Intervista a Fabrizio Gioelli, responsabile della SharkSchool Italy.
Ciao Fabrizio, ci racconti qualcosa su SharkSchool? Di cosa si tratta?
Ciao Marco, grazie per questo spazio che mi dedicate. Per rispondere alla tua domanda, SharkSchool è un centro di ricerca e formazione fondato diversi anni fa in Florida da Erich Ritter, un biologo comportamentista e documentarista che abbiamo spesso modo di vedere in televisione su canali come Discovery, National Geographic eccetera. SharkSchool si occupa essenzialmente dello studio del comportamento degli squali nei confronti degli esseri umani e di divulgare le informazioni acquisite, così da mettere i subacquei piuttosto che gli apneisti o i surfisti nelle condizioni di vivere un incontro con gli squali in modo sicuro e consapevole.
Cosa intendi con sicuro e consapevole?
Intendo dire che il subacqueo mediamente non ha le conoscenze necessarie a comprendere il comportamento dello squalo in acqua, né quelle per stabilire se il proprio comportamento e posizionamento rispetto all’animale siano corretti. Questo perché le informazioni in merito sono veramente carenti, se non del tutto assenti, e spesso datate. In altre parole, vediamo arrivare uno o più squali e – sempre che non ci spaventiamo a morte – ci limitiamo a guardarli e a scattare foto a raffica, ma non sappiamo interpretare quali siano le loro intenzioni, il perché nuotino in un certo modo, o come il loro comportamento venga influenzato dall’ambiente e dalla presenza di altri organismi marini. Insomma, siamo spettatori passivi e poco consapevoli. Non abbiamo le conoscenze per interpretare la situazione in modo critico.
Mi puoi fare un esempio?
Immagina due situazioni: nella prima sei nel blu in una zona dove il fondale è di una cinquantina di metri e la visibilità è buona. Ad un certo punto vedi arrivare uno squalo bello grosso. Diciamo uno squalo tigre. Nella seconda, sei in 5 o 6 metri d’acqua sul sabbione, quando ti si presenta di fronte uno squalo limone. Istintivamente, e te lo dico perché statisticamente i subacquei durante i corsi mi rispondono così, ti senti più al sicuro nel secondo caso. Perché? Perché sei vicino al fondale – che ti infonde sicurezza – e perché lo squalo è uno squalo limone e non un “terribile” tigre. La verità è che nella pratica la situazione più sicura è la prima, perché lo squalo in quel caso può fuggire in tutte le direzioni, a differenza di quello del secondo scenario che ha le vie di fuga verso il basso limitate dal fondale e quelle verso l’alto limitate dalla superficie. Noi tendiamo a vedere un incontro con uno squalo come un pericolo potenziale, ma ci scordiamo di considerare che anche per lui imbattersi in uno o più esseri umani è una situazione fuori dal comune e potenzialmente pericolosa. Quindi, tornando ai due scenari di prima, la prima cosa a cui fare attenzione è lo spazio che lo squalo ha a propria disposizione per muoversi. Ho diversi video che mostrano come tendano a reagire in modo scomposto quando si sentano chiusi dall’ambiente circostante e dalla presenza dei subacquei. Ovviamente il discorso è più complesso perché nel corso di un’interazione entrano in gioco svariati fattori che non riguardano solo l’ambiente, ma anche l’attività del subacqueo, il suo stato d’animo, la presenza di altri organismi marini eccetera, eccetera.
Poco fa mi stavi dicendo che molte delle informazioni a nostra disposizione sugli squali sono poco aggiornate…
Esatto. Il punto è che se leggiamo un libro sugli squali di dieci o vent’anni fa, spesso ci ritroviamo a leggere le stesse informazioni presenti su un manuale pubblicato l’altro ieri. Si continua a dire, ad esempio, che per ridurre il rischio di incidenti con gli squali bisogna evitare di entrare in acqua con ferite aperte, o che i surfisti vengono attaccati perché scambiati per delle foche. In realtà entrambe le informazioni sono vecchie di anni. Il sangue umano non attrae gli squali e i surfisti quando vengono morsi subiscono questo tipo di attenzione a scopi “esplorativi” e non perché effettivamente scambiati per foche o quant’altro. Uno squalo non sa cosa sia quella cosa che galleggia in superficie, ma di sicuro sa cosa non è. Se uno squalo bianco considerasse un surfista un’otaria la percentuale di decessi sarebbe del 100%, mentre il più delle volte le ferite sono superficiali. Il discorso è anche in questo caso piuttosto complesso, ma ci sono svariate evidenze a supporto di quanto sto affermando.
Il punto è che ormai queste nozioni vengono date per assodate, ma spesso ci si basa su assunzioni basate sulla teoria, più che su reali osservazioni scientifiche. Di certo quello che ci viene comunicato è che gli squali sono animali pericolosi a prescindere, mentre così non è. L’unica cosa certa è che l’essere umano è milioni di volte più pericoloso per gli squali che non il vice versa. Ormai anche i muri sanno che ogni anno vengono uccisi decine di milioni di squali in tutto il mondo. Dovremmo quindi preoccuparci più della loro salvaguardia che non della loro pericolosità.
A questo proposito, vi occupate anche di conservazione? E come si pone SharkSchool nei confronti di altre organizzazioni come ad esempio Sea Sheperd?
In merito alla prima parte della tua domanda, il nostro ruolo, oltre ad essere quello di insegnare ai subacquei come approcciare lo shark diving in modo consapevole, è anche quello di sensibilizzare al problema della conservazione degli squali. Far conoscere al grande pubblico la loro vera natura e sfatare alcuni miti che li circondano è il primo passo verso la loro conservazione. Per quanto concerne la posizione di SharkSchool nei confronti di Sea Sheperd, la risposta, e te la do usando le stesse parole di Erich Ritter, è che: “we are very much pro the Sea Sheperd”. Cioè siamo decisamente a favore di ciò che fa Sea Sheperd e di chiunque si batta per la conservazione degli oceani e dei suoi abitanti. Nel caso specifico Erich e Paul Watson si conoscono bene e collaborano, così come io collaboro con Sea Sheperd Italia in tutti i modi possibili. Quest’estate, ad esempio, ho organizzato a Parma una conferenza sulla conservazione degli squali alla quale hanno partecipato Angelo Mojetta, il dott. Massimiliano Bottaro, che è il coordinatore del Gruppo Ricercatori italiani sugli Squali (GRIS), e Andrea Ferrari di Sea Sheperd Italia. Insomma, siamo in contatto e cerchiamo di darci una mano l’uno con l’altro. Alla fine il nostro obbiettivo è lo stesso e più diamo visibilità alle nostre iniziative, meglio è per gli squali e per l’ambiente.
Avete delle iniziative in atto in questo momento?
Sì. Attualmente stiamo collaborando alla produzione di un film-documentario il cui titolo sarà “Shark rescue”. L’iniziativa è partita dall’Austria, ma si è trasformata in un progetto internazionale che coinvolge anche Italia, Germania, Belgio, Stati Uniti e altri paesi. Il documentario, che è attualmente già in lavorazione, sarà uno strumento utile a far conoscere al grande pubblico europeo il problema della conservazione degli squali.
Una sorta di Sharkwater?
Non esattamente. Sharkwater era molto focalizzato sul problema del finning e del consumo di pinne a scopi commerciali nei paesi orientali. Shark Rescue sarà più focalizzato sul ruolo dell’Europa in questo – passami il termine – sterminio di massa. E’ una credenza comune che il problema sia esclusivamente appannaggio di Cina, Hong Kong, Thailandia e così via, ma la verità è che anche l’Europa ha un ruolo fondamentale nella pesca intensiva degli squali. L’Italia, ad esempio, è il terzo paese al mondo per importazioni di carne di squalo, mentre la Spagna è uno dei paesi più attivi dal punto di vista delle catture e delle esportazioni di pinne e prodotti derivati dagli squali.
Da dove verranno tratte le risorse per la produzione del documentario? Avete già dei finanziamenti?
Il primo anno di riprese è stato interamente autofinanziato dai produttori, ma per andare avanti serviranno altre risorse. Pochi giorni fa si è conclusa una campagna di raccolta fondi online basata sul principio del crowdfunding. E’ andata piuttosto bene visto che sono stati raccolti 51.000 euro in poco più di un mese. Questo consentirà di andare avanti con le riprese, ma ci sono buone possibilità di ricevere ulteriori finanziamenti da parte di investitori privati e dal governo austriaco che consentiranno di concludere il progetto e di partire con la post produzione. Se tutto andrà bene, la prima del documentario verrà proiettata a Vienna nel Dicembre 2016.
