi, mollarla li e risalire, quando ad un tratto a 130 il torbone si “apre” , piombo nel “nero”, buio, sembra di essere in una grotta. L’acqua di colpo è trasparentissima, E il relitto è lì, poche decine di metri sotto di me. Vedo la poppa che si alza, rotonda. Lo scafo era finito in una posizione strana.
La costa Ligure in quella zona scende in modo improvviso da 100 a 500 metri, uno scalino, molto netto. Di fronte a Moneglia, questo “scalino” è spaccato, una specie di taglio che rientra verso la riva. Ecco, il relitto si era infilato proprio in quel taglio, ed era li a poppa in su, con la prua in direzione delle profondità, quasi in bilico sugli abissi.
Una visione strana, pensai: un buco, una faglia sul fondale del mare e quella nave proprio li va ad incastrarsi, sembrava che qualcuno l’avesse piantata li.
Decido di lasciare la cima del pedagno e muovermi verso il relitto. Ora, le cose cambiano quando sei in profondità, cambiano da 60 a 80 metri, si sente una differenza da 100 a 120 e sotto i 140 la situazione peggiora ancora. Ogni movimento a quella quota richiede uno sforzo consapevole e molta attenzione. Ricordo di aver pensato di dover aprire la mano per lasciare il pedagno, altrimenti l’istinto e la fatica mi avrebbero tenuto ancorato là. Il profondimetro mostrava 142 metri. Così ho lasciato la cima e ho iniziato a pinneggiare verso la poppa del relitto. Da quel punto l’elica o le eliche non si vedevano. Era importante capire quante eliche avesse questo scafo. Delle due navi affondate nella zona, il Gioberti un cacciatorpediniere, aveva due eliche, l’altra l’Enrichetta, un mercantile, ne aveva una sola.
Ero il primo che rivedeva questa nave dopo 95 anni ed ero a 145 metri, solo, con la poppa illuminata dalla mia luce, l’elica era ancora sotto e non riuscivo a vederla, ma mi stavo facendo un’idea del resto della sovrastruttura e quello da che vedevo, la nave sembrava un mercantile.
Qui interrompo il racconto di Roberto, ma voglio confermare quello che avevo sentito: “quindi sei stato tu a vedere per primo l’Enrichetta?”
Si, in quel momento ero solo. Dopo poco sarebbero arrivati gli altri, dapprima Stucchi con le luci e poi Lorenzo. A quel punto ci siamo mossi sul relitto in modo da poterlo vedere meglio. Il relitto sembrava integro, ma scendeva giù, storto com’era messo, oltre i 170 metri, la prua doveva essere là da quale parte sotto. Ricordo la forma ampia e tondeggiante della poppa, è una memoria che mi è rimasta impressa come una fotografia. Anni dopo, in un posto lontanissimo, nella laguna di Truk vidi un altro relitto, una nave con una forma della poppa che assomigliava moltissimo a questa. :”Toh! L’Enrichetta pensai”, tanto mi era rimasta impressa.
Al 17esimo minuto staccammo e venimmo via, come prima visita bastava. Potevamo confermare che la traccia sonar fosse una nave e avevamo capito che era un mercantile.
Tornammo lì sopra una volta ancora.
Nel secondo tuffo, a cui partecipò anche Andrea Pizzato, feci 20 minuti di fondo e scesi fino all’elica a 152 metri per capire effettivamente quante ce ne fossero. Ne trovai una sola, il relitto era l’Enrichetta.
Da lì a poco facemmo l’annuncio del ritrovamento. Altri team poi sono scesi la sopra, ma noi fummo i primi.
Che consigli potresti dare a chi è interessato all’esplorazione profonda.
Guarda, il consiglio che posso dare è di fare le cose in modo molto graduale. La fisiologia umana si adatta in modo molto personale alle varie profondità. Più si va profondi, più il corpo va sotto stress. Come ho detto prima, le cose cambiano da 60 a 80 metri, poi cambiano ancora da 80 a 100 e poi da 100 a 120. Sotto diventa tutta un’altra cosa e sei in un territorio sconosciuto, tanti sono i problemi fisiologici, la respirazione, la decompressione, la sindrome nervosa da alta pressione, quello che posso dire spassionatamente è di andare in modo graduale, non tutti possono scendere a tali quote, non bruciate le tappe e buona fortuna. Serve anche quella.
Di quel gruppo di subacquei, tu sei uno di quelli che va ancora in acqua, evidentemente, gli stimoli e la passione non sono venuti meno in questi anni.
Si, ho perso un po’ di interesse per i relitti, è qualche cosa che mi ha appassionato sempre meno. Trovo invece molto più stimolante la speleologia subacquea, il “cave” insomma. E’ un percorso che ho iniziato anni fa e che mi offre tutt’ora soddisfazioni e prospettive. Devo dire, la preparazione cave mi ha permesso di approcciarmi all’esplorazione dei relitti un modo più completo, sicuro e consapevole. Alcuni ritrovamenti che ho fatto sull’UJ, (l’ UJ2208 affondato di fronte a Genova), non sarebbero stati possibili se non avessi coltivato e addestrato queste capacità, ma questa è un’altra storia. Per certo adesso vado in acqua in mare per svago o divertimento, ma lo stimolo principale per crescere, affinarmi e proseguire lo trovo nelle grotte.
Grazie Roberto, sei stato molto disponibile a condividere questi ricordi con me, credo che tutto questo possa risultare molto interessante per chi legge.
Grazie a voi.
Video di Lorenzo Stucchi