Autore testo: Laura Vernotico
Autore foto: Marco Daturi
Per capire come sia possibile incorrere in un incidente da
decompressione dobbiamo prima capire come faccia il gas ad entrare nel nostro
corpo (passaggio in soluzione del gas) e come il gas inerte venga eliminato dal
nostro organismo.
Iniziamo quindi ad analizzare come avviene l’assorbimento da parte del nostro
organismo.
Subacquei durante la deco di sicurezza
Alla base di questo concetto c’è la legge di Henry il cui
enunciato è: a temperatura costante, la quantità di gas in soluzione è
proporzionale alla pressione che il gas esercita sul liquido. Il volume
totale di gas disciolto in un liquido (quando siamo in condizione di
saturazione) dipende da solubilità del gas, volume del liquido e la pressione
con cui il gas preme su di esso e dalla temperatura.
Sinteticamente: un gas che esercita una pressione sulla superficie di un
liquido, vi entra in soluzione finché avrà raggiunto in quel liquido la stessa
pressione che esercita sopra di esso. Raggiunto l’equilibrio, il liquido si
definisce saturo di quel gas a quella pressione. Tale stato di equilibrio
permane fino a quando la pressione esterna del gas resterà inalterata,
altrimenti, se essa aumenta, altro gas entrerà in soluzione; se diminuisce, il
liquido si troverà in una situazione di sovrasaturazione ed il gas si libererà
tornando all’esterno fino a quando le pressioni saranno nuovamente equilibrate.
Bolle d’aria espulse dai sub in deco
Vediamo adesso come viene eliminato il gas inerte dal nostro
organismo. Ai fini del calcolo della decompressione è importante tenere conto
della:
-
durata dell’immersione calcolata dal momento dell’entrata
in acqua fino alla prima tappa -
velocità di discesa sul fondo (una discesa rapida
schiaccia le microbolle, una discesa lenta fa sì che i tessuti che assorbono
l’azoto più lentamente comincino a caricare il gas inerte già durante la
discesa)
Esistono due approcci per il calcolo della decompressione:
-
il sistema compartimentale (elaborato dal prof.
Buhlman partendo dagli studi del prof. Haldane creatore delle tabelle U.S.
Navy), -
il sistema a controllo della formazione e sviluppo
delle bolle (Varying Permeability Model – VPM, Reduced Bubble Gradient
Model – RGBM, Tissue Bubble Dynamics Model – TBDM)
Qual è la differenza fra questi due modelli di
decompressione?
Il modello compartimentale prevede che durante la
decompressione tutto l’azoto accumulato nei tessuti si liberi nel sangue come
gas disciolto e venga poi eliminato con l’espirazione dai polmoni. La legge alla
base di questo modello è quella di Henry. Le bolle si formano solo se non si
rispettano le tappe di decompressione e la velocità massima di ascesa. Secondo
questo modello, in un’immersione in curva di sicurezza, i tessuti possono
sopportare il doppio dell’azoto normalmente presente in superficie (fino a 1,6
bar). Se la quantità di azoto che si libera dai tessuti in risalita è superiore
al doppio del normale, allora bisogna fermarsi per una tappa di sicurezza, detta
tappa di decompressione (3 metri, 6metri, 9 metri, ecc.).
Ricerche sul campo, però, dicono che dopo ogni immersione ci sono sempre delle
bolle (più o meno numerose) e che non sempre le bolle creano problemi. Nel
nostro sangue ci sono sempre microbolle con un diametro inferiore a 10 micron
(quindi inferiori al diametro di un globulo rosso che misura 8
micron).
Le microbolle presenti nel nostro organismo sono di
due tipi:
-
microbolle a vita breve (al massimo qualche ora);
derivano dalla vorticosità del sangue nel passaggio dalle valvole cardiache,
dai movimenti muscolari e articolari (attenzione a fare attività fisica
subito prima dell’immersione!) -
microbolle a vita lunga (fino a qualche giorno); derivano
da immersioni precedenti.
La pericolosità delle bolle dipende dal loro numero e dalla
loro grandezza. Tradotto in termini pratici, possiamo dire che dopo immersioni
senza stress decompressivo (entro i 30-40 metri, in curva di sicurezza, una sola
immersione al giorno, ecc) si formano poche bolle e queste non creano problemi.
Appena il subacqueo inizia la risalita (la pressione esterna sull’organismo si
riduce e l’azoto accumulato fuoriesce dai tessuti per passare nel sangue) il 90%
dell’azoto contenuto nei tessuti si
diffonde nel sangue per essere eliminato con l’espirazione, mentre il 10%
penetra nelle bolle che sono sempre presenti in circolo.
Da cosa dipende la capacità o meno di entrare?