Torniamo a SharkSchool, chi sono i membri attivi?
In questo momento SharkSchool è divisa in tre entità: negli Stati Uniti, in Florida, abbiamo la sede principale gestita da Erich. Alle Bahamas, nelle isole Abaco settentrionali, abbiamo un centro di ricerca permanente affidato a Pascal Gospodinov. A Bruxelles opera la SharkSchool Europe che è gestita da Jean-Marc Rodelet, mentre a me è stata affidata la SharkSchool Italy, con sede a Torino. In altre parole, in questo momento la nostra didattica viene erogata in Tedesco, Inglese, Francese, Italiano e Spagnolo.
Parlando di didattica, come si svolge la formazione?
La formazione è molto articolata ed è dedicata principalmente a subacquei e apneisti, ma non solo. Erich, infatti, ha dei programmi di addestramento specifici per personale di salvataggio, piuttosto che per i corpi speciali della marina e della polizia. So che sono suoi allievi fissi i corpi speciali della Marina tedesca e che ha addestrato anche i Seals alle tecniche di immersione in condizioni di visibilità zero in acque dove siano presenti gli squali. Per noi mortali, invece, la didattica si divide tra i corsi professionali e quelli per i subacquei ricreativi. Questi ultimi prevedono un percorso che inizia con lo Shark-human interaction 1 e finisce con il 3, ma abbiamo anche una serie di workshop specie-specifici che offriamo invece durante le spedizioni.
Andiamo per ordine, cos’è lo Shark-Human Interaction?
E’ il corso di ingresso al mondo dell’interazione con gli squali. Nello Shark Human interaction 1 nell’arco di una decina d’ore vengono trattati temi quali il primo contatto con uno squalo, i profili di nuoto, il comportamento di questi animali nei confronti degli esseri umani, le regole di ingaggio e di primo soccorso in caso di incidente, la ricostruzione della dinamica di un incidente partendo dalle ferite inferte alle vittime eccetera, eccetera. Di norma quello che succede è che scuole subacquee, associazioni o diving mi chiamano e io vado presso le loro sedi a tenere i corsi. A seconda delle esigenze e della distanza da Torino, ci organizziamo con quattro incontri infrasettimanali o organizzando il corso a cavallo di un weekend.
Finora dove ti hanno chiamato?
In diversi posti. Torino e provincia, Alessandria, Genova, Frosinone, Parma… L’anno prossimo sarò a Varese, zona di Cuneo, Milano.. Insomma la situazione è in continua evoluzione.
E le spedizioni? Come funzionano?
Le spedizioni, ovviamente, sono organizzate in quelle località dove siamo certi di incontrare gli squali. Volendo fare le cose per bene e andare sul sicuro, sono riuscito ad attivare una collaborazione esclusiva con Nosytour che è quindi il tour operator ufficiale di SharkSchool Italy. Il motivo per cui ho scelto loro è che hanno una lunghissima esperienza nel campo dei viaggi subacquei e che sono una garanzia in termini di competenza e professionalità. Di norma le spedizioni prevedono una decina di partecipanti, immersioni con gli squali e una serie di workshop dedicati alle specie che si andranno ad incontrare, o il corso Shark-Human interaction a seconda che i partecipanti l’abbiano già seguito a terra o meno.
Le prossime destinazioni?
Nei prossimi giorni mi vedrò con Andrea e Roberta di Nosytour per pianificare le spedizioni 2016. Penso che ci orienteremo sul Sudafrica per incontrare lo squalo bianco e su Bimini e Bahamas per vedere squali tigre, limone, grigi e martello maggiore. Ma non escludo che Andrea e Roberta abbiano altre destinazioni ancora più interessanti da suggerire. In ogni caso, una volta pianificate le attività, pubblicheremo date e destinazioni sul sito e sulla pagina Facebook di SharkSchool Italy. In ogni caso, potremo incontrarci e parlare di viaggi e di squali presso lo “shark corner” al BOOT di Dusseldorf a gennaio 2016. Lì ci saremo proprio tutti: Erich, Pascal, Jean-Marc e il sottoscritto.
Per info: www.SharkSchool.it
Un commento su “Intervista a Fabrizio Gioelli – SharkSchool”