Dalla resistenza che la bolla offre: tanto più piccola
(compressa) è la bolla, tanto maggiore sarà la resistenza che offre all’ingresso
dell’azoto. Questo è il principio della legge di Laplace. Ovviamente quando
l’azoto entra nella microbolla, questa inizia ad ingrandirsi e se si ingrandisce
troppo finisce per rompersi e va a creare delle bolle figlie di dimensioni
inferiori. La bolla, come il gas disciolto, arriva fino al polmone. I capillari
che circondano gli alveoli trattengono le bolle con un diametro maggiore di 10
micron, a questo punto l’azoto esce dalla bolla e viene eliminato con la
espirazione. Se però si fanno immersioni con stress decompressivo (immersioni
oltre i 30 metri, più immersioni al giorno, immersioni in più giorni
consecutivi, immersioni con profilo inverso) o errori in decompressione, ecco
che si formano tante bolle e bolle grandi. A questo punto le bolle molto grosse
possono danneggiare direttamente la parete del vaso, oppure il nostro organismo
riconosce le bolle come estranee e le aggredisce (sviluppando una vera e propria
infiammazione). Tanto più grandi sono le bolle tanto maggiore è la probabilità
di avere dei problemi.
Immergersi spesso (più di 40 immersioni all’anno) fa bene perché così si
schiacciano le microbolle che diventano più resistente all’ingresso di azoto.
Abbiamo visto che le bolle iniziano a formarsi nel momento del distacco dal
fondo. Quando possiamo considerarle scomparse? Quattro ore dopo la fine
dell’immersione. Ecco perché è importante rispettare un intervallo di superficie
di almeno due ore tra un’immersione e l’altra.
Camera iperbarica di Sharm
Dopo aver visto come fa il nostro organismo ad assorbire
l’azoto e come bisogna fare per eliminare l’azoto durante la risalita e per
ridurre al minimo le probabilità di incorrere in un incidente da decompressione
(DCI), vediamo quali sono le cause di DCI.
La causa dell’incidente da decompressione è la bolla, ma non solo lei o
almeno non sempre. Se la bolla è grande, allora andrà ad occludere
meccanicamente il vaso sanguigno, ma quando è piccola, più piccola del diametro
del vaso sanguigno come fa creare danni? In questo caso è il nostro organismo
che la riconosce come estranea e fa sì che si inneschi una risposta
infiammatoria. Questo spiega anche perché a volte, pur facendo un’immersione
identica, su due sub solo uno va incontro a DCI (bolle uguali, diversa risposta
infiammatoria). Il concetto dell’infiammazione spiega anche perché alcuni
incidenti da decompressione si verificano dopo 24 ore dal termine
dell’immersione.
Secondo Haldane (presupposto sul quale sono basate le tabelle U.S. Navy)
le bolle si formavano solo se non si rispettava la velocità massima di risalita
e quando si saltavano le tappe di decompressione. Su questo concetto sono basati
molti computer (definiti compartimentali) basati sui programmi del professor
Buhlman e chiamati Haldane modificato. Oggi si sa che non è proprio così.
E’ molto importante il riconoscimento che il nostro corpo fa delle bolle.
Essenziale immergersi in buone condizioni di salute per ridurre al minimo i
fattori di compromissione; ne consegue l’importanza della visita di idoneità
all’attività subacquea, che deve essere concepita come una visita che ci
permette di andare in acqua con più sicurezza.
La subacquea, a differenza di altri sport, è gravata dal cosiddetto “rischio
intrinseco” a causa dell’ambiente in cui si svolge. La cosa che deve essere
puntualizzata è che la subacquea è uno sport che si pratica in un “ambiente
straordinario”, ovvero in iperbarismo (sott’acqua e anche se le immersioni sono
senza decompressione bisogna comunque rispettare tempi e modi per la
riemersione).
Interno della camera iperbarica di Sharm
In generale, l’immersione in sé può non essere faticosa:
il problema fatica insorge nel caso in cui ci si trovi a fare immersioni in
corrente o con particolari problemi (deviazioni dall’immersione programmata),
indipendentemente dalla profondità e tappe di decompressione. Se ci si trova in
corrente…..bisogna affrontarla, mentre sul tapis roulant, durante un
corso di aerobica o una nuotata in piscina, si può rallentare o persino
fermarsi.
Per questi motivi ritengo essenziale che un sub esegua la cosiddetta visita
agonistica con medico sportivo che abbia specifiche competenze in medicina delle
attività subacquee e in subacquea, in quanto il sub spesso manifesta dubbi su
problematiche legate all’immersione (cefalea, difficoltà di compensazione,
problemi di pinneggiata, etc) che richiedono competenza specifica in materia.
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Ho trovato molto interessante l’articolo anche se l’argomento non mi era de tutto nuovo. Troverei utile approfondire, magari in una prossima occasione, anche le problematiche connesse all’età, tenuto conto del numero in aumento di subacquei ultra settantenni, per i quali il DAN richiede una visita medica non sempre chiaramente precisata. Per quello che mi riguarda (ho 78 anni), essendo un sub attivo, mi ritengo particolarmente attento ai profili delle immersioni, che effettuo quasi esclusivamente in mari tropicali e sub tropicali per lo più in crociera. Questo purtroppo, essendo legato ad un gruppo, mi porta a fare normalmente tre immersioni al giorno (che faccio comunque volentieri) spesso profonde e con deco. Approfondire i problemi di questa tipologia di immersioni legata all’età, sarebbe veramente importante soprattutto per quei “vecchietti” (e ce ne sono parecchi) che non sanno o non vogliono saper niente di algoritmi, microbolle, velocità di risalita, ecc.. Per loro basta un vecchio Aladin perché “ha tempi di deco ridotti rispetto ai computer più moderni (!)